LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6805-2014 proposto da:
M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GORIZIA 14, presso lo studio degli avvocati FRANCO SABATINI, AUGUSTO SINAGRA, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
MINISTERO AFFARI ESTERI, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5065/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/07/2013 R.G.N. 5912/2010.
RILEVATO
che:
1. con la sentenza n. 5065, resa in data 3 luglio 2013, la Corte d’appello di Roma, decidendo sull’impugnazione del Ministero degli Affari Esteri, in riforma della decisione primo grado, respingeva la domanda proposta da M.A., adibita a mansioni ausiliare ed in particolare ai servizi di centralinista/commesso presso l’Ambasciata di Bruxelles, da ultimo con contratto a tempo indeterminato regolato dalla legge italiana con decorrenza 20/9/2002 (area B, posizione economica B1 del c.c.n.l. Comparti Ministeri 1998/2001), intesa ad ottenere l’accertamento del suo diritto all’ammissione al concorso per il passaggio interno per la copertura di un posto di B2 di cui al bando 12/4/2005 dell’Ambasciata ovvero in subordine del diritto al risarcimento del danno da perdita di chance e l’accertamento dello svolgimento di mansioni superiori corrispondenti alla posizione B2 a far data dal 20/2/2004 (data dell’ordine di servizio del Primo Consigliere dell’Ambasciata) e fino al 20/1/2008 (data di restituzione al servizio di centralino telefonico e archivio), con condanna del Ministero al pagamento delle differenze retributive;
2. la Corte territoriale, ritenuto preliminarmente che non avesse formato oggetto di impugnazione la pronuncia di prime cure nella parte in cui aveva respinto l’eccezione del Ministero di difetto di giurisdizione del giudice adito e nella parte in cui aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda di risarcimento per perdita di chance, riteneva che la circostanza che al momento della domanda giudiziale la procedura selettiva interna fosse stata già conclusa con la pubblicazione della relativa graduatoria precludesse l’accoglimento della domanda di ammissione a tale procedura con il conseguente assorbimento dei profili attinenti al possesso dei requisiti per la partecipazione;
quanto alla domanda di riconoscimento delle differenze retributive per l’asserito svolgimento di mansioni superiori, riteneva che il Ministero avesse contestato in maniera specifica le allegazioni della M. e che quest’ultima non avesse neppure allegato prove a sostegno di tali allegazioni essendosi la stessa solo limitata a produrre ordini di servizio dell’Ambasciata di Bruxelles che, però, non potevano assumere alcun valore in quanto dagli stessi non era dato evincere quali fossero state in concreto le mansioni svolte dalla M.;
rilevava, inoltre, che nel ricorso di primo grado non fosse stata effettuata la comparazione delle mansioni del livello di appartenenza e di quello superiore invocato così da precludere ogni possibile confronto nè allegata la pienezza delle mansioni superiori asseritamente espletate, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, in relazione alle concrete attività svolte e alle responsabilità attribuite;
2. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso M.A. articolando tre motivi, ai quali ha opposto difese il Ministero degli Affari Esteri con tempestivo controricorso;
3. la ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 228,229 e 116 c.p.c. nonchè dell’art. 437 c.p.c.;
sostiene che la Corte territoriale, assecondando le critiche del Ministero appellante, avrebbe ritenuto acquisita al processo, e pertanto pacifica, la circostanza dell’avvenuta conclusione della procedura concorsuale (perchè di essa la ricorrente aveva dato atto e perchè tale conclusione era stata documentata con il doc. n. 4 del fascicolo dell’appellante) laddove le ammissioni contenute in un atto difensivo (e nella specie, secondo le affermazioni della Corte territoriale, nello stesso atto introduttivo del ricorso di primo grado) avrebbero potuto avere solo valore indiziario considerato che la M. non aveva sottoscritto personalmente il ricorso ex art. 414 c.p.c.;
inoltre la Corte territoriale avrebbe dato ingresso in appello ad un’eccezione del Ministero mai sollevata nel corso del giudizio di primo grado;
2. con il secondo motivo la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo che era stato oggetto di discussione tra le parti;
lamenta che la Corte territoriale avrebbe ritenuto ostativa alla domanda di inclusione della graduatoria l’approvazione della graduatoria da parte del D.M. 17 ottobre 2005, n. 32/982 prodotto ex adverso che era solo di approvazione dell’ammissione ai tirocini e non già di approvazione della graduatoria finale e dunque si trattava di una atto endoprocedimentale;
