Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.143 del 08/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9237/2018 proposto da:

Comune di Castellaneta, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Barnaba Tortolini n. 30, presso lo studio del Dott. Placidi Alfredo, rappresentato e difeso dall’avvocato D’Ambrosio Luigi, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.C., in proprio e quale procuratore speciale di D.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via Vincenzo Picardi n. 4/b, presso lo studio dell’avvocato Caputi Iambrenghi Vincenzo, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 303/2017 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 14/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/10/2019 dal cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, con sentenza n. 303/2017, depositata in data 14/09/2017, – in controversia promossa da D.C., per sè e quale titolare di procura speciale ad amministrare del germano D.F., nei confronti del Comune di Castellaneta, per la determinazione dell’indennità di occupazione legittima di ampia porzione (mq 278.477) di un terreno originariamente a destinazione agricola, di ha 87.32.63, di proprietà dei germani D., utilizzato per azienda agricola a prevalente ordinamento cerealicolo e zootecnico, occupato, dal settembre 1999 al settembre 2004, per la realizzazione del secondo piano comunale per gli insediamenti produttivi, giusta variante urbanistica approvata nel 1996, essendo peraltro poi le infrastrutture realizzate sull’area rimaste del tutto inutilizzate, secondo l’assunto dell’attore, – ha determinato, conformemente alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio nominato, l’indennità di occupazione dovuta al D. nell’importo complessivo di Euro 5.184.298,22, comprensiva di interessi semplici al tasso legale (pari ad 1/12 del valore dell’area occupata comprensiva del deprezzamento alla parte residua, D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 33), nulla essendo dovuto a titolo di maggior danno ex art. 1224 c.c., in difetto di prova.

In particolare, i giudici d’appello, ritenuta la domanda sufficientemente articolata, hanno sostenuto che era infondata l’eccezione del Comune in ordine all’estensione dell’occupazione reale (secondo l’Ente, pari a soli tre ettari, avuto riguardo alla superficie effettivamente utilizzata per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria del PIP) ed alla continuazione dell’attività di coltivazione da parte dei proprietari, avendo il consulente accertato che: “l’area occupata è attualmente composta da un’estensione irreversibilmente trasformata in opere di urbanizzazione costituite da viabilità condotte fognarie interrate con relativi pozzetti di ispezione rilevati in superficie, manufatti di vario genere quali cisterne, siti di emungimento, edifici, che circondano aree rimaste incolte ed inutilizzate”; le aree non direttamente coinvolte dalla realizzazione delle opere sono risultate “non coltivate, sia pure con segni di coltivazioni di graminacee in alcuni punti”, mentre, in alcune zone “di impluvio o di accumulo di materiale”, il suolo è apparso più chiaramente “incolto da tempo e con alta vegetazione infestante”; altre aree, “come quella al vertice nordorientale del compendio e quella all’inizio della strada di penetrazione centrale”, sono risultate interessate “da scavi e reinterri che hanno modificato l’altimetria anche nelle zone non interessate direttamente dalle opere di urbanizzazione”. Le opere previste dal decreto di occupazione dovevano ritenersi dunque realizzate ed esse avevano avuto il previsto “carattere invasivo della proprietà degli stessi, trasformando le stesse per un’area incidente tra il 10 ed il 13% dell’intera superficie occupata e coinvolgendo le medesime aree per una percentuale complessiva variabile tra il 20% ed il 100%”, essendo rimasto indimostrato che i fondi occupati fossero stati coltivati lo stesso dai proprietari ed essendo emerso che il lavori iniziati dopo l’immissione in possesso avevano negli anni trasformato in molte parti il fondo anche per effetto dell’attraversamento sistematico da parte dei macchinari in lavorazione. In relazione al valore attribuibile, il consulente tecnico ha accertato che i terreni hanno assunto vocazione edificatoria ad uso artigianale ed industriale, a partire dal 1994, e comunque l’edificabilità degli stessi ad uso anche privato era stata ammessa dalla stessa amministrazione comunale ai fini del calcolo dell’imposta comunale sugli immobili; il prezzo di Euro 34,00/mq, era stato determinato dallo stesso Comune ai fini ICI “quale valore unitario dei suoli in zona PIP 2”.

