Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.165 del 09/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2759-2018 proposto da:

P.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE PERTICA 39, presso lo studio dell’avvocato PILADE PLAROTTI, rappresentata e difesa dall’avvocato COLOMBA FLAVIA TROIANO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO, ESTER ADA VITA SCIPLINO, CARLA D’ALOISIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 247/2017 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 19/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 02/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCA SPENA.

RILEVATO

che con sentenza in data 13 ottobre-19 dicembre 2017 n. 247 la Corte di appello di Campobasso riformava la sentenza del Tribunale di Larino e, per l’effetto, rigettava l’opposizione proposta da P.L. avverso l’avviso di addebito n. *****, per il recupero dei contributi dovuti alla Gestione Commercianti dell’INPS nel periodo gennaio 2007 – dicembre 2012, in qualità di socia accomandataria della società LA PROMETEA s.a.s.;

che ad avviso della Corte di merito – e per quanto ancora in discussione – la partecipazione personale della P. al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza emergeva dalla qualità di accomandataria, dalla titolarità di una quota del 90% del capitale sociale, dal reddito da partecipazione percepito.

Per altro verso dalle allegazioni della parte non era emerso lo svolgimento negli anni di causa di una diversa ed ulteriore attività lavorativa. La circostanza che ella si fosse affidata all’unico socio accomandante per la gestione della attività sociale non provava che detta gestione fosse stata del tutto delegata, in via stabile e continuativa; del resto senza la partecipazione alla attività commerciale della socia accomandataria la esistenza stessa della impresa sociale non era ipotizzabile.

Considerata la attività svolta – riscossione annua dei canoni del servizio per la illuminazione votiva cimiteriale – il compimento della attività sociale, oltre alla ridotta attività materiale di cui si occupava l’unico dipendente, consisteva essenzialmente nella sottoscrizione dei documenti legali, fiscali e contabili da parte del legale rappresentante;

che ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza P.L., affidato a tre motivi, cui ha resistito l’INPS con controricorso;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti -unitamente al decreto di fissazione dell’udienza in camera di consiglio – ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

CONSIDERATO

che la parte ricorrente ha dedotto:

– con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, -violazione e falsa applicazione della L. 27 dicembre 1996, n. 662, art. 1, commi 202 e 203, della L. 7 gennaio 1986, n. 45, art. 3, e dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che la qualità di socio accomandatario e la percezione dei redditi societari facciano sorgere l’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti senza considerare il requisito della partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza. Andava, infatti, distinto il piano della amministrazione della società da quello della esecuzione della attività commerciale, che ben poteva essere affidata ad altri soci o a terzi estranei alla compagine sociale. L’INPS non aveva fornito alcuna prova della sua partecipazione abituale e prevalente al lavoro aziendale, rispetto alla quale erano irrilevanti la qualità di accomandatario e la percezione di redditi da partecipazione;

– con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., per non avere il giudice del gravame considerato che l’INPS non aveva assolto all’onere di provare che ella svolgesse una attività lavorativa abituale e prevalente all’interno della società, limitandosi a produrre la dichiarazione dei redditi.

Per altro verso la prova testimoniale espletata nel primo grado (testi A.G., C.L., A.P.) aveva confermato che, come allegato con il ricorso in opposizione, ella svolgeva attività di casalinga mentre la società era stata sempre gestita dal coniuge, signor A.A., deceduto il *****.

– con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, -violazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115,116 e 132c.p.c., e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per non avere la Corte territoriale tenuto in alcun conto gli esiti della prova testimoniale;

che ritiene il Collegio si debba accogliere il ricorso;

che i tre motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono fondati. Questa Corte si è già pronunciata nel contenzioso vertente tra le stesse parti ed in relazione ai medesimi anni oggetto di contribuzione con ordinanza del 27 marzo 2019 n. 8611; i principi ivi affermati vanno in questa sede condivisi.

Ed infatti per giurisprudenza ormai consolidata “ai sensi della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, che ha modificato la L. n. 160 del 1975, art. 29, e della L. n. 45 del 1986, art. 3, la qualità di socio accomandatario non è sufficiente a far sorgere l’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali, essendo necessaria anche la partecipazione personale al lavoro aziendale, con carattere di abitualità e prevalenza, la cui prova è a carico dell’istituto assicuratore” (Cass. 23360 del 16 novembre 2016; Cass. n. 3835 del 26/02/2016; vedi anche Cass. n. 5210 del 28/2/2017 in cui questa Corte ha cassato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto sufficiente a far sorgere l’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti la sola dichiarazione dell’interessato, priva di valore confessorio, di svolgere attività commerciale con carattere di abitualità e prevalenza all’interno della s.a.s. di cui era socio accomandatario). E’ stato anche chiarito che in tema di iscrizione alla gestione commercianti, la dichiarazione dei redditi non ha carattere negoziale o dispositivo sicchè, nel caso di redazione errata, non sussiste alcuna inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, dovendo sempre l’INPS provare la sussistenza dei presupposti per l’iscrizione. (Cass. n. 21511 del 31/08/2018, in cui è stata cassata la decisione di merito che aveva ritenuto provata la partecipazione del socio accomandatario all’attività della società in forza della dichiarazione dei redditi presentata da quest’ultima sebbene il socio avesse allegato la sussistenza di errori nella compilazione). Orbene, nel caso in esame la Corte territoriale ha attribuito valore decisivo alla qualità di accomandataria ed alle dichiarazioni dei redditi – da cui emergeva la percezione da parte della P. della quasi totalità dei redditi societari – elementi questi ex se non idonei alla prova dello svolgimento dell’attività commerciale con carattere di abitualità e prevalenza all’interno della s.a.s..

Inoltre nella impugnata sentenza non risulta essere stata tenuta in alcun conto la prova testimoniale espletata;

che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va accolto e l’impugnata sentenza cassata con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, che deciderà valutando le risultanze istruttorie alla luce dei sopra richiamati principi di diritto;

che il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente grado.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata sentenza e rinvia – anche per le spese – alla Corte d’Appello di Napoli.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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