LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23411/2018 proposto da:
K.I., elettivamente domiciliato a L’Aquila, in via Enrico De Nicola n. 1/A, presso lo studio dell’Avv. Mauro Ceci, che lo rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, *****, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 982/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 18/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio dei 14/06/2019 da Dott. SOLAINI LUCA.
RILEVATO
che:
La Corte d’Appello di Ancona ha respinto il gravame proposto da K.I., cittadino del *****, avverso l’ordinanza del Tribunale di Ancona che, confermando il provvedimento della competente Commissione territoriale aveva negato al richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma sussidiaria e di quella umanitaria.
La Corte distrettuale ha basato la propria decisione di rigetto sull’assunto della non credibilità intrinseca del racconto (persecuzione, lesioni e minacce di morte dai Talebani per aver fatto scoprire un deposito di armi) e sulla situazione generale del paese non qualificabile come conflitto armato, mentre, in riferimento alla protezione umanitaria, non sussistono particolari motivi di carattere soggettivo che giustifichino l’adozione di tale misura, inoltre, sempre in riferimento alla protezione umanitaria, la documentazione prodotta (dichiarazione dei redditi) non è riconducibile al ricorrente.
Contro la sentenza della medesima Corte d’Appello è ora proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
che:
Il ricorrente censura la decisione della Corte d’Appello: (i) sotto un primo profilo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, commi 4 e 5, deducendo la nullità del provvedimento impugnato e degli atti presupposti e conseguenti per omessa traduzione degli stessi nella lingua conosciuta dallo straniero, nonchè per violazione della L. n. 15 del 1968, art. 14, come modificato dal D.P.R. n. 445 del 2000, art. 18 e s.m.i., e violazione dell’art. 137 c.p.c., in quanto, la copia del provvedimento della C.T. consegnata all’interessato era stato comunicato in forma libera e informale e priva dell’attestazione di conformità all’originale, nonchè nullità del provvedimento per difetto di sottoscrizione, perchè mancava il codice identificativo della firma digitale, con conseguente inesistenza della sottoscrizione e nullità dell’atto per carenza di sottoscrizione, (ii) sotto un secondo profilo, il ricorrente prospetta il vizio di violazione di legge, in particolare, per la mancata applicazione degli artt. 1 e 2 della Convenzione di Ginevra del 1951 e per il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e per la mancata applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e per la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omessa valutazione della documentazione attestante l’attività lavorativa ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto, erroneamente, la Corte d’Appello aveva ritenuto che dallo stesso racconto del richiedente, risultasse evidente che i fatti narrati non lo avrebbero esposto al rischio di subire un danno grave ai sensi delle norme di cui alla rubrica, nè le circostanze esposte evidenziavano la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ovvero per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari; (iii) sotto un terzo profilo, il ricorrente denuncia sia il vizio di violazione di legge che di omesso esame di un fatto decisivo, sul medesimo profilo di censuri, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in particolare, la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 126, relativamente al rigetto della richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in primo grado, e ciò, perchè il Tribunale avrebbe errato nel considerare il ricorso infondato, mentre, la Corte territoriale avrebbe omesso ogni, decisione sul punto.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Secondo, la giurisprudenza di questa Corte, la parte, ove censuri la decisione per l’omessa traduzione, non può genericamente lamentare la violazione del relativo obbligo, ma deve indicare quale effettivo vulnus all’esercizio del diritto di difesa si sia determinato (Cass. ordd. nn. 11271/19, 11295/19, 11871/14) e quali specifiche istanze difensive, a causa dell’omessa traduzione del provvedimento, non si siano potute svolgere.
In riferimento al profilo di censura relativo alla mancanza nel provvedimento della Commissione Territoriale dell’attestazione di conformità all’originale e quello sulla mancanza del codice identificativo nella firma digitale apposta sul medesimo documento, vi è un evidente difetto di specificità, perchè non risulta ben censurata la ratio relativa all’irrilevanza dell’attestazione di conformità, non avendo il ricorrente neppure riportato – il documento in ricorso, mentre, la questione sulla sottoscrizione, sulla coccarda e sulla stringa è nuova.
Il secondo motivo di ricorso è infondato, infatti, da una parte, vi è un giudizio insindacabile di non credibilità soggettiva del richiedente (persecuzione, lesioni e minacce dei talebani perchè il richiedente avrebbe consentito la scoperta di un deposito di armi), da parte della Corte d’Appello, in virtù del quale, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso sulla prospettata situazione persecutoria nel paese d’origine (Cass. ord. n. 16925/18), dall’altra, dal punto di vista oggettivo, la Corte d’Appello ha accertato sulla base delle fonti informative esaminate (p. 10 della sentenza) che il richiedente non appartiene ad alcuna categoria esposta e rischio di danno alla propria incolumità (in Punjab regione di provenienza) e che le condizioni sociopolitiche complessive, pur complesse, non integrano la condizione di violenza indiscriminata o conflitto interno, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c).
E’ inammissibile la censura relativa alla protezione umanitaria sia perchè non risulta censurata la non attinenza al ricorrente della documentazione prodotta, sia perchè l’esclusione di condizioni soggettive di vulnerabilità è censurata in modo generico essendo priva di rilevanza la descritta diversa soluzione in altro giudizio.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto, la doglianza deve seguire le forme di cui all’opposizione, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170 (Cass. ord. n. 3028/18).
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
PQM
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a pagare all’amministrazione statale le spese di lite del presente giudizio, che liquida nell’importo di Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020