Avverso la suddetta pronuncia, il Comune di Castellaneta propone ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi, nei confronti di D.C., in proprio e nella qualità(che resiste con controricorso). Entrambe le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione, erronea interpretazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 163 e 164 c.p.c., nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto la domanda sufficientemente specifica e motivata; 2) con il secondo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per avere la Corte di merito travisato una prova decisiva in ordine alla effettiva superficie oggetto di occupazione, che, dalla CTP espletata, risulta di circa e soli 30.000 mq, a fronte di quanto indicato nel verbale di presa di possesso del settembre 1999 (mq 278.477); 3) con il terzo motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo rappresentato dall’estensione dei suoli e della coltivazione degli stessi da parte dei proprietari, con riferimento ai doc.ti 17 e 18 del fascicolo del Comune, al verbale di Polizia locale allegato alle osservazioni alla CTU; 4) con il quarto motivo, la violazione, erronea interpretazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 865 del 1971, artt. 16 e 27, D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto che il suolo oggetto di occupazione avesse vocazione edificatoria e non agricola, atteso che con la variante al Piano di fabbricazione del 1994 il Comune aveva assoggettato i terreni a vincolo preordinato all’esproprio, che quindi non poteva essere considerato ai fini della liquidazione dell’indennità di occupazione; 5) con il quinto motivo, l’omesso esame, e art. 360 c.p.c., n. 5, di fatti decisivi in ordine alla quantificazione del valore venale delle aree occupate, individuato facendo richiamo ad un’unica deliberazione, riferibile non ai suoli ricadenti in zona PI ma alle “zone produttive per le attività secondarie” e comunque ad un valore (Euro 34/mq) comprensivo dei costi di urbanizzazione e necessari per il conseguimento del titolo edilizio, nella specie non sostenuti dai proprietari del suolo; 6) con il sesto motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo circa la destinazione urbanistica del suolo oggetto di occupazione, ritenuta edificatoria e non agricola; 7) con il settimo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 865 del 1971, art. 16, comma 10 e D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 sempre nella parte in cui la Corte di merito, travisando le conclusioni della CTU, ha ritenuto edificabile l’area di proprietà dei germani D.; 8) con l’ottavo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 865 del 1971, artt. 16 e 27, L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3 e D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 37 nella parte in cui la Corte (ed il CTU) hanno ritenuto, ai fini della determinazione del valore venale del bene, di potere fare riferimento ad un solo atto comunale recante determinazione del valore a fini ICI di tipologie di suoli diversi da quelli ricompresi nel PIP, senza fare applicazione di alcuno dei criteri di stima, analitico-ricostruttivo o sintetico-comparativo.

2. La prima censura è inammissibile. La Corte d’appello ha ritenuto la domanda dei germani D. sufficientemente motivata, sia in ordine all’esposizione del fatto sia in ordine al bene della vita richiesto.

Il ricorrente lamenta che si sarebbe dovuta ritenere nulla la domanda, per assenza di riscontri probatori, ma ciò non implica nullità per genericità dell’atto introduttivo per indeterminatezza dell’oggetto o della “causa petendi”.

3. Il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili.

In tema di occupazione destinata alla realizzazione di un’opera pubblica, la redazione del verbale di immissione in possesso in favore dell’ente espropriante, in conseguenza della pronuncia di un decreto di occupazione, fa presumere che la P.A., beneficiaria dell’occupazione stessa, si sia effettivamente impossessata dell’immobile e, nel contempo, esonera il proprietario espropriato dall’onere di provare l’avvenuto spossessamento (Cass. 7248/2014; Cass. 23505/2010).

