Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.101 del 07/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15712/2018 proposto da:

O.J.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Otranto, 23 presso lo studio dell’avvocato Volpini Andrea che lo rappresenta e difende per procura allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, e Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Brescia;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1402/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 07/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/05/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1402/2017 pubblicata il 7-11-2017, la Corte d’appello di Brescia ha respinto l’appello di O.J.A., cittadino della *****, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Brescia con la quale era stata rigettata la domanda avente ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il ricorrente, nel riferire la propria vicenda personale, aveva dichiarato di essere cristiano, di essere fuggito dall’Edo State dopo l’uccisione dei suoi genitori, anch’essi cristiani, e di essere rimasto, ospite di un amico, per tre anni nel Borno State, lasciando di seguito definitivamente la Nigeria perchè in detto Paese non vi era sicurezza per un cristiano. La Corte territoriale ha ritenuto che i fatti narrati dal richiedente fossero non credibili perchè generici e contraddittori in relazione a plurimi profili, così escludendo la sussistenza di presupposti integranti una persecuzione religiosa attuata in suo danno, ed ha altresì ritenuto che nell’Edo State non vi fossero allarmanti situazioni di conflitto armato interno e di instabilità politica e giudiziaria. La Corte d’appello ha affermato che neppure fossero ravvisabili i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non avendo il richiedente dedotto alcuna specifica circostanza al riguardo e tale da giustificare la concessione della suddetta misura di tutela.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 8 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, per mancanza o apparente motivazione”. In merito al giudizio di inattendibilità delle vicende narrate, il ricorrente deduce che la Corte territoriale non ha citato le fonti di ricerca dalle quali ha desunto l’inattendibilità della persecuzione in suo danno in quanto cristiano e rileva che era fatto notorio la persecuzione attuata nei confronti dei cristiani in Nigeria. Afferma pertanto di avere sufficientemente rappresentato la propria condizione soggettiva di pericolo, anche con allegazione di documentazione.

2. Il primo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

La Corte territoriale ha espresso il giudizio di non credibilità della vicenda personale narrata dal ricorrente, rimarcando in dettaglio plurime incongruenze e contraddizioni nel racconto del ricorrente, così effettuando, nel rispetto degli indici legali, un accertamento di merito insindacabile, se non sotto il profilo dell’anomalia motivazione o dell’omessa valutazione di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. ord. 3340/2019).

La censura, oltre che genericamente formulata, non coglie la ratio decidendi come appena sintetizzata, in relazione alla quale non rileva il dedotto fatto notorio della persecuzione attuata in maniera generalizzata nei confronti dei cristiani nel Paese di provenienza, ed è pertanto, sotto tale profilo, inammissibile.

La doglianza è in ogni caso anche infondata in quanto la Corte territoriale, indicando la fonte di conoscenza (Coi Easo estate 2017), ha affermato che non risultano notizie di persecuzioni religiose nell’Edo State.

3. Con il secondo motivo lamenta “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)”. Ad avviso del ricorrente erroneamente la Corte territoriale non ha riconosciuto alcuna forma di protezione, neppure sussidiaria e umanitaria. Ribadisce di essere fuggito dall’Edo State dopo l’uccisione dei suoi genitori perchè cristiani e di essersi rifugiato nel nord della Nigeria, a Borno State, ma di aver dovuto lasciare, dopo circa tre anni, anche detto Paese a causa delle violenze indiscriminate che caratterizzano tale Paese e della morte in un attentato dell’amico che lo aveva ospitato. Lamenta il mancato esercizio del potere istruttorio ufficioso da parte dei Giudici di merito.

4. Il motivo è inammissibile.

4.1. Questa Corte ha chiarito che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (Cass. ord. n. 3340/2019). Inoltre, anche in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

4.2. Il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo alla situazione generale della Nigeria, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto all’insicurezza del Paese di origine ed alla compromissione di diritti fondamentali, difforme da quella accertata nei giudizi di merito.

La Corte territoriale ha esaminato, richiamando fonti di conoscenza (COI Easo 2017), la situazione generale della Nigeria ed in particolare dell’Edo State, zona di origine del ricorrente, precisando che la sua permanenza nel Borno State non aveva più ragion d’essere, essendo defunto l’amico che l’aveva ospitato. Ha quindi escluso l’esistenza di situazioni di violenza indiscriminata in conflitto armato nella suindicata zona, compiutamente esercitando il potere-dovere di cooperazione istruttoria, anche con riferimento alle lamentate persecuzioni religiose.

Le suddette valutazioni, peraltro neppure specificatamente censurate, costituiscono apprezzamenti di fatto rimessi al giudice del merito e sono sindacabili solo mediante il paradigma del vizio motivazionale di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, e dunque solo quale omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti oppure come anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante.

Per quanto si è detto la motivazione della sentenza impugnata è sorretta da un contenuto non inferiore al minimo costituzionale, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 8053/2014 e tra le tante da ultimo Cass. n. 22598/2018), così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa ed alla conseguente valutazione di “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante”.

5. Con il terzo motivo lamenta “Violazione di legge in merito al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3”. Espone che la situazione della Nigeria registra un altissimo tasso di violenza e compromissione dei diritti umani, come da rapporto Amnesty International del 2018, e il Tribunale erroneamente non aveva riconosciuto la protezione umanitaria.

Lamenta che la Corte d’appello di Brescia abbia omesso l’esame della domanda di protezione umanitaria solo perchè non ha ravvisato sussistenti le condizioni per il riconoscimento delle misure maggiori. Inoltre rileva il ricorrente di aver compiuto un proficuo percorso di stabilizzazione sul territorio nazionale nel periodo di permanenza in Italia e di non avere più legame con il Paese di origine, mentre la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari gli consentirebbe di proseguire il percorso di inserimento virtuoso e legale in Italia.

5.1. Il motivo è infondato.

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, questa Corte ha precisato (Cass. ord. n. 16925/2018) che l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente, affermata dai giudici di merito, costituisce motivo sufficiente anche per negare la protezione di cui trattasi, che deve ovviamente poggiare su specifiche e plausibili ragioni di fatto (Cass. 27438/2016), legate alla situazione concreta e individuale del richiedente (Cass. 4455/2018, par. 7). Deve trattarsi di valutazione autonoma (Cass. (Cass. n. 28990/2018), non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario che l’accertamento da svolgersi sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti. Tuttavia, anche ai fini della protezione umanitaria, la domanda non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio o di utilizzare i poteri officiosi, se le allegazioni sulla condizione soggettiva di vulnerabilità non sono specifiche (Cass. n. 27336/2018). Nel caso di specie il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione e facendo applicazione dei principi suesposti, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono, sia con riferimento alla vicenda personale del ricorrente, sia avuto riguardo alla situazione generale della zona dell’Edo State, l’esistenza di una situazione di particolare vulnerabilità del ricorrente, sì da rendere, in comparazione, recessivo il suo percorso di integrazione in Italia, peraltro del tutto genericamente allegato.

6. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.

7. Nulla si dispone circa le spese, considerato che il Ministero è rimasto intimato.

8. Poichè il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020

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