Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Sentenza n.157 del 09/01/2020

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Primo Presidente f.f. –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Presidente di Sez. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez. –

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente di Sez. –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21228-2017 proposto da:

ERG HYDRO S.R.L. (già Hydro Terni s.r.l.), in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARIA CRISTINA 2, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI CORBYONS, rappresentata e difesa dagli avvocati EUGENIO BRUTI LIBERATI e CHIARA MARRAMA;

– ricorrente –

contro

V.U.S. VALLE UMBRA SERVIZI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. PIERLUIGI DA PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avvocato MARCO PROSPERETTI, che la rappresenta e difende;

COMUNE DI SPOLETO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. PIERLUIGI DA PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avvocato MARCO PROSPERETTI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

AMBITO TERRITORIALE INTEGRATO 3 UMBRIA, E.ON PRODUZIONE S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 99/2017 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 04/05/2017.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/10/2019 dal Presidente FRANCESCO ANTONIO GENOVESE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto dei primi tre motivi di ricorso ed accoglimento del quarto;

uditi gli avvocati Eugenio Bruti Liberati e Marco Prosperetti.

FATTI DI CAUSA

1.- Il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche (d’ora in avanti, solo TRAP) presso la Corte d’appello di Roma, sulla domanda proposta da Endesa Italia spa nei confronti del Comune di Spoleto, della Valle Umbra Servizi spa (d’ora in avanti, solo V.U.S. spa) e dell’Autorità di ambito territoriale ottimale – Umbria ***** (di seguito, ATO – Umbria *****), terzo chiamato in causa da V.U.S. spa, per conseguire il risarcimento dei danni dovuto all’illecita sottensione delle acque, a fini potabili, prelevate dal torrente Argentina (facente parte del sistema idrico costituito dai corsi d’acqua tributari dei fiumi *****, a loro volta assoggettati all’alimentazione degli impianti idroelettrici (di *****), gestiti dalla società attrice, quale avente causa di Enel spa, Elettrogen spa, Endesa Italia srl e Endesa Holding srl), ha condannato il Comune, per il detto prelievo, effettuato nel periodo novembre 2000 – dicembre 2001, e la società V.U.S., per quello operato dal successivo gennaio 2002 all’agosto 2006, a corrispondere le somme di cui alla sentenza, con gli accessori, al ricordato titolo di illegittima sottensione delle acque, praticata in mancanza di concessione, da parte dei due enti (succedutisi nella gestione degli impianti di prelievo idropotabile dalla richiamata sorgente Argentina).

1.1. – Il TRAP ha respinto, altresì, le domande del Comune, nei confronti di Endesa Italia, e di V.U.S. spa verso l’ATO – Umbria *****, regolando le spese del giudizio tra le parti.

2. – Secondo il giudice di primo grado, risultava incontrovertibile il fatto che le opere, predisposte per la captazione delle acque, in difetto di un titolo amministrativo che legittimasse le condotte tenute, andavano a parziale ma sicuro detrimento delle derivazioni concesse ad Endesa a fini idroelettrici, comportando una diminuzione della capacità produttiva delle relative centrali, come il CTU aveva accertato e provveduto a quantificare la perdita.

2.1. – Ad avviso del giudice, i prelievi in sottensione erano da qualificarsi come illeciti atteso che non era ravvisabile una prevalenza dell’uso potabile rispetto a quello idroelettrico, in quanto il primo – per le naturali ragioni di interferenza tra i due utilizzi – presupponeva un provvedimento concessorio che, nella specie, invece, difettava.

2.2. – Il Tribunale osservava che era sì vero che il Comune di Spoleto aveva fatto istanza di concessione nel 1966 e che nel 1999 aveva presentato la richiesta di sanatoria della sua derivazione di fatto, ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 23, comma 6, (cd. Codice dell’Ambiente), ma il provvedimento positivo di concessione era intervenuto solo il 28 settembre 2006, con effetti retroattivi ma anche con salvezza di quei diritti dei terzi che, proprio perciò, non avrebbero potuto consentire una sanatoria a posteriori della pregressa lesione di quei diritti, in danno dei titolari delle concessioni idroelettriche.