Si è pure affermato che la formale redazione di un verbale di immissione in possesso, in conseguenza della pronuncia di un decreto di occupazione, fa presumere che la P.A., beneficiaria dell’occupazione stessa, si sia effettivamente impossessata dell’immobile e che il proprietario di questo subisca, durante l’occupazione, il duplice danno di aver perso la facoltà di godimento del bene e di vedersi limitata la facoltà di disporne, il che comporta che non ricada sul proprietario la prova di aver sofferto la perdita del possesso dell’immobile, essendo il beneficiario del provvedimento di occupazione a dover dimostrare la mancata esecuzione del provvedimento amministrativo di occupazione (Cass. 8384/2008).

Così le Sezioni Unite (Cass. n. 18077/209) hanno chiarito che “in tema di occupazione temporanea e d’urgenza di un immobile espropriando, l’onere del beneficiario dell’occupazione di provare la persistenza del godimento sul bene da parte del proprietario, al fine di escludere il diritto all’indennità di occupazione, deve riguardare tutte le prerogative che a questo derivino dal possesso del bene, atteso che nel caso di godimento solo “pro parte”, ovvero limitato ad alcune attività soltanto, il diritto all’indennità non può essere escluso, dovendosi valutare, piuttosto, in quale misura il godimento parziale o limitato incida sulla determinazione dell’indennità medesima” (in una fattispecie relativa ad occupazione regolata, “ratione temporis”, dalla L. n. 865 del 1971, art. 10).

Nella presente fattispecie, la Corte d’appello ha preso in esame la questione dell’estensione dell’occupazione reale dell’area, riproducendo le condivise conclusioni del consulente tecnico d’ufficio in ordine all’infondatezza dell’eccezione sollevata dal Comune sulla minore superficie incisa dall’effettiva occupazione e rilevando che il consulente, sulla base di documenti e “letture di fotografie”, aveva concluso nel senso dell’infondatezza dell’eccezione, accertando che “l’area occupata è attualmente composta da un’estensione irreversibilmente trasformata in opere di urbanizzazione costituite da viabilità condotte fognarie interrate con relativi pozzetti di ispezione rilevati in superficie, manufatti di vario genere quali cisterne, siti di emungimento, edifici, che circondano aree rimaste incolte ed inutilizzate”.

Con le doglianze il ricorrente, al di fuori dai limiti dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, tende a capovolgere l’accertamento in fatto compiuto dalla Corte di merito sul fatto che l’occupazione da parte dell’Ente espropriante è insistita sull’intera estensione individuata nel decreto del 1999 e nel verbale di consistenza, per mq 278.477 e non su soli 30.000 mq.

Quanto poi alla questione relativa alla protratta coltivazione durante l’intero periodo di occupazione legittima, il fatto è stato smentito dagli accertamenti peritali ed è stato preso in esame dalla Corte di merito.

Nè la decisione può essere ritenuta del tutto affetta da illogicità e contraddittorietà per avere richiamato le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio in ordine alla indicazione della percentuale dell’area interessata direttamente da opere di urbanizzazione che l’hanno trasformata (tra il 10 ed il 13%, avuto riguardo rispettivamente alle proprietà di ciascuno dei due germani D., quella di C., di mq 272.717, e quella di F., di soli mq 5.760) e di quella, tenuto conto anche delle aree soltanto “compromesse” dai lavori, delle aree comunque coinvolte anche indirettamente dall’intervento pubblico, individuata in una percentuale “variabile tra il 20% ed il 100%”, sia pure avuto riguardo, rispettivamente, a ciascuna delle proprietà dei due fratelli.

4. Il quarto motivo è infondato.

Il Comune ricorrente assume che la Delib. 1994, di variante al piano di fabbricazione vigente attraverso l’introduzione in alcune aree a verde agricolo di una diversa destinazione urbanistica ad insediamenti produttivi di tipo industriale, avrebbe natura di vincolo preordinato all’esproprio e che erroneamente l’area sarebbe stata ritenuta edificabile, in quanto, prima dell’attuazione del P.I.P., essa aveva valenza agricola.

