Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.116 del 07/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20045/2015 proposto da:

R.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO MORDINI 14, presso lo studio dell’avvocato MANLIO ABATI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CRISTIANO ANNUNZIATA;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT S.P.A., (quale incorporante il BANCO DI SICILIA SOCIETA’

PER AZIONI), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO 32, presso lo studio dell’avvocato LIDIA SGOTTO CIABATTINI, rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO TOSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10506/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/04/2015, R.G.N. 6439/2011;

Il P.M., ha depositato conclusioni scritte.

RILEVATO

che:

con sentenza in data 29 aprile 2015, la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello proposto da R.F. (e dichiarava assorbito quello incidentale della banca) avverso la sentenza di primo grado, che aveva accertato l’illegittimità del precetto, con il quale il lavoratore aveva il 29 aprile 2010 intimato a Unicredit s.p.a. il pagamento della somma di Euro 203.477,61, sulla base della sentenza del Tribunale di Milano n. 2189/03, confermata in appello, di illegittimità del licenziamento comminato dal Banco di Sicilia s.p.a. (poi fuso per incorporazione in Unicredit s.p.a.), ordine alla banca di immediata reintegrazione del lavoratore nel posto e condanna della medesima al pagamento, in suo favore a titolo risarcitorio, delle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento a quello di reintegrazione;

avverso tale sentenza il lavoratore ricorreva per cassazione con due motivi, cui Unicredit s.p.a. resisteva con controricorso;

il P.G. rassegnava conclusioni scritte ed entrambe le parti comunicavano memoria: tutti ai sensi dell’art. 380bis 1 c.p.c..

CONSIDERATO

che:

1. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., artt. 431,474,115,116 c.p.c., per inosservanza del giudicato formatosi sulla sentenza del Tribunale di Milano n. 62/2005 (anche) in relazione alla liquidità del credito riconosciuto dalla sentenza dello stesso Tribunale n. 2189/03, titolo esecutivo alla base del precetto intimato dal lavoratore (primo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 431,474,112 e 115 c.p.c., per erronea esclusione di liquidità del credito oggetto del titolo esecutivo costituito dalla sentenza del Tribunale di Milano n. 2189/03, in quanto contenente gli elementi (parametro retributivo sulla base dell’ultima retribuzione globale di fatto e delle buste paga, termini di decorrenza) per la sua determinazione in base a semplici operazioni aritmetiche, in assenza di contestazione dalla banca intimata (secondo motivo);

2. entrambi i motivi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;

2.1. essi sono infatti generici, in violazione della prescrizione di specificità, a pena appunto di inammissibilità, dell’art. 366, c.p.c., comma 1, n. 4, che ne esige l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 6 luglio 2007, n. 15952; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959);

2.2. il ricorrente ha omesso di confutare, con ciò appunto viziando i due motivi di genericità, l’argomentazione fondamentale della sentenza impugnata, costituente ratio decidendi sul punto e singolarmente quanto palesemente ignorata, relativa alla ben spiegata ritenuta illiquidità del credito, sulla base del giudicato formatosi sulla sentenza, riguardante lo stesso titolo esecutivo tra le medesime parti, del Tribunale di Palermo n. 2265/2009, cronologicamente successiva a quella di segno contrario, parimenti in giudicato, del Tribunale di Milano n. 62/2005: quella del Tribunale siciliano prevalendo tra le due, in assenza di un’impugnazione per revocazione dalla parte interessata per contrasto di giudicati, a norma dell’art. 395 c.p.c., n. 5, in applicazione del principio posto dall’art. 15 preleggi, estensibile anche ai comandi giuridici di fonte giudiziale (come illustrato a pg. 5 della sentenza), secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità (Cass. 29 dicembre 2011, n. 29580; Cass. 18 gennaio 2018, n. 1186);

3. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e le spese del giudizio regolate secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il lavoratore alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020

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