3. – Gli appelli degli enti soccombenti venivano dichiarati inammissibili dal TSAP, con la sentenza n. 219 del 2012, che – a sua volta – la Corte di Cassazione (con la sentenza n. 10453 del 2015) cassava con rinvio, ai fini di una nuova decisione del merito del controversia.

4. – Il Comune e la società V.U.S. spa riassumevano il giudizio di appello con distinte impugnazioni, ciascuna articolata in nove motivi, avverso le quali si costituivano E.ON Produzione spa (d’ora in avanti, solo E.ON), già Endesa, unitamente a ERG Hidro srl (ERG), dapprima come interventore volontario e poi quale successore a titolo particolare di E.ON, proponendo appello incidentale articolato in un solo motivo, e ATI ***** dell’Umbria (già ATO ***** Umbria).

5. – Il TSAP, dichiarato inammissibile l’appello incidentale di E.ON, ha accolto, per quanto di ragione, quello del Comune e di V.U.S. spa, nei termini che si diranno, compensando le spese del giudizio tra le parti. 5.1. – Secondo il giudice di appello, innanzitutto, la L. n. 36 del 1994, art. 2 (cd. Legge Galli), avrebbe enunciato il principio della priorità dell’uso dell’acqua per il consumo umano rispetto ad ogni altro.

5.2. – Tuttavia, a fronte di una sottensione di fatto, priva del necessario titolo legittimante il prelievo, le SU (con la sent. n. 906 del 1999) avrebbero riconosciuto il risarcimento del danno a favore del titolare di una concessione, danneggiato dal surrettizio prelievo idropotabile.

5.3. – Ma il D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 23, a sua volta, avrebbe con valenza ricognitiva – accertato la sussistenza delle condizioni per il legittimo prelievo, a seguito della domanda di rilascio avanzata dal Comune, in data 10 dicembre 1999, dopo che l’Ente locale aveva provveduto a corrispondere i canoni dovuti a E.ON per il periodo in cui aveva già avuto esecuzione l’attività non ancora autorizzata (1975-2000).

5.3.1. Si sarebbe trattato di un’autorizzazione ex lege alle sottensioni idropotabili, stabilizzata dalla norma, di natura transitoria, disciplinante il regime dei prelievi irregolari nelle more dell’istruttoria svolta a seguito della richiesta di concessione in sanatoria da parte del Comune.

6. – Il TSAP, inoltre, sulla considerazione relativa ai diritti dei terzi, fatti salvi dall’art. 23, comma 7, del Codice dell’Ambiente di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999, ha escluso l’esistenza di un pregiudizio per la capacità produttiva degli impianti idroelettrici di Endesa (ora E.ON) in mancanza di una dimostrazione della riduzione della produzione di energia, misurata in concreto (mentre la difforme opinione data dal CTU si sarebbe risolta in una valutazione in astratto).

7. – La sentenza è stata impugnata con ricorso per cassazione, da ERG Hidro srl, con quattro motivi di doglianza, illustrati anche con memoria, nella resistenza del Comune di Spoleto e della società V.U.S. spa, con distinti controricorsi e memorie illustrative.

7.1. – Il P.G., nella persona del sostituto Proc. Gen., Dott. Lucio Capasso, ha depositato requisitoria scritta con la quale ha concluso affinchè la Corte respinga i primi tre motivi d’impugnazione e accolga il quarto.

8. – Con ordinanza interlocutoria n. 9952 del 2019, pubblicata il 9 aprile 2019, queste SU civili hanno richiesto, all’Ufficio del Massimario, una relazione di approfondimento sul tema della concessione in sanatoria e dei suoi effetti (relativi o erga omnes) sulle situazioni pendenti.

9. – All’odierna udienza le parti hanno ribadito le conclusioni già rassegnate con le proprie difese e illustrate nel corso della discussione orale delle stesse.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo mezzo di cassazione (violazione e falsa applicazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 17, comma 2, artt. 45, 46 e 47, D.P.R. n. 1090 del 1968, art. 2, comma 1, e D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 23, comma 6: art. 360 c.p.c., n. 3 e R.D. n. 1775 del 1933, art. 200, comma 1, lett. b)), la ricorrente ERG si duole della decisione del Tribunale superiore che avrebbe erroneamente affermato la regula iuris secondo cui, anche in assenza di un valido ed efficace provvedimento amministrativo di concessione di derivazione, reso a conclusione del relativo procedimento, il prelievo idropotabile effettuato dagli enti pubblici (dal Comune e da V.U.S.) nel periodo in contestazione debba considerarsi lecito in ragione della presentazione di una domanda di sanatoria, con esclusione del credito risarcitorio da parte del titolare di preesistenti concessioni idroelettriche.