Ma questa Corte ha da tempo precisato (Cass. 3459/2017; Cass. 19128/2006; Cass. 9891/2007) che “l’inclusione di un’area in un piano per insediamenti industriali (p.i.p.) ne implica l’acquisizione della prerogativa di edificabilità, non diversamente dall’inserimento in un piano di zona per l’edilizia economica e popolare (p.e.e.p.), anche ove l’originaria zonizzazione del piano regolatore generale ne comportasse la qualificazione come suolo agricolo: infatti, l’acquisto del carattere di edificabilità avviene in virtù della variante introdotta dal piano attuativo, che in tale parte va considerato strumento programmatorio e conformativo”.

5. Il quinto motivo è inammissibile.

Esso viene dedotto come omesso esame di fatti decisivi, ex art. 360 c.p.c., n. 5, individuati nel fatto che, nella deliberazione n. 37 del 2003, il Consiglio comunale non aveva determinato il valore venale dei suoli occupati nella zona PIP 2 ma, ai soli fini dell’ICI, aveva stimato, per i suoli aree ricadenti in zone omogenee “produttive per attività secondarie”, per le aree per le quali era stata già rilasciata concessione edilizia, la base di calcolo dell’imposta nella misura di Euro 34 al mq, nonchè nel fatto che comunque, in una Delib. successiva del 2014 il valore di mercato dei lotti ricadenti in zona PIP-2 da cedere in proprietà era stato stimato dal Consiglio comunale, non già in Euro 29,02 al mq (come ritenuto nel 2013), ma in Euro 7 al mq ed infine che il valore di Euro 34,00 era riferibile in ogni caso al prezzo di cessione in proprietà di un lotto già urbanizzato e pronto per l’edificazione, laddove le aree in questione, essendo destinate a colture, risultano prive delle opere di urbanizzazione, realizzate a cura e spese del comune. Infine, il CTU non avrebbe considerato, da un lato, quanto emerso dalle indagini dal medesimo effettuate presso notai, l’Istat, l’Agenzia per il territorio, emergendo da tali indagini valori di mercato inferiori e, dall’altro lato, la conformazione dei terreni in oggetto, attraversati centralmente da due corsi d’acqua che ne condizionano l’utilizzo.

Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 8053/2014) hanno precisato, in ordine alla portata dell’art. 360 c.p.c., n. 5 modificato, che “l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

Ora, dalla sentenza impugnata non emergono i fatti di cui è contestato l’omesso esame ed il ricorrente non indica in quali atti processuali essi nel merito erano stati dedotti.

In ogni caso, per consentire a questa Corte di vagliare la decisività dei fatti illustrati, soprattutto quelli volti a contestare l’erroneità del parametro di riferimento assunto dalla Corte, in particolare l’effettivo contenuto dell’atto comunale del 2003, il ricorrente avrebbe dovuto ritrascrivere la deliberazione, denominata “foglio di avviso” nella decisione impugnata e nella relazione del consulente, anche perchè il controricorrente, a pag. 32 del controricorso, ha ribadito che, nella Delib. 2003, vi era un preciso riferimento al valore venale di aree fabbricabili ed al “Piano di Insediamenti Produttivi n. 2 e varianti”. Altri fatti poi non risultano decisivi, perchè ininfluenti (quali quelli che fanno richiamo ad una Delib. comunale del 2014, vertendosi nel presente giudizio in ambito di occupazione di area dal 1999 al 2004) o del tutto generici (con riguardo all’esistenza di indagini del consulente tecnico non prese in considerazione dalle quali sarebbe emerso un valore venale unitario inferiore di terreni omogenei).