rileva che non si tratta, nella specie, di una procedura comparativa per titoli ed esami tra i candidati addetti alle varie Rappresentanze diplomatiche e di un vero e proprio concorso, come risulta dal Protocollo d’Intesa tra P.A. e OO.SS. del 2004 (trascritto sul punto e allegato al ricorso per cassazione);
quindi il D.M. 17 ottobre 2005, n. 032/982, prodotto dal MAE in appello, non sarebbe di approvazione della graduatoria finale, ma solo della graduatoria di ammissione ai tirocini formativi nelle diverse sedi consolari all’estero presso le Ambasciate (tra le quali non è inclusa l’Ambasciata di Bruxelles che aveva indetto il bando al quale la ricorrente aveva partecipato) ed integrerebbe un mero atto endoprocedimentale di una procedura paraconcorsuale;
per tali ragioni non si sarebbe trattato di riaprire una procedura già conclusa alla data del ricorso di primo grado bensì solo di riprenderne il corso con riguardo alla sede diplomatico-consolare di Bruxelles;
3. con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli arti. 112, 115, 116, 132, 342, 434 e 416 c.p.c., omesso esame circa più fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti;
censura la sentenza impugnata per aver posto a base della decisione motivi che non corrispondevano alle censure di cui all’atto di appello del Ministero il quale si era limitato dedurre che la non contestazione dei fatti non poteva comportare come conseguenza che gli stessi dovessero ritenersi provati e che la ricorrente non aveva fornito alcun elemento di prova della presunta prevalenza delle mansioni superiori;
sostiene che la prodotta certificazione sottoscritta dal Primo Consigliere dell’Ambasciata italiana di Bruxelles deponesse già per lo svolgimento delle rivendicate mansioni superiori evidenziandosi nella stessa la sostituzione da parte della M. di impiegato B3 ed i compiti svolti;
evidenzia, analogamente, che i compiti di cui al superiore livello emergessero dall’ordine di servizio n. 7/2005 a firma dell’Ambasciatore dell’epoca e dall’attestazione del 22/11/2008 a firma del nuovo Ambasciatore;
assume che gli indicati documenti non potessero essere considerati del tutto privi di efficacia probatoria;
sostiene che, nel momento in cui la P.A., attraverso una disposizione di servizio, ordina ad un dipendente di svolgere determinate mansioni, è da presumere sino a prova contraria, che quell’ordine sia stato eseguito e che, pertanto, il dipendente abbia svolto le mansioni in esso descritte;
rileva, inoltre, che nel caso in questione non erano stati prodotti solo ordini di servizio ma anche attestazioni certificative dello svolgimento delle mansioni di cui alle rivendicazioni economiche;
4. i primi due motivi di ricorso sono inammissibili;
4.1. anche a prescindere dalla questione dell’avvenuta conclusione o meno del concorso per il passaggio interno per la copertura di un posto B2, è pacifico che per il bando – che è la lex specialis del concorso – l’anzianità minima di servizio richiesta (quattro anni) dovesse essere maturata con contratto regolato dalla legge italiana;
la ragione dell’esclusione della M. era da ricollegarsi alla mancanza del suddetto requisito;
orbene, non risulta dai suddetti motivi di impugnazione che sia stata in alcun modo riproposta in sede di legittimità la questione della eventuale disapplicazione della indicata clausola del bando con indicazione delle ragioni a sostegno della stessa (nella sentenza impugnata si dà atto che non era stato impugnato dal Ministero il capo della sentenza di primo grado che aveva respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione);
ciò esclude, a monte, un interesse della ricorrente ad affrontare il tema della conclusione della procedura concorsuale (ovvero, come definita, paraconcorsuale) già al momento della proposizione della domanda giudiziale, mancando elementi di giudizio per contrastare la posizione ribadita in questa sede dal Ministero secondo il quale, anche a procedura ancora in corso, la M. sarebbe stata comunque legittimamente esclusa;
4.2. senza dire che l’accertamento dell’avvenuta conclusione della procedura concorsuale è questione di merito, insuscettibile di riesame in sede di legittimità;
5. è invece fondato il terzo motivo di ricorso;
5.1. si duole principalmente la ricorrente della totale svalutazione della documentazione prodotta a sostegno della domanda;
5.2. come si evince dagli atti puntualmente trascritti ed allegati al ricorso per cassazione quelli sottoposti all’attenzione dei giudici di merito erano stati sia ordini di servizio dai quali risultavano le mansioni che la M. era stata chiamata a svolgere sia attestazioni certificative che davano conto delle mansioni effettivamente svolte;
