LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6842/2015 proposto da:
M.L., in proprio e in qualità di erede di M.S., elettivamente domiciliata in Roma, Via Cosseria n. 2, presso lo studio dell’avvocato Placidi Alfredo, rappresentata e difesa dagli avvocati Foschi Arnaldo e Rolli Marta, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Comune di Forlì, in persona del Dirigente del Servizio Affari Generali pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Caio Mario n. 7, presso lo studio dell’avvocato Fedeli Barbantini Luigi, rappresentato e difeso dall’avvocato Alberti Maria Anna, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1980/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, del 17 settembre 2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2 ottobre 2019 dal cons. Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 17 settembre 2014, ha rigettato la domanda di M.L., la quale aveva chiesto di condannare il Comune di Forlì al pagamento dell’indennizzo per la protrazione ultraquinquennale dei vincoli espropriativi e comportanti inedificabilità assoluta apposti sull’area di sua proprietà (in catasto al foglio *****), interessata in parte da un progetto di realizzazione di una strada e della relativa fascia di rispetto e in parte da vincoli di inedificabilità assoluta.
La Corte, premesso che i vincoli conformativi non sono soggetti a scadenza, imponendo un sacrificio della proprietà in via generale ed astratta su una pluralità di beni, diversamente dai vincoli espropriativi preordinati alla realizzazione di un’opera pubblica, ha rilevato che non vi era stata una reiterazione quinquennale del vincolo Peep, in relazione al periodo dal 1974 al 1992 e che, comunque, la proprietaria non si era avvalsa della facoltà di chiedere la concessione, a norma della L. n. 10 del 1977, art. 4; che era incontestata l’insussistenza dei requisiti di indennizzabilità di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39 con riferimento alla zona agricola; che il vincolo riferibile alla zona destinata a spazi pubblici attrezzati e zona FE3 era di tipo conformativo, essendo imposto non a titolo particolare ma in via generale e, analogamente, il vincolo stradale nel sistema tangenziale della città di Forlì.
Avverso questa sentenza M.L. ha proposto ricorso per cassazione, resistito dal Comune di Forlì.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo la ricorrente ha denunciato violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39, art. 42 Cost., art. 1 del Protocollo art. 1 Cedu e art. 17 della Carta dei diritti fondamentali UE, per avere affermato l’indennizzabilità della reiterazione dei soli vincoli preordinati all’esproprio e non di quelli sostanzialmente espropriativi, come invece previsto dall’art. 39 citato e dalla sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999, la quale aveva distinto i vincoli conformativi non indennizzabili da quelli “sostanzialmente espropriativi” o comportanti “inedificabilità assoluta”; ha dedotto la natura sostanzialmente espropriativa o di inedificabilità assoluta dei vincoli riguardanti gli spazi pubblici destinati a parco e di quelli desumibili dal Peep per la realizzazione dell’asse di arroccamento e delle opere stradali.
Il motivo è inammissibile, risolvendosi in una generica e astratta denuncia di erronea interpretazione complessiva della normativa di settore da parte della giurisprudenza, in ordine alla tipologia dei vincoli indennizzabili in caso di reiterazione, senza confrontarsi con il contenuto intrinseco della sentenza impugnata. Ciò avrebbe richiesto una enucleazione e argomentata censura delle specifiche affermazioni ritenute contrarie a legge, previa analitica illustrazione degli elementi fattuali della vicenda, in ordine alle singole aree coinvolte, ai vincoli rispettivamente apposti e, soprattutto, alla loro durata e reiterazione nel tempo. Questa Corte non è stata posta quindi in condizione di comprendere i termini della fattispecie, con l’effetto che il ricorso è inammissibile per difetto di specificità, a norma dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
PQM
La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 3200,00.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2020