LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SESTINI Danilo – Presidente –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 26356 del 2018 proposto da:
D.M.G., domiciliata presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’AVVOCATO BIAGIO LA VENUTA;
– ricorrente –
contro
D.M.M.C., in proprio e nella qualità di erede di D.F., elettivamente domiciliata in Roma alla via L.
Andronico 24, presso lo studio dell’AVVOCATO ILARIA ROMAGNOLI che li rappresenta e difende unitamente all’AVVOCATO FRANCESCA D’AURA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 01291/2018 della CORTE d’APPELLO di PALERMO, depositata il 29/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/09/2019 dal Consigliere Dott. Cristiano Valle;
udito l’Avvocato Sandra Aromolo per delega Avvocato Biagio La Venuta per la ricorrente e l’Avvocato Ilaria Romagnoli per parte controricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Palermo, Sezione Specializzata agraria ha parzialmente riformato, con sentenza n. 01291 del 29/06/2018, la sentenza del Tribunale di Termini Imerese, Sezione Specializzata Agraria, ed ha condannato D.M.M.C. e G., sorelle, al pagamento, ciascuna in relazione alla propria quota, della somma di Euro novantaduemilatrecentodiciottoventicinque, oltre interessi al saggio legale decorrenti dalla data della sentenza, in favore di D.F. a titolo di miglioramenti per lavori da questi effettuati su fondi detenuti in forza di contratto di affitto.
La sentenza del giudice territoriale d’appello è impugnata per cassazione da D.M.G. con cinque motivi.
Successivamente alla decisione dell’appello è deceduto D.F..
Quale controricorrente si è costituita la moglie, unica erede, D.M.M.C..
D.M.G. ha depositato memoria per l’udienza di discussione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il controricorso di D.M.M.C. è tardivo, come esattamente prospettato dalla ricorrente principale nella memoria di cui all’art. 378 c.p.c..
Della tardività ha dato atto anche il difensore della stessa parte, con conseguente ammissione alla partecipazione all’udienza ed alla discussione, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, u.p..
I cinque motivi di ricorso sono così formulati: il primo per violazione o falsa applicazione delle norme in tema di prova per presunzioni, il secondo ed il terzo per omesso esame di fatti decisivi e il quarto ed il quinto restanti per violazione e falsa applicazione delle norme in tema di miglioramenti di cui alla L. n. 203 del 1982.
I motivi del ricorso censurano, più precisamente, la sentenza d’appello ai sensi: il primo dell’art. 360, comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 2697,2727,2729 c.c., L. n. 203 del 1982, artt. 16 e 17, artt. 115 e 116 c.p.c..
Il secondo per omesso esame – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – in relazione alla prova di contratto di affitto.
Il terzo, parimenti, per omesso esame in relazione a ritenuta cessazione contratto di affitto.
Il quarto mezzo è proposto per art. 360, comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 203 del 1982, artt. 16 e 17 e artt. 115 e 116 c.p.c., per il criterio di calcolo del valore dei miglioramenti ed infine il quinto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 203 del 1982, artt. 16 e 17 e artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento alla quantificazione del valore della stalla.
La sentenza di appello afferma che sebbene mancasse una scrittura ad hoc l’esistenza del contratto di affitto poteva essere ritenuta certa sulla base della documentazione nella quale il D. era definito affittuario.
Il primo motivo di ricorso, in particolare, deduce violazione e falsa applicazione delle norme di diritto richiamate.
La motivazione della Corte territoriale afferma l’esistenza di un contratto di affitto sulla base della documentazione versata in atti di causa, in parte riveniente dalla stessa D.M.G., che, in una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, presa in esame dalla Corte di Appello, dichiarava di avere ceduto in affitto, insieme alla sorella M.C. ed alla madre T.L., l’appezzamento di terreno alla contrada *****, alla partita *****, foglio *****, particella ***** di are 5.06.00 al D. e lo autorizzava ad eseguire opere di miglioramento fondiario e segnatamene le coperture dei fabbricati.
Il materiale probatorio versato in atti risulta compiutamente valutato dalla Corte d’Appello, che, a riprova della corretta disamina del corredo istruttorio ha, successivamente, disatteso, nel prosieguo della motivazione, la domanda del D. di vedersi riconosciuto affittuario di un ulteriore appezzamento di terreno.
La motivazione della Corte territoriale si sottrae alle critiche mossele, in quanto coerente, altresì, con il costante orientamento di legittimità (Cass. n. 21187 del 08/08/2019 Rv. 655229-01): “Sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento. E, pertanto, insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice.”
Il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili, in quanto formulati richiamando l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, evidentemente nell’attuale formulazione, risalente al 2012, ma chiaramente denunciano una contraddittorietà della motivazione, in più parti, secondo il paradigma normativo precedente alla riforma di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134.
Il secondo motivo è, inoltre, inammissibile poichè superato dalla statuizione della Corte di Appello in punto di rilevanza dei documenti, in quanto il giudice territoriale, avendo preso in considerazione la documentazione relativa alla domanda di concessione per l’esecuzione di lavori edili, e la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà già sopra ricordata, ha, almeno implicitamente, disatteso la valenza probatoria della scrittura privata del 06/10/1977 e degli scritti difensivi di cui al giudizio di primo grado dinanzi il Tribunale di Termini Imerese. Giova, inoltre, evidenziare che la valenza probatoria degli scritti difensivi di un differente giudizio non è in alcun modo specificata e, peraltro, sulla base dell’orientamento di legittimità (Cass. n. 20701 del 02/10/2007 Rv. 599675-01 e Cass. n. 07702 del 19/03/2019 Rv. 653380-01), dalla quale questo Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, le ammissioni presenti negli atti difensivi, sottoscritti unicamente dal procuratore ad litem, non hanno natura confessoria, ma valore di indizi liberamente valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento mentre, qualora siano contenute in atti stragiudiziali, non hanno neppure tale ultimo valore.
Inoltre, e per completezza espositiva in ordine all’inammissibilità, posto che il motivo di ricorso nulla afferma sul punto, si rileva che la stipula di un contratto di affitto agrario tra D.M.G. e D.F. non sarebbe stata preclusa, astrattamente, dalla circostanza dell’essere quest’ultimo il coniuge dell’altra comproprietaria degli stessi fondi.
Il terzo motivo di ricorso concerne un ulteriore vizio di omesso esame di un fatto decisivo, attinente le condizioni di salute di T.L. che nell’anno 2004 le avrebbero impedito di esprimere un valido assenso alla cessazione del rapporto agrario con D.F. e prestare assenso all’instaurazione di un nuovo rapporto di affitto agrario con altro soggetto.
Il motivo non precisa, tuttavia, quando alla T. è stata concessa l’indennità di accompagnamento, in considerazione delle sue condizioni di disorientamento spazio-temporale, accertate nel 2001 e comunque non effettua adeguatamente il ragionamento per presunzioni, in quanto da una circostanza certa, ossia l’accertamento delle scadenti condizioni psichiche della T.L., fa derivare una conseguenza (l’invalidità del consenso) di non adeguata derivazione causale (Cass. nn. 4834 del 04/04/2002 Rv. 553514-01): “L’accertamento delle condizioni di invalidità o dei presupposti per l’indennità di accompagnamento ai fini previdenziali e assistenziali che ne conseguono, non costituisce accertamento sullo “status” della persona e cioè sulla di lei capacità di agire, giacchè i presupposti dell’interdizione o della inabilitazione (incapacità dell’interdicendo, per le condizioni di abituale infermità di mente – e, in minor misura, dell’inabilitando -, di provvedere ai propri interessi) sono diversi da quelli di invalidità e di incapacità a compiere da soli gli abituali atti della vita, necessari al riconoscimento della pensione di inabilità o dell’indennità di accompagnamento. Ne consegue che non eccede dall’ambito delle proprie competenze, a scapito di quelle del Tribunale in sede camerale ai sensi dell’art. 712 c.p.c., il giudice che accerti le condizioni di invalidità o i presupposti per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento o della pensione di inabilità”.
Il quarto motivo di ricorso attiene alle modalità di calcolo del valore del fondo di contrada ***** dopo i miglioramenti.
Il mezzo è inammissibile in quanto non censura specificamente le risultanze della consulenza tecnica di ufficio espletata nella fase di merito ed è, inoltre, infondato (ove non inammissibile).
La detta consulenza tecnica di ufficio, infatti, non è stata recepita integralmente dalla Corte, avendo il giudice dell’impugnazione proceduto ad una valutazione autonoma al fine di accertare compiutamente l’effettivo incremento di valore di mercato arrecato al fondo, secondo il criterio legale di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 17, comma 2 e l’indennizzo da corrispondere, tenendo conto anche dei fondi pubblici fruiti dal D. ed ha, altresì, espletato un supplemento di consulenza tecnica di ufficio, anche questo non specificamente contestato nelle fasi di merito.
Il mezzo è, pertanto, rigettato.
Il quinto motivo denuncia un errore di calcolo, dell’indennizzo delle opere realizzate dall’affittuario sul fondo.
Il mezzo è inammissibile, in quanto il semplice errore di calcolo è
emendabile con la procedura di correzione di errore materiale cui all’art. 287 c.p.c..
Il ricorso è, pertanto, rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza della ricorrente e, tenuto conto dell’attività espletata ritualmente dalla difesa della D.M.M.C., sono liquidate come in dispositivo.
La natura agraria della controversia preclude che debba darsi atto dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ai fini del raddoppio del contributo unificato sia per il ricorso principale che per quello incidentale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA ed IVA per legge;
rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica il D.P.R. n. 15 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 30 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2020
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