Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.209 del 09/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5215/2017 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Tevere, 44, presso lo studio dell’avvocato Di Giovanni Francesco, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Bressan Giorgio, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia; Regione Veneto;

– intimati –

Commissario Delegato Per L’emergenza, in persona legale rappresentante pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

e contro

Autovie Venete S.a.a.v. S.p.a., in persona legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via L. Rizzo, 41, presso lo studio dell’avvocato Cimellaro Antonino che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Colombo Paolo, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 13/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/11/2019 dal cons. dott. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.;

udito il Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO, che ha chiesto l’accoglimento del secondo motivo del ricorso;

udito l’avvocato Di Giovanni Francesco, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso per il ricorrente;

uditi gli Avvocati Cimellaro Antonino e Colombo Paolo, che hanno chiesto l’inammissibilità o il rigetto del ricorso, per il contro ricorrente Autovie Venete.

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza del 13.12.2016, la Corte d’Appello di Venezia, giudicando nel contraddittorio con le Regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia, sulle opposizioni alla stima proposte dalla S.p.A. Autovie Venete e da F.G. avverso l’indennità definitiva d’espropriazione di aree site nel Comune di *****, disposta con decreto 3 settembre 2012, n. 535 del Commissario delegato per l’Emergenza della mobilità *****, determinava in Euro 291.880,00, l’indennità di espropriazione, in ulteriori Euro 122.739,00 quella riferita al ridotto valore della porzione residua, rispettivamente in Euro 60.807,50 ed in Euro 2.045,00 l’indennità di occupazione delle aree espropriate e di quelle restituite, ed in Euro 110.350,50 l’indennità coltivatore diretto.

La Corte territoriale, per quanto ancora interessa, determinava il dovuto in conformità della disposta CTU, escludendo i presupposti per il chiesto suo rinnovo, evidenziando che:

a) gli immobili non erano suscettibili di sfruttamento edificatorio in quanto l’invocata variante generale al PRG di *****, adottata con DCC n. 22 del 2004, che aveva classificato i terreni in ZTO D2, soggetta a piano attuativo, non era mai stata approvata dalla Regione Veneto ed anzi era stata revocata il 1.4.2020;

b) non erano stati affatto considerati gli illegittimi VAM, essendosi l’indagine basata presso gli operatori di mercato e sulla scorta della comparazione con 14 atti di compravendita di terreni, alcuni di essi appartenenti al medesimo contesto comunale;

c) la quantificazione del valore residuo dei beni era stata contestata in modo totalmente generico, e la riduzione di valore per la vicinanza dell’opera pubblica non rientrava nella quantificazione dell’indennità di espropriazione rimessa alla competenza in unico grado di essa Corte;

d) l’indennità per la mancata cessione volontaria non era dovuta, in quanto l’offerta era addirittura superiore all’indennità accertata e la disposizione era inapplicabile perchè riferita all’art. 40, comma 3 TUE dichiarata incostituzionale.

Per la cassazione della decisione, che disponeva la compensazione delle spese, F.G. ha proposto ricorso, affidato a sette mezzi, resistito con controricorso dal Commissario delegato e dalla Società Autovie Venete. Gli altri intimati non hanno svolto difese. Il ricorrente e la Società hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 196 c.p.c., lamentando che, nel rigettare l’istanza di rinnovazione della CTU, la Corte veneziana ha addotto una giustificazione incongrua.

1.1. Il motivo è inammissibile: il giudice di merito non è, infatti, tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova CTU, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i suoi poteri discrezionali, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto (Cass. n. 22799 del 2017). La denunciata contraddittorietà della motivazione costituisce un vizio che non è più deducibile, quale motivo di ricorso per cassazione, in riferimento al novellato art. 360 c.p.c., n. 5. Va, peraltro, rilevato che la Corte non si è limitata ad affermare che le contestazioni tecniche avrebbero dovuto esser dedotte dal CTP, ma ha aggiunto che in buona parte erano state confutate dal CTU ed il ricorrente non indica quali contestazioni asseritamente tecniche, ma in tesi giuridiche, avrebbe sottoposto all’esame del giudice, laddove le risposte date nei restanti casi dal CTU, e che si assumono errate, costituiscono oggetto dei restanti motivi.

