Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.117 del 07/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1945/2018 proposto da:

BETTINI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA A. BERTOLONI N. 44, presso lo studio degli Avvocati MASSIMO CAMPA e GIOVANNI DE VERGOTTINI che la rappresentano e difendono in virtù di delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA UGO BARTOLOMEI 23, presso lo studio degli Avvocati FRANCESCO SAVERIO IVELLA ed ENRICO IVELLA, che lo rappresentano e difendono giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1937/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 06/11/2017 R.G.N. 415/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

RILEVATO

che:

1. Con ricorso L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 48, del 28.6.2016 M.S. ricorreva al Tribunale di Lecco chiedendo l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento adottato nei suoi confronti dalla Bettini srl in data 16.12.2015 nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo.

2. Con ordinanza del 26.8.2016, nel contraddittorio delle parti, l’adito giudice del lavoro rigettava il ricorso.

3. Proposta opposizione da parte del lavoratore, con sentenza n. 68 del 2017 il Tribunale di Lecco respingeva le domande formulate dal M., compensando le spese di lite.

4. All’esito del reclamo proposto dalla L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 58, la Corte di appello di Milano, con la pronuncia n. 1937 del 2017, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava invece la illegittimità del licenziamento, annullandolo e condannando la Bettini srl alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e alla corresponsione di una indennità risarcitoria, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, pari a dodici mensilità della retribuzione globale di fatti goduta, oltre accessori e regolarizzazione previdenziale e contributiva.

5. A fondamento della decisione i giudici di seconde cure rilevavano che: a) doveva considerarsi nuova, perchè inammissibilmente proposta solo in fase di opposizione, la tematica circa il difetto procedurale in ordine alla comunicazione dei criteri di scelta; b) non era invece nuova la problematica riguardante la valenza dell’accordo individuale dell’agosto 2011 in quanto già introdotta nella fase sommaria; c) il detto accordo, comunque, non era idoneo a ritenere esente il M. dai licenziamenti collettivi essendo relativo unicamente alla vicenda di CIGS dell’epoca; d) era riscontrabile una violazione dei criteri di scelta perchè non era stato osservato il criterio il criterio dell’anzianità aziendale rispetto ad altri lavoratori comparativamente individuati sulla base delle esigenze produttive e organizzative esplicitate nella lettera di apertura della procedura e confluite nell’accordo sindacale.

6. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la Bettini srl affidato a due motivi, illustrati con memoria, cui ha resistito con controricorso M.S..

7. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

CONSIDERATO

che:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la società eccepisce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e/o dell’art. 101 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Corte territoriale fondato la propria decisione, in ordine alla violazione dei criteri di scelta, su argomentazioni mai affrontate nei precedenti giudizi e mai discusse tra le parti: in particolare, per avere escluso il concorso del criterio di cui alla L. n. 223 del 1991, lett. c), seppure nessuna domanda nè eccezione fosse stata in tal senso sollevata, modificando quindi la causa petendi sottesa alla domanda di declaratoria di illegittimità del licenziamento. Deduce, poi, la ricorrente che, qualora tale modifica si fosse potuta ritenere rilevabile di ufficio, comunque i giudici di seconde cure non avevano, in ottemperanza a quanto previsto dall’art. 101 c.p.c., instaurato tra le parti un corretto contraddittorio sul punto.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), della L. n. 223 del 1991, art. 5, in merito all’applicazione dei criteri di scelta, in quanto la Corte territoriale aveva errato nel ritenere che il criterio delle esigenze tecnico – organizzative e produttive non poteva essere riutilizzato ai fini della scelta del M. quale lavoratore da licenziare, violando, quindi, l’art. 5 citato che opera un doppio richiamo: il primo con riferimento al complesso aziendale ed il secondo da utilizzare unitamente agli altri due previsti dalla lettera c). La società reitera, poi, il susseguirsi delle fasi attraverso cui si era articolata la procedura di licenziamento ribadendo la correttezza circa l’approvazione dei criteri di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1.

4. Il primo motivo è inammissibile non essendo la censura specifica in ordine alle asserite violazioni degli artt. 112 e 101 c.p.c., fondate sul fatto che la Corte territoriale, in assenza di espressa censura e senza avere sottoposto la questione alle parti, aveva escluso – nella fattispecie – il concorso del criterio di cui alla L. n. 223 del 1991, lett. c), in quanto già utilizzato nella lettera di apertura della procedura per riduzione del personale, nelle divisioni oggetto di intervento.

5. Invero i giudici di seconde cure, a pag. 10 della gravata sentenza, hanno affermato che la dedotta inosservanza dei criteri di scelta, denunciata dal M., aveva privilegiato – “nel novero delle doglianze” – la critica sulla carente individuazione a monte dei criteri di scelta (che non era stata però ravvisata). Non hanno escluso, quindi, che vi fossero altre prospettazioni di censure tanto è che hanno testualmente evidenziato, come detto, “un novero di doglianze” posto a sostegno della domanda di illegittimità del licenziamento.

6. Ebbene, a fronte di tale affermazione, la ricorrente non ha riportato tutto il testo del ricorso e del reclamo il cui succinto stralcio, riportato a pag. 17 dell’odierno ricorso per cassazione, comunque contiene un riferimento anche al mancato rispetto delle esigenze tecnico-produttive in ordine ai criteri di scelta dei lavoratori da assoggettare alla procedura di licenziamento collettivo, di talchè non è consentito a questo Collegio un corretto scrutinio del motivo.

7. Tale profilo di inammissibilità della censura coinvolge entrambi i vizi denunciati ex artt. 112 e 101 c.p.c..

8. Il secondo motivo è, invece, infondato.

9. La Corte di merito, con un ragionamento corretto e congruamente motivato, ha sottolineato che dall’allegato 1 della lettera di avvio della procedura di mobilità risultava che, per le sue esigenze tecnico-produttive ed organizzative, la società aveva stimato che vi fosse una eccedenza di quattro unità con profilo di “Operatori Galvanica” e di quattro unità con il profilo “Operatori Lavorazioni Meccaniche”.

10. I giudici di seconde cure hanno, poi, ritenuto che, con le citate esigenze, dovevano concorrere solo gli altri fattori di anzianità e famiglia, non essendo concepibili altri margini di analisi sul criterio della lett. c), già compiutamente esperito. Sulla base, poi, delle deposizioni testimoniali, ritenute concordanti, la Corte ha precisato che era emerso che le mansioni espletate dal M., in qualità di operaio, rappresentavano compiti di servizio non privilegiabili nel quadro delle esigenze tecnico-produttive e organizzative indicate.

11. Si è trattato, pertanto, da parte della Corte di appello di una valutazione del contenuto del citato allegato 1 e delle risultanze processuali (su una verifica completa e in concreto delle esigenze tecnico-produttive e organizzative) in relazione alle quali la ricorrente si è limitata a prospettare una diversa ricostruzione relativamente sia ad una differente interpretazione dell’allegato 1 sia con riguardo ad una discorde analisi delle prove testimoniali: entrambi gli accertamenti sono, però di spettanza del giudice di merito non sindacabili in sede di legittimità perchè si risolverebbero in un riesame dei fatti di causa non consentito in cassazione.

12. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

13. Al rigetto segue la condanna della ricorrente, secondo il principio della soccombenza, alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità.

14. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020

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