1.1. – La ricorrente ritiene erronea la soluzione data dai giudici di merito in quanto, se è vero che la sanatoria è idonea a rimuovere l’illecito di sottensione idropotabile, con efficacia ex tunc, a decorrere dalla data di presentazione dell’istanza, tale retroattività, tuttavia, non sarebbe idonea a pregiudicare i diritti degli utenti aventi titolo anteriore.

1.2. – In particolare, avallerebbero tali conclusioni: a) il principio della temporaneità dei titoli concessori, di cui al D.P.R. n. 1090 del 1968, art. 2; b) il R.D. n. 1775 del 1933, artt. 45 e ss., che nel regolare il conflitto tra più concessioni di utenza – stabiliscono la regola secondo cui la concessione successiva, persino se rilasciata a scopo potabile, non possa avere effetto nei riguardi del concessionario anteriore, garantendo a quest’ultimo l’indennizzo; c) lo stesso D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 23, comma 6, ove è stabilito che la concessione in sanatoria debba essere rilasciata nel rispetto delle utenze regolarmente assentite, senza che si possa in alcun modo “calpestare” quelle già rilasciate.

2. – Con il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione del R.D. n. 1775 del 1933, artt. 45 e 46, D.P.R. n. 1090 del 1968, art. 2, comma 1, e D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 23, comma 6, art. 2909 c.c., artt. 324 e 329 e 112 c.p.c.: art. 360 c.p.c., n. 3 e R.D. n. 1775 del 1933, art. 200, comma 1, lett. b)), la medesima ricorrente lamenta il mancato riconoscimento, a sè medesima concessionaria idroelettrica, quanto meno dell’indennizzo per la sottensione idropotabile, sia con riferimento alle annualità anteriori alla sanatoria sia con riguardo a quelle future, avendo essa ricorrente richiamato tutte le domande proposte in primo grado, inclusa quella indennitaria.

2.1. – La ERG ritiene erronea la soluzione data dai giudici di merito sulla base dei dati legislativi seguenti: a) il principio della disciplina legale delle sottensioni, di cui al D.P.R. n. 1090 del 1968, art. 2; b) il R.D. n. 1775 del 1933, artt. 45 e ss., che – nel regolare il conflitto tra più concessioni di utenza – stabiliscono la regola secondo la quale al concessionario sotteso siano versati i cd. oneri di sottensione, costituiti dalla fornitura di una corrispondente quantità di acqua o di energia corrispondente a quella effettivamente utilizzata ovvero, a termini della legge sulle espropriazioni, per il caso che tali forniture siano eccessivamente gravose in rapporto al valore economico della preesistente utenza.

2.2. -Avrebbe errato il TSAP, da un lato, ad affermare l’esistenza di un giudicato interno sulla qualificazione della domanda proposta dalla ricorrente come richiesta risarcitoria (quando, invece, fin dal primo grado sarebbe stata prospettata anche quella indennitaria, in via alternativa, alla prima e non essendovi l’onere – nè avendo essa parte l’interesse – a proporre un appello incidentale, essendo risultata integralmente vittoriosa in prime cure) e, da un altro, a disattendere il proprio appello incidentale per l’omessa pronuncia in ordine al domandato indennizzo per nocumento futuro, in ragione della mancata impugnazione di quella parte della sentenza con istanza di rettificazione (atteso che tale domanda, discendeva anche dalla riproposta richiesta di disapplicazione della concessione in sanatoria e che comunque essa era di competenza del TSAP per il generale operare del principio devolutivo dell’appello).

