Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.119 del 07/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18870/2018 proposto da:

Curatela del fallimento della ***** S.R.L., in persona del Curatore pt, (succeduta alla ***** S.R.L., originaria ricorrente), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TEVERE n. 20, presso lo studio dell’Avvocato INNOCENZO MARCELLO DI MANNO (Studio legale LOCASCIULLI), rappresentata e difesa dall’Avvocato ALESSANDRA FABRIZIO in virtù di procura speciale in atti ed autorizzazione del GD in data 7.1.2019.

– ricorrente –

contro

M.C., S.P., L.P.M., SA.ER.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1471/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/04/2018 R.G.N. 93/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

RILEVATO

che:

1. M.C., L.P.M., S.P. e Sa.Er., in data 30.6.2014, venivano licenziati dalla società *****. per riduzione di personale, all’esito di una procedura della L. n. 223 del 1991, ex art. 4, di mobilità conclusasi con verbale negativo presso la Regione Lazio del 17.4.2014.

2. I suddetti lavoratori, con ricorso L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 48, impugnavano il licenziamento contestando l’erroneità dei punteggi attribuiti, la violazione degli obblighi di comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, eccependo una presunta non esaustiva indicazione dei dati numerici giustificativi della crisi aziendale e la lacunosità delle informazioni relative ai motivi che avevano determinato la situazione di eccedenza nonchè sulla possibilità di collocazione alternativa e deducendo, infine, che comunque la scelta degli operai da licenziare aveva avuto carattere discriminatorio.

3. Nel contraddittorio delle parti, l’adito giudice del lavoro del Tribunale di Cassino accoglieva la domanda dei lavoratori dichiarando l’inefficacia dei licenziamenti intimati e la risoluzione dei rapporti di lavoro con effetto dalla data di licenziamento, con condanna della società al pagamento di una indennità risarcitoria onnicomprensiva pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ciascuno di essi.

4. A seguito di opposizione il medesimo Tribunale, con la sentenza n. 960 del 2017, in accoglimento della domanda subordinata proposta dai lavoratori e previo accertamento della violazione del disposto della L. n. 223 del 1991, art. 4, condannava la *****. srl al pagamento, in favore di ognuno di loro, di una indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata nella misura di quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori e spese di lite.

5. La Corte di appello di Roma, con la pronuncia n. 1471/2018, rigettava il reclamo proposto dalla società.

6. A fondamento della decisione i giudici di seconde cure precisavano che, nella fattispecie in esame, nella comunicazione di avvio della procedura di riduzione del personale erano state esplicitate le ragioni che avevano determinato la necessità di ridurre il personale nonchè le ragioni per cui l’azienda non aveva altra possibilità che ricorrere alla procedura di mobilità: ciò che non si leggeva, però, era l’esplicitazione delle ragioni che avevano determinato la scelta aziendale di individuare l’esubero esclusivamente nell’ambito di specifiche professionalità, non consentendo quindi al sindacato una puntuale verifica sulla legittimità della scelta operata in violazione di quanto statuito dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3.

7. Avverso la sentenza di secondo grado proponeva ricorso per cassazione la *****. srl affidato ad un motivo.

8. Gli intimati non svolgevano attività difensiva.

9. Nelle more si costituiva la Curatela del Fallimento della società ***** srl che depositava memoria.

10. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico articolato motivo la società denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 3 e art. 5, ovvero l’omessa, insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia riguardo alla pretesa incompletezza della comunicazione di avvio della procedura prevista dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3. La ricorrente deduce, richiamando precedenti di legittimità, che la comunicazione preventiva poteva limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti suddiviso fra i diversi profili professionali previsti dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, senza necessità di ogni ulteriore specificazione, mentre i giudici del merito, con la loro interpretazione, avevano indebitamente esteso la verifica giudiziale ai motivi determinanti la scelta imprenditoriale considerando necessaria l’indicazione dei profili professionali e delle funzioni da sopprimere. Inoltre rappresenta che, nella comunicazione suddetta, erano dettagliatamente specificate le eccedenze lavorative distinguendo, per ciascun profilo professionale, i relativi esuberi conseguenti al processo di ridimensionamento e che il contenuto indispensabile della comunicazione di avvio della procedura alle organizzazioni sindacali si doveva valutare con riferimento ai motivi, esternati nella stessa comunicazione e, nel caso di specie, il progetto di riduzione del personale complessivo dell’azienda imponeva di indicare solo la ripartizione delle eccedenze per categorie professionali e non anche la specificazione di uffici o reparti con eccedenze nè le concrete funzioni lavorative che si intendevano eliminare risultando tali profili estranei alle ragioni della decisione imprenditoriale.