si rileva, in particolare, dalla indicata documentazione che la M., a partire dal 20/2/2004 era stata incaricata di sostituire un impiegato B3 e di trattare le contravvenzioni internazionali effettuate in Italia dalle polizie italiane a carico di veicoli con targa belga – si veda il documento 12 di cui al fascicolo di primo grado di parte ricorrente, all. n. 10 al ricorso per cassazione – quindi con ordine di servizio n. 7/2005 a firma dell’Ambasciatore dell’epoca, era stata destinata alla segreteria dell’Ambasciata – Ufficio Politico con compiti di segreteria (traduzione e copia) nonchè mansioni connesse all’aggiornamento del sito web) – si veda il documento 13 di cui al fascicolo di primo grado di parte ricorrente, all. n. 11 al ricorso per cassazione -;
si rileva, inoltre, dal riprodotto contenuto del citato documento 12 di cui al fascicolo di primo grado di parte ricorrente – all. n. 10 al ricorso per cassazione – che la M., come detto incaricata dal 20/2/2004 addirittura della sostituzione di un impiegato B3, aveva effettivamente curato lo svolgimento di attività così descritte: richieste dati al PRA belga, corrispondenza sulle multe con i Comuni e le Polizie italiani, trasmissione dati e verbali multa alla rete consolare in Belgio con richiesta di notifiche-contravvenzioni (quelle già autorizzate dalle Autorità italiane) a mezzo fax o note, riferendo sempre direttamente al Primo Consigliere dell’Ambasciata e dal documento 15 di cui al fascicolo di primo grado di parte ricorrente – all. n. 12 al ricorso per cassazione – che la predetta aveva, nel periodo dal 14/6/2006 al 28/1/2008, corrispondente al mandato dell’Ambasciatore di cui alla certificazione, organizzato il lavoro della segreteria del Primo Consigliere e spesso anche quella dell’Ambasciatore, curato il sito web dell’Ambasciata, dato prova di essere in grado di redigere e tradurre lettere, note e verbali con gran chiarezza e soprattutto di procedere con accortezza e diplomazia ogni qualvolta la situazione lo avesse richiesto.
5.3. ed allora va ricordato che gli atti e certificati provenienti dalla pubblica amministrazione o da enti pubblici, essendo assistiti – per il principio d’imparzialità della P.A. – da una presunzione (juris tantum) di corrispondenza al vero delle attestazioni ed enunciazioni di fatto in essi contenuti, possono essere posti a fondamento del convincimento del giudice di merito, anche se la pubblica amministrazione e gli enti pubblici, da cui gli atti stessi provengono, siano parti in causa (v. Cass. 30 luglio 1987, n. 6595; Cass. 24 febbraio 2004, n. 3654; Cass. 2 marzo 2012, n. 3253; Cass. 17 settembre 2014, n. 19784);
vi è da chiedersi se il suddetto principio possa essere applicato laddove gli atti e le certificazioni provengano da soggetti (Ambasciatore, Primo Consigliere) che svolgono funzioni di rappresentanza dello Stato all’estero;
si ricorda che le Ambasciate o Rappresentanze diplomatiche sono organi esterni dello Stato cui appartengono ed i loro titolari (ambasciatori o agenti diplomatici) hanno la funzione di rappresentare ad ogni effetto il proprio Stato presso quello straniero dove sono accreditati, non esaurendosi la loro attività nel campo strettamente politico e pubblico ma estendendosi altresì senza che vi osti alcuna norma di diritto internazionale -, ad ogni altro campo, compreso quello privatistico, nel quale sia necessario tutelare gli interessi dello Stato rappresentato (v. Cass. 29 gennaio 2010, n. 2041);
i suddetti rappresentanti sono, però, anche titolari dell’ufficio o missione diplomatica cui sono preposti competendo agli stessi la direzione e responsabilità della sede consolare e come tali sovraintendono anche ai servizi amministrativi e tecnici e non dunque solo alle funzioni consolari in senso stretto (tanto si evince, nel caso in esame, proprio dal contenuto degli ordini di servizio sopra richiamati);
ed allora non vi è motivo per negare alle certificazioni degli Ambasciatori preposti all’ufficio consolare cui era addetta la M. quella presuntiva valenza di corrispondenza al vero delle attestazioni ed enunciazioni di fatto in esse contenute tipica degli atti e certificati provenienti dalla pubblica amministrazione o da enti pubblici;
5.4. va, poi, ricordato che la disciplina delle mansioni nell’impiego pubblico contrattualizzato differisce sensibilmente da quella civilistica, perchè vengono in rilievo interessi di carattere generale, quali sono quelli dell’efficienza degli uffici pubblici, del pubblico concorso (che secondo la giurisprudenza costituzionale opera anche in caso di inquadramento nella fascia funzionale superiore, cfr. Corte Cost. 29 maggio 2002, n. 218), del contenimento e della necessaria predeterminazione della spesa, che impongono al datore di lavoro pubblico, fatta eccezione per i casi espressamente previsti dalla legge, di assegnare al dipendente solo compiti che siano corrispondenti alla qualifica di assunzione o a quella legittimamente “acquisita per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive” (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 nel testo applicabile ratione temporis);
in detti rapporti, quindi, l’esercizio di mansioni superiori in nessun caso fa sorgere il diritto alla definitiva acquisizione della diversa qualifica, tanto che, ove l’assegnazione venga disposta dal datore senza che ricorrano i presupposti previsti dalla legge, la stessa è affetta da nullità;
il dipendente, tuttavia, può rivendicare il trattamento retributivo corrispondente alla qualità e quantità del lavoro prestato, limitatamente al periodo in cui la prestazione è stata eseguita;
il legislatore, inoltre, ha anche previsto, a conferma di quanto si è detto sulla presenza di interessi generali di rilievo costituzionale, la responsabilità personale del dirigente che abbia dato causa ai maggiori esborsi, ove ciò sia avvenuto in conseguenza di dolo o colpa grave;
5.5. se è vero, poi, che, ai fini del riconoscimento dello svolgimento di mansioni superiori, non possono assumere rilevanza decisiva i semplici ordini di servizio o lo svolgimento di mansioni fondato su una mera scelta organizzativa dell’amministrazione che intenda utilizzare i dipendenti per compiti diversi da quelli propri della qualifica rivestita, ciò non esclude che detti ordini, specie laddove non si tratti, come nella specie, di libere determinazioni di funzionari amministrativi ma di formali provvedimenti adottati dal preposto alla sede consolare e corroborati da certificazioni attestanti lo svolgimento delle mansioni così come indicate negli ordini stessi, possano avere una rilevanza quantomeno presuntiva ai fini (non, certo, dell’attribuzione del superiore livello ma) delle corrispondenti differenze retributive – si veda anche Cass., Sez. Un., 29 maggio 2012, n. 8520 che, rispetto a Cass. 19 aprile 2007, n. 9328, citata nella sentenza impugnata e relativa all’attribuzione di incarichi dirigenziali, ha ritenuto corretta la decisione di merito che aveva valorizzato l’attribuzione delle funzioni superiori in supplenza del titolare nel senso di escludere una fungibilità di attribuzioni, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 all’interno dell’area di inquadramento del dipendente e di configurare una assegnazione, in via di fatto, di funzioni proprie della posizione superiore rivendicata dall’impiegato -;
5.6. non può, infine, dirsi che la ricorrente non avesse nell’atto introduttivo del giudizio indicato gli elementi caratterizzanti la qualifica superiore avendo la stessa, come si evince dallo stesso ricorso per cassazione (pagg. 4, 18 e 19 e doc. 1, 3 e 4 del fascicolo di primo grado, all. 7, 8, e 9 al ricorso per cassazione), dopo aver dedotto di essere inquadrata in B1 per disimpegnare mansioni ausiliarie, adibita ai servizi di centralinista/commesso, descritto i compiti svolti a partire dal 20/2/2004, in sostituzione dell’impiegato B3 e quelli successivamente espletati a decorrere dal 4/4/2005 presso la Segreteria dell’Ambasciata – Ufficio Politico, compiti asseritamente riconducibili alle specifiche professionali di cui alla posizione economica B2 del c.c.n.l. Comparto Ministeri;
5.6. ed allora non poteva la Corte territoriale respingere tout court l’azionata domanda della M. di riconoscimento delle differenze retributive ritenendo un totale difetto di allegazione di cui al ricorso introduttivo del giudizio e del tutto svalutando la documentazione prodotta dalla ricorrente (ordini di servizio e certificazioni) ed i compiti specificamente indicati nella stessa cui in sede di ricorso era stato fatto puntuale riferimento;
5.7. vale osservare che, come affermato in giurisprudenza di legittimità (v. Cass., Sez. Un., 24 marzo 2006, n. 6572; Cass. 19 dicembre 2008, n. 29832), le presunzioni non costituiscono uno strumento probatorio di rango secondario nella gerarchia dei mezzi di prova e più debole rispetto alla prova diretta o rappresentativa;
va anche sottolineato come, alla stessa stregua di quella legale, la presunzione vale sostanzialmente a facilitare l’assolvimento dell’onere della prova da parte di chi ne è onerato, trasferendo sulla controparte l’onere della prova contraria;
6. conclusivamente va accolto il terzo motivo di ricorso e dichiarata l’inammissibilità dei primi due;
la sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d’appello di Roma che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame, attenendosi ai principi di diritto di cui ai punti che precedono e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità;
7. l’accoglimento del ricorso rende inapplicabile il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e dichiara inammissibili gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 30 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2020
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