3. – Con il terzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., artt. 324 e 329 e 112 c.p.c., apparente e contraddittoria motivazione e violazione del giudicato formale e sostanziale: art. 360 c.p.c., n. 4 e R.D. n. 1775 del 1933, art. 200, comma 1, lett. b)), la ricorrente lamenta il sostanziale difetto motivazionale (anche in ragione di due affermazioni contenute nella sentenza, reputate centrali e tra loro in reciproca elisione) e la violazione del giudicato (con riguardo all’esistenza di quello esterno – costituito dalla sent. TRAP di Roma, n. 7 del 1994 – affermativa dell’esistenza del danno da sottensione riguardante le concessioni idroelettriche in questione), oltre che dell’ormai affermato principio della configurabilità di un danno in re ipsa, in caso di sottensioni illecite (SU n. 24079 del 2011).

3.1. – La ERG sottolinea che la sentenza impugnata, a p. 21 (p. 25) avrebbe affermato l’esistenza della prova della sottensione e poi, a p. 31 (p.p. 37-38) avrebbe escluso la dimostrazione del pregiudizio in concreto, in relazione alle effettive esigenze idroelettriche della concessionaria dell’impianto.

3.2. – In tal modo, il TSAP avrebbe mostrato di ignorare tutta la documentazione versata, ed oggetto di esame da parte del CTU, nonchè il giudicato esterno richiamato.

3.3. – Infine, non avrebbe applicato il principio della presunzione semplice di danno, senza – di contro – avere una prova di segno opposto, sufficientemente specifica e rigorosa (peraltro affermata anche da un proprio precedente, n. 19 del 1989).

4. – Con il quarto (violazione e falsa applicazione del R.D. n. 1775 del 1933, artt. 45 e 46 e 176, e D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 23, comma 6: art. 360 c.p.c., n. 3 e R.D. n. 1775 del 1933, art. 200, comma 1, lett. b)), la ricorrente si duole dell’accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dal Comune di Spoleto per la restituzione di quanto già versato alla società concessionaria a fini idroelettrici, senza aver valutato la propria eccezione di inammissibilità della domanda in quanto non notificata alla controparte.

5. – Il primo motivo del ricorso per cassazione della società titolare della concessione a fini idroelettrici, pone al centro della discussione l’interpretazione della previsione (vero e proprio cuore dell’intero ricorso per cassazione) di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 23, comma 6, (Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole. Ecologia), dal seguente tenore testuale:

“6. Fatta salva la normativa transitoria di attuazione della L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 1, per le derivazioni o utilizzazioni di acqua pubblica, in tutto o in parte abusivamente in atto alla data di entrata in vigore del presente decreto, la sanzione di cui al R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 17, come modificato dal presente articolo, è ridotta ad un quinto qualora sia presentata domanda in sanatoria entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. La concessione in sanatoria è rilasciata nel rispetto della legislazione vigente e delle utenze regolarmente assentite. In pendenza del procedimento istruttorio della domanda di concessione in sanatoria, l’utilizzazione può proseguire, fermo restando l’obbligo del pagamento del canone per l’uso effettuato e il potere dell’autorità concedente di sospendere in qualsiasi momento l’utilizzazione qualora in contrasto con i diritti di terzi o con il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di qualità.”.

5.1. -In relazione a tale previsione si contesta la correttezza dell’interpretazione fornita dal TSAP nella parte in cui ha ritenuto autorizzato ex lege il prelievo di acqua come mero effetto della domanda di autorizzazione presentata dalla locale comunità nel 1999, e per effetto della previsione dell’art. 23, comma 6, appena richiamato.

5.2. -Previsione che, comunque, non avrebbe potuto pregiudicare i diritti del terzo concessionario (per l’uso idroelettrico della sorgente).

6. – La previsione legislativa, la cui interpretazione è oggetto di discussione, pone la regola secondo cui, nella pendenza del procedimento per la concessione in sanatoria di un uso consentito (nella specie: quello idropotabile), l’utilizzazione può proseguire sebbene questa sia stata operata ab initio in modo irregolare, se non abusivo, attraverso una sottensione non autorizzata, ossia una captazione illegittima (perchè mancante di titolo) e/o illecita (perchè il titolo non sarebbe comunque conseguibile).

6.1. – Tuttavia, la stessa disposizione legislativa assicura che la concessione in sanatoria è rilasciata non solo nel rispetto della legislazione vigente ma anche delle utenze regolarmente assentite, ossia del contenuto normativo che tali titoli di prelievo assicurano e, comunque, fermo restando l’obbligo del pagamento del canone per l’uso effettuato e il potere dell’autorità concedente di sospendere in qualsiasi momento l’utilizzazione qualora in contrasto con i diritti di terzi o con il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di qualità.