2. Il motivo non è fondato.

3. La procedura disciplinata dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, è volta sia a consentire una proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato, sia a rendere trasparente il processo decisionale datoriale, in funzione della tutela dell’interesse del lavoratore destinato potenzialmente ad essere estromesso dall’azienda: con la conseguenza, nel caso di mancata indicazione nella comunicazione di avvio della procedura di tutti gli elementi previsti dall’art. 4, dell’insanabile inefficacia dei successivi licenziamenti intimati ai lavoratori, legittimati a denunziarne la incompletezza ed il conseguente vizio del licenziamento (Cass. 2.3.2009 n. 5034; Cass. 11.7.2007 n. 15479).

4. La lettera di avvio della procedura di mobilità assolve, quindi, la funzione di garantire l’effettività del confronto con le organizzazioni sindacali destinatarie della comunicazione, salvo ulteriore verifica, comunque, della loro pertinenza ed inerenza alle ragioni alla base della procedura stessa (Cass. n. 24882 del 2019; Cass. 2429 del 2012).

5. La necessità della conformazione della comunicazione ai requisiti prescritti dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, è, pertanto, finalizzata a consentire alle organizzazione sindacali di verificare il nesso tra le ragioni che determinano l’esubero di personale e le unità che, in concreto, l’azienda intende espellere, di talchè sia evidenziabile la connessione tra le enunciate esigenze aziendali e l’individuazione del personale da licenziare e sia permesso all’interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione del personale, valutando anche la possibilità di misure alternative al programma di esubero (Cass. 12.11.2013 n. 23594; Cass. 16.1.2013 n. 880).

6. Ciò non costituisce un controllo sulla legittima scelta imprenditoriale di adire una procedura di licenziamento collettivo, assolutamente coerente con il principio di libertà della iniziativa economica privata (art. 41 Cost.) e, pertanto, insindacabile in sede giudiziale, quanto piuttosto di verificare il rispetto della specificità degli oneri di comunicazione in sede di apertura e chiusura della procedura di mobilità, previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 3 e 9 (Cass. 28.10.2009 n. 22825; Cass. 9.3.2015 n. 4678).

7. La valutazione di adeguatezza della comunicazione spetta al giudice di merito e deve essere compiuta anche in relazione al fine che la comunicazione stessa persegue, che è quello di sollecitare e favorire la gestione contrattata della crisi (Cass. 5.6.2003 n. 9015).

8. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha ritenuto in punto di fatto – con congrua motivazione e, quindi, insindacabile in sede di legittimità – carente la comunicazione preventiva nella esplicitazione delle ragioni che avevano determinato la scelta aziendale di individuare l’esubero esclusivamente nell’ambito di specifiche professionalità, quali esemplificativamente la soppressione delle funzioni ritenute meno necessarie o di quelle la cui mancanza consentiva comunque il proseguo delle attività ovvero la necessità di una struttura più snella in determinati reparti e maggiormente rispondente alle attività programmate: ciò non consentiva, secondo i giudici di seconde cure, al sindacato una puntuale verifica sulla legittimità della scelta operata.

9. In punto di diritto, deve rilevarsi la correttezza dell’assunto perchè la Corte territoriale ha reputato la comunicazione in contrasto con il normativo obbligo di trasparenza – senza che ciò possa costituire violazione del precetto di cui all’art. 41 Cost. – perchè non conforme al principio giurisprudenziale (cfr. tra le altre, Cass. 16.3.2007 n. 6225) che ha sancito, in tema di legittimità della comunicazione preventiva, il rispetto della sequenza logico-giuridica in virtù della quale: a) i dati comunicati dal datore di lavoro devono essere completi ed esatti; b) la funzione sindacale di controllo e valutazione non deve essere limitata da una eventuale loro insufficienza; c) deve sussistere un rapporto causale tra la carenza e la limitazione della funzione sindacale.

10. Tale verifica è stata, come sopra detto, adeguatamente e correttamente espletata dalla Corte di merito, con esito negativo, al termine di un accertamento di fatto insindacabile in questa sede.

11. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

12. Nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

13. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2020

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