2. Col secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 194-195 c.p.c.artt. 90 e 92 disp. att. c.p.c. e del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32. Il CTU, lamenta il ricorrente, ha proceduto, in totale assenza di contraddittorio, a svolgere indagini di mercato senza condividerle coi consulenti di parte ed esternare le fonti, così pervenendo a conclusioni apodittiche, comunque erronee rispetto a dati di comparazione non omogenei, ed adottate mediante considerazione, anche, degli illegittimi VAM.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta che la Corte è incorsa nella violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32 laddove ha escluso la capacità edificatoria dei suoli ablati, mediante erronea considerazione del vincolo espropriativo. In particolare, il ricorrente rileva che, per effetto della variante del PRG, adottata dal Consiglio Comunale di ***** il 24.4.2004, i suoli oggetto della procedura ablativa erano stato inclusi nella zona edificabile D2; che, solo successivamente, con Delib. CIPE 18 marzo 2005, era stato approvato il progetto preliminare dell’opera; che ancora il 2.10.2006, il Comune di ***** aveva adottato il documento preliminare e lo schema di accordo per il Piano di Assetto del Territorio (PAT), secondo cui i terreni venivano classificati come “area trasformabile” a destinazione ricettivo-turistica; che la previsione di edificabilità dell’area non era poi stata confermata sia per il vincolo espropriativo apposto dal CIPE nel 2005, sia per la successiva adozione del PAT; che il PAT, approvato il 29.11.2010 e le successive varianti hanno previsto che il piano degli interventi avrebbe adottato criteri progettuali frutto di accordi integrativi dello strumento di pianificazione ai sensi della L.R. n. 11 del 2004, art. 6; che per il fondo oggetto dell’espropriazione era esclusa la possibilità di fruire di tali accordi, proprio per effetto del vincolo preordinato all’espropriazione.

3.1. I motivi da valutarsi congiuntamente per la loro connessione, sono in parte inammissibili ed, in parte, infondati.

3.2. Anzitutto, la questione della violazione del contraddittorio nella redazione della CTU non è affrontata in seno all’impugnata sentenza, come riconosce lo stesso ricorrente (pag. 10), sicchè la relativa censura avrebbe dovuto esser dedotta, e non lo è stato, in riferimento a detta omissione, e ciò in quanto, com’è noto, il giudizio di legittimità è a critica vincolata. Ma, anche volendo cogliere l’essenza della censura, la violazione delle disposizioni in tema di CTU sono infondate, tenuto conto che: a) ai sensi dell’art. 194 c.p.c., comma 2, e dell’art. 90 disp. att. c.p.c., comma 1, alle parti va data comunicazione del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni peritali, mentre analogo obbligo di comunicazione non sussiste quanto alle indagini successive, incombendo sulle parti l’onere d’informarsi sul prosieguo di queste al fine di parteciparvi; b) la nullità della consulenza tecnica d’ufficio – ivi compresa quella dovuta all’eventuale ampliamento dell’indagine tecnica oltre i limiti delineati dal giudice o, come si assume nella specie, dei limiti consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente – è soggetta al regime di cui all’art. 157 c.p.c., avendo carattere di nullità relativa, e deve, pertanto, essere fatta valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione, restando altrimenti sanata (Cass. n. 15747 del 2018) e la deduzione della relativa eccezione non è stata effettuata in seno al ricorso, laddove il contraddittorio sulle conclusioni e sulle fonti di cui si è avvalso il CTU risulta esser stato attivato, avendo l’odierno ricorrente formulato rilievi ed il Consulente dato risposte, come si legge nell’impugnata sentenza e viene dedotto dai controricorrenti; c) l’utilizzo di parametri incongrui o erronei, ovvero la mancata considerazione di dati offerti dalle parti attiene non alla nullità ma al merito delle valutazioni compiute dal CTU, e, dunque alla bontà delle relative conclusioni.