6.2. – Perciò è necessario richiamare i principi che regolano la materia nel sistema del TU del 1933 (le cui previsioni sono state richiamate dalla società ricorrente in quanto integranti la base normativa per la propria tutela giurisdizionale).

7. – Il R.D. n. 1775 del 1933, art. 45 stabilisce, anzitutto, la possibilità di una sovrapposizione successiva tra titoli concessori, stabilendo che in caso di “collisione” tra nuove concessioni ed in particolare tra una nuova assai rilevante ed altre in essere, ma meno importanti, sia previsto l’obbligo dell’indennizzo degli utenti preesistenti attraverso “una corrispondente quantità di acqua, e nel caso di impianti per forza motrice, una quantità di energia corrispondente a quella effettivamente utilizzata, provvedendo alle trasformazioni tecniche necessarie in guisa da non aggravare o pregiudicare gli interessi degli utenti preesistenti” (art. 45, comma 2). Tuttavia, quando “la fornitura di acqua o di energia sia eccessivamente gravosa, in rapporto al valore economico della preesistente utenza, il titolare di quest’ultima è indennizzato dal nuovo concessionario a termini della legge sulle espropriazioni” (comma 3).

7.1. – La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo risalente interpretato tale assetto di disposizioni nel senso che: a) con riferimento ai primi due commi dell’art. 45 del TU n. 1775 sulle acque ed impianti elettrici, colui che ottenga la concessione per un’importante utilizzazione di acqua, deve, in base alla citata disposizione, indennizzare l’utente sotteso fornendogli direttamente l’opportuna quantità di acqua o di energia e provvedendo a propria cura e spese alla previa trasformazione (che si renda necessaria) degli impianti del medesimo (Sez. U, Sentenza n. 193 del 1972); b) diversamente, l’indennizzo in denaro dovuto, ai sensi dell’art. 45, comma 3, del menzionato RD n. 1775, all’utente di acqua pubblica (la cui concessione sia venuta meno per effetto di sottensione), va determinato in base al quantitativo effettivo di acqua di cui detto utente avrebbe potuto in concreto fruire poichè la detta sottensione d’utenza, con obbligo del nuovo concessionario dell’acqua pubblica di indennizzare in denaro il concessionario precedente, configura una forma particolare di espropriazione per pubblica utilità del bene oggetto dell’originaria concessione sicchè detto indennizzo ha natura di vera e propria indennità di espropriazione e va determinato con riferimento al momento in cui si verifica il fenomeno della sottensione (Sez. U, Sentenza n. 311 del 1973).

7.2. – Nella sostanza, il nuovo concessionario è tenuto a forme diverse di indennizzo nei riguardi del concessionario già munito di titolo allo sfruttamento delle risorse idriche, da quelle in natura a quelle in danaro.

7.3. – Nel caso, invece, della sottensione di fatto, che non sia fondata su un titolo concessorio, la giurisprudenza di questa Corte, anteriormente alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 23, comma 6, ha stabilito il principio di diritto che essa comporta il diritto del concessionario all’integrale risarcimento del danno e non all’indennizzo spettante in caso di rituale risoluzione di concessione reputata non più compatibile con il medesimo vincolo (indennizzo la cui previsione normativa si evince dal richiamo disposto nel D.P.R. n. 1090 del 1968, art. 2, comma 1, all’art. 45, t.u. 13 febbraio 1933 n. 1775). E ciò senza che neppure le obiettive esigenze di adeguato approvvigionamento di acqua potabile di talune comunità locali valgano a poter giustificare il ricorso del competente consorzio acquedottistico ad una derivazione idrica di fatto in base allo stato di necessità, a norma dell’art. 2045 c.c., con conseguente diritto del soggetto danneggiato solo ad un equo indennizzo, poichè le legittime esigenze dei cittadini avrebbero potuto trovare soddisfazione nel rispetto della legge anche in via d’urgenza, a norma del D.P.R. n. 1090 del 1968, art. 9 (Sez. U, Sentenza n. 906 del 1999) 8. – Orbene, la sopravvenuta disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 23, comma 6, (non applicato nel caso definito dalla sentenza n. 906 del 1999, richiamata al p. precedente), ha sicuramente apportato una nuova considerazione degli approvvigionamenti di fatto da parte delle comunità locali, in considerazione dell’accentuarsi della scarsità del bene idrico e delle accresciute necessità di consumo da parte delle popolazioni locali.

8.1. – Con riguardo all’uso umano dell’acqua, in generale, questa Corte ha già avuto modo di chiarire il punto dell’ipotetico conflitto tra una pluralità di usi della risorsa ed ha regolato la materia (Sez. U, Sentenza n. 25801 del 2013) enunciando il principio secondo cui, in applicazione della L. n. 36 del 1994, art. 2, l’uso potabile o per consumi umani delle acque pubbliche va riconosciuto come prevalente rispetto ad ogni altro; nè esso dà diritto a ricevere il pagamento di alcun canone a vantaggio dei concessionari che ne fruiscano ad altri fini.

8.2. – L’interpretazione della nuova disciplina, oggetto del primo motivo di ricorso per cassazione, va pertanto compiuta attraverso il raccordo dei richiamati principi, innovativi rispetto al precedente assetto giurisprudenziale, nel senso dell’esistenza di una regola secondo cui il rilascio della concessione in sanatoria, in caso di prelievo a fini idropotabili, per quanto data nel rispetto della legislazione vigente e delle utenze regolarmente assentite, non può contrastare con la già affermata regola della priorità d’uso umano e, perciò, anche del difetto dell’illiceità di quel prelievo, specie se svolto – come nel caso che ci occupa – in pendenza del procedimento istruttorio della domanda di concessione in sanatoria. In tal caso, infatti, l’utilizzazione può proseguire, fermo restando l’obbligo del pagamento del canone per l’uso effettuato e il potere dell’autorità concedente di sospendere in qualsiasi momento l’utilizzazione qualora in contrasto con i diritti di terzi o con il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di qualità.

8.3. – Il detto motivo di ricorso va, pertanto, respinto in ossequio al principio di diritto che così si enuncia:

in tema di concessioni di acque pubbliche, ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 23, comma 6, il rilascio della concessione in sanatoria, richiesta per l’esistenza di un prelievo a fini idropotabili, va interpretato alla luce della L. n. 36 del 1994, art. 2, e dell’ivi previsto principio di prevalenza dell’uso potabile o per consumi umani delle acque pubbliche, rispetto ad ogni altro uso. Ne consegue che, in pendenza del procedimento istruttorio di tali domande di concessione in sanatoria, la previsione espressa secondo cui, in tali casi, “l’utilizzazione può proseguire”, deve essere interpretata come garanzia di legittima sottensione da parte delle comunità locali, con esclusione di ogni forma di illecito e del correlato obbligo risarcitorio, ai sensi della disciplina di cui al R.D. n. 1775 del 1933, art. 45 e dell’art. 2043 c.c..

8.4. – Ne discende anche l’inammissibilità del terzo mezzo di cassazione, quello con il quale la ricorrente lamenta il sostanziale difetto motivazionale (anche in ragione di due affermazioni contenute nella sentenza, reputate centrali e tra loro in reciproca elisione) e la violazione del giudicato (con riguardo all’esistenza di quello esterno costituito dalla sent. TRAP di Roma, n. 7 del 1994 – affermativa dell’esistenza del danno da sottensione riguardante le concessioni idroelettriche in questione), oltre che dell’ormai affermato principio della configurabilità di un danno in re ipsa, in caso di sottensioni illecite; poichè la sentenza impugnata, a p. 21 (p. 25) avrebbe affermato l’esistenza della prova della sottensione e poi, a p. 31 (p.p. 37-38) avrebbe escluso la dimostrazione del pregiudizio in concreto (in relazione alle effettive esigenze idroelettriche della concessionaria dell’impianto), in tal modo ignorando tutta la documentazione versata, ed oggetto di esame da parte del CTU, nonchè il giudicato esterno richiamato e il principio della presunzione semplice di danno, senza – di contro – avere una prova di segno opposto, sufficientemente specifica e rigorosa (peraltro affermata anche da un proprio precedente, n. 19 del 1989).

8.5. -Infatti, una volta esclusa la pertinenza di un’azione risarcitoria in materia di sottensioni idropotabili, nel vigore della nuova disciplina del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 23, comma 6, riguardante il rilascio della concessione in sanatoria, interpretato alla luce della L. n. 36 del 1994, art. 2 (cd. Legge Galli), e dell’ivi previsto principio di prevalenza dell’uso potabile o per consumi umani delle acque pubbliche, rispetto ad ogni altro uso, una siffatta domanda si palesa inammissibile.

9. – Con il secondo mezzo di ricorso, la ricorrente concessionaria idroelettrica ha lamentato il mancato riconoscimento, a sè medesima, quanto meno dell’indennizzo per la sottensione idropotabile, sia con riferimento alle annualità anteriori alla sanatoria sia con riguardo a quelle future, avendo essa ricorrente richiamato tutte le domande proposte in primo grado, inclusa quella indennitaria.

9.1. -Con tale motivo la ricorrente impugna la sentenza del TSAP nella parte in cui essa ha, da un lato, affermato l’esistenza di un giudicato interno sulla qualificazione della domanda proposta come istanza risarcitoria per sottensione sine titulo (p. 16 della sentenza), e nella parte in cui, dall’altro lato, con riferimento alla dichiarazione di inammissibilità del proprio appello (incidentale) avverso la sentenza di prime cure (TRAP di Roma), ha affermato che l’omessa pronuncia relativa alla domanda di indennizzo avrebbe dovuto essere fatta valere con istanza di rettificazione, per il rinvio operato dal R.D. n. 1775 del 1933, art. 204, comma 2, al codice di rito del 1865; non già con l’appello.

9.2. -Con riguardo al primo profilo censurato, la doglianza è inammissibile alla luce del principio di diritto di recente enunciato da queste SU (Sez. U -, Sentenza n. 20181 del 2019), a termini del quale se è vero che la Corte di cassazione, allorquando debba accertare se il giudice di merito sia incorso in “error in procedendo” è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa, non è meno vero che, non essendo il predetto vizio rilevabile “ex officio”, nè potendo la Corte ricercare e verificare autonomamente i documenti interessati dall’accertamento, è necessario che la parte ricorrente non solo indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, ma anche che illustri la corretta soluzione rispetto a quella erronea praticata dai giudici di merito, in modo da consentire alla Corte investita della questione, secondo la prospettazione alternativa del ricorrente, la verifica della sua esistenza e l’emenda dell’errore denunciato.

9.2.1. – Nel caso di specie, se è stato affermato la proposizione da parte della concessionaria per scopi idroelettrici di una domanda di indennizzo verso gli enti pubblici locali, non è chiaro quale ne fosse stata la causa petendi (specialmente in rapporto alla domanda risarcitoria di cui si è detto, nel corso dell’esame del primo motivo di ricorso), nonchè i termini della stessa ed i luoghi della sua deduzione e delle modalità della sua articolazione.

9.3. -Con riguardo al secondo profilo censurato, la deduzione è altrettanto inammissibile alla luce dei principi che questa Corte ha già più volte (Sez. U, Sentenza n. 488 del 2019; Sez. U, Sentenza n. 19448 del 2009) enunciato stabilendo che, avverso l’omessa pronuncia del Tribunale superiore delle acque pubbliche il rimedio esperibile non è il ricorso per cassazione, bensì lo specifico rimedio del ricorso per rettificazione al medesimo Tribunale superiore, come disposto dal R.D. n. 1775 del 1933, art. 204 (t. u. delle acque), recante un rinvio recettizio ai casi previsti dall’art. 517 del codice di rito del 1865 (ovvero alle seguenti ipotesi: se la sentenza “abbia pronunciato su cosa non domandata”, “se abbia aggiudicato più di quello che era domandato”, “se abbia omesso di pronunciare sopra alcuno dei capi della domanda” e “se contenga disposizioni contraddittorie”); tenendo presente che, inoltre, l’art. 204 menzionato non distingue ed accomuna, anzi, il rimedio della rettificazione sia con riferimento alle pronunce del TSAP che riguardo a quelle del TRAP (art. 204: Per la rettificazione delle sentenze pronunciate dai tribunali delle acque pubbliche e dal tribunale superiore si osserva il disposto dell’art. 473 c.p.c.. La rettificazione può essere domandata anche pei casi previsti all’art. 517 c.p.c., nn. 4, 5, 6 e 7…).

9.4. – A tale principio di diritto, che – mutatis mutandis – ricorre anche nei casi in esame, deve darsi sostanziale piena continuità, riferendolo anche al vizio afferente alla decisione del TRAP, cosicchè esso deve essere così formulato:

In tema di impugnazioni, avverso l’omessa pronuncia del Tribunale regionale delle acque pubbliche il rimedio esperibile non è l’appello, bensì il ricorso per rettificazione proposto innanzi al medesimo Tribunale regionale, come disposto dal R.D. n. 1775 del 1933, art. 204 (t. u. delle acque), recante un rinvio recettizio ai casi previsti dall’art. 517 del codice di rito del 1865 ovvero alle seguenti ipotesi: se la sentenza “abbia pronunciato su cosa non domandata”, “se abbia aggiudicato più di quello che era domandato”, “se abbia omesso di pronunciare sopra alcuno dei capi della domanda” e “se contenga disposizioni contraddittorie”. Perciò, tale rimedio non può essere escluso in forza dell’applicazione del principio devolutivo dell’appello, che ha una operatività più limitata di quello proprio dell’impugnazione prevista dal codice del 1942.

10. – Con l’ultimo mezzo la ricorrente si duole dell’accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dal Comune di Spoleto per la restituzione di quanto già versato ad essa società concessionaria, senza aver valutato la propria eccezione di inammissibilità della domanda in quanto non notificata alla controparte.

10.1. -Le parti controricorrenti, a loro volta, contro eccepiscono che la domanda era stata proposta con l’appello (e con uno specifico suo motivo) a fronte del quale la concessionaria avrebbe accettato il contraddittorio. In sostanza, si sarebbe trattato di una domanda nuova ma non contrastata dall’avversario.

10.2. – Il motivo di ricorso deve essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata in parte qua, senza rinvio, in applicazione dei seguenti principi di diritto:

a) Nel procedimento di secondo grado davanti al Tribunale superiore delle acque pubbliche avverso pronuncia del tribunale regionale, in mancanza di una norma che espressamente disciplini il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio d’appello, si applicano, in forza del rinvio contenuto nel R.D. n. 1775 del 1933, art. 208, le regole del codice di procedura civile e, dovendo detto rinvio intendersi di natura non già recettizia, bensì formale, e, quindi, dinamicamente riferito alle corrispondenti norme del codice vigente che regolano il giudizio di gravame, anche l’appello dinanzi al Tribunale superiore deve seguire le prescrizioni dettate dall’art. 342 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. in L. n. 134 del 2012 (Sez. U, Sentenza n. 31113 del 2017);

b) Il divieto di proporre domande nuove in appello, di cui all’art. 345 c.p.c., comma 1, integrando violazione del principio del doppio grado di giurisdizione, è di ordine pubblico, per cui la sua violazione va rilevata anche d’ufficio in sede di legittimità, senza che possa spiegare alcuna influenza l’accettazione del contraddittorio (Sez. 3, Sentenza n. 383 del 2007); Il divieto di proporre domande nuove in appello, previsto dall’art. 345 c.p.c., comma 1, è posto a tutela di un interesse di natura pubblicistica, sicchè la relativa violazione è rilevabile in sede di legittimità anche d’ufficio (Sez. 3, Sentenza n. 20557 del 30/09/2014).

11. – In conclusione, il ricorso deve essere accolto con riferimento al quarto motivo, respinto il primo e dichiarati inammissibili il secondo ed il terzo e la sentenza cassata, senza rinvio, in relazione al motivo accolto.

12. – Le spese dell’intero giudizio vanno compensate tra tutte le parti, per la novità del principio di diritto enunciato (al p. 8.3.) afferente alla quaestio iuris principale, costituente il cuore dell’intera vertenza.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il quarto motivo di ricorso, respinto il primo e dichiarati inammissibili il secondo ed il terzo; Cassa senza rinvio la sentenza in relazione al motivo accolto, e compensa le spese dell’intero giudizio tra tutte le parti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni unite, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472