6. Anche il sesto motivo è inammissibile, in quanto non viene dedotto un omesso esame di un fatto decisivo, ai fini del nuovo disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 5 quanto una non corretta individuazione della destinazione urbanistica del suolo oggetto di occupazione e quindi una questione giuridica o argomentazione, irrilevanti (Cass. 21152/2014). La Corte di merito ha dato rilievo al fatto, riconosciuto dallo stesso ricorrente, della acquisizione, successivamente alla variante a P.d.F., della natura edificatoria dell’area.

7. Il sesto motivo è infondato per le medesime ragioni già evidenziate in risposta al quarto motivo.

8. L’ottavo motivo è del pari infondato.

La Corte d’appello ha condiviso le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio e, con riguardo al valore unitario dell’area, ha fatto sinteticamente richiamo ad un atto proveniente dallo stesso Ente relativo a suoli in zona PIP 2 ai fini del calcolo dell’imposta comunale sugli immobili.

Ora, questa Corte (Cass. 7288/2013) ha affermato che “in tema di espropriazione per pubblica utilità, la determinazione del valore del fondo è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito che sceglie se utilizzare il metodo analitico-ricostruttivo, teso ad accertare il valore di trasferimento del fondo o il metodo sintetico-comparativo, volto invece a desumere dall’analisi del mercato il valore commerciale attraverso il riferimento alle aree omogenee. Ne consegue che il giudice del rinvio, ove venga utilizzato il criterio sintetico-comparativo, dovrà tenere conto delle condizioni apprezzate dal mercato immobiliare che, in base alla destinazione urbanistica della zona in cui l’immobile è compreso, possano incidere sulla sua edificabilità di fatto ed indurre alla determinazione del suo effettivo valore venale, mentre, ove venga prescelto il metodo analitico-ricostruttivo, diretto ad accertare il valore di trasformazione del suolo edificabile, dovrà considerare anzitutto la densità volumetrica esprimibile in base agli indici di fabbricabilità della zona omogenea in cui è incluso, al netto degli spazi assegnabili a standards, nonchè delle spese di urbanizzazione relative alle opere che, poste in essere dall’amministrazione, assicurano l’immediata utilizzazione edificatoria dell’area”. Sempre questa Corte (Cass. 6243/2016) ha chiarito che “in tema di liquidazione dell’indennità di espropriazione per le aree edificabili, la determinazione del valore del fondo può essere effettuata tanto con metodo sintetico-comparativo, volto ad individuare il prezzo di mercato dell’immobile attraverso il confronto con quelli di beni aventi caratteristiche omogenee, quanto con metodo analitico-ricostruttivo, fondato sull’accertamento del costo di trasformazione del fondo, non potendosi stabilire tra i due criteri un rapporto di regola ad eccezione, e restando pertanto rimessa al giudice di merito la scelta di un metodo di stima improntato, per quanto possibile, a canoni di effettività”. L’adozione di uno di tali metodi rende peraltro superflua l’analisi degli elementi su cui si fonda l’altro, con la conseguenza che ove, come nella specie, sia stato adottato quello sintetico-comparativo, resta del tutto irrilevante l’omessa valutazione dell’incidenza delle aree da destinare a spazi pubblici o delle spese di urbanizzazione, trattandosi di oneri che assumono uno specifico rilievo soltanto ai fini dell’applicazione del metodo analitico-ricostruttivo, mentre risultano preventivamente scontati nelle valutazioni di mercato relative alle aree edificabili.

La scelta, nell’ambito del metodo sintetico-comparativo, di un parametro costituito da una delibera proveniente dalla stessa amministrazione comunale adottata, per quanto risulta dalla decisione, per aree edificabili omogenee, nell’anno 2003 (e qui si discuteva di occupazione legittima protrattasi dal 1999 al 2004), e concernente a sua volta una stima del valore di mercato, sia pure a fini fiscali, non integra di per sè la violazione di legge contestata dal ricorrente.

9. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 15.000,00, a titolo di compensi, oltre 200,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, commaq 1 bis.

Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2020

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