3.3. Quanto alla questione della natura edificatoria del fondo, va rilevato che la censura non incontra la sentenza, che ha escluso tale carattere in quanto la variante al PRG, che conferiva l’auspicata qualità, era stata solo adottata ma non era stata mai approvata (anzi era stata revocata nel 2010), scattando, solo, le misure di salvaguardia, sicchè “al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio” cui com’è noto occorre fare riferimento ai fini della ricognizione della qualità edificatoria o meno delle aree, le stesse non possedevano tale carattere, nè del resto lo hanno acquisito in epoca successiva e fino al decreto ablativo (il che potrebbe rilevare dato che tale momento segna la perdita della proprietà in favore dell’espropriante e configura la trasformazione del correlativo diritto del proprietario in diritto all’indennizzo ex art. 42 della Cost; cfr. Cass., Sez. I, 20/02/2018, n. 4100; Cass., Sez. I, 21/09/2015, n. 18556; Cass., Sez. I, 14/02/2006, n. 3146).

Deve, in particolare, escludersi che la dedotta inclusione del suolo come “area trasformabile” a destinazione ricettivo-turistica conferita in seno al PAT sia idonea a conferire la natura edificatoria richiesta, in quanto, in base alla L.R. Veneto n. 11 del 2004, artt. 12 e 13, il PAT costituisce)unitamente nel piano degli interventi (PI), una delle articolazione del PRG ed è qualificato come uno strumento di pianificazione “che delinea le scelte strategiche di assetto e di sviluppo per il governo del territorio comunale, individuando le specifiche vocazioni e le invarianti di natura geologica, geomorfologica, idrogeologica, paesaggistica, ambientale, storico-monumentale e architettonica, in conformità agli obiettivi ed indirizzi espressi nella pianificazione territoriale di livello superiore ed alle esigenze dalla comunità locale”. Esso è redatto sulla base di previsioni decennali, fissa gli obiettivi e le condizioni di sostenibilità degli interventi e delle trasformazioni ammissibili, che enuncia, tra i quali determina, per ambiti territoriali omogenei (ATO), i parametri teorici di dimensionamento, i limiti quantitativi e fisici per lo sviluppo degli insediamenti residenziali, industriali, commerciali, direzionali, turistico -ricettivi e i parametri per i cambi di destinazione d’uso, perseguendo l’integrazione delle funzioni compatibili. E’, invece, il piano degli interventi (PI) lo strumento urbanistico che, oltre ad individuare e disciplinare gli interventi inerenti a trasformazione e valorizzazione del territorio ed i relativi tempi di attuazione, provvede, tra l’altro, a suddividere il territorio comunale in zone territoriali omogenee secondo specifiche modalità (art. 17).

3.4. Resta da aggiungere che la tesi del ricorrente, secondo cui la possibilità di usufruire dello strumento dell’accordo di cui alla L.R. n. 11 del 2004 – di cui potevano godere le aree comprese nel medesimo ambito di suoli ablati – sarebbe stata preclusa per effetto del vincolo espropriativo, è priva di ogni base tenuto conto che non è noto se ad essere eccettuata da tale possibilità sia solo l’area espropriata, tanto più che la Società controricorrente afferma che neppure le aree estranee al procedimento espropriativo hanno ricevuto alcuna potenzialità edificatoria o sono state inserite tra quelle suscettibili di trasformazione urbanistica.

3.5. La circostanza secondo cui la stima si sarebbe fondata sugli illegittimi VAM risulta espressamente smentita nell’ordinanza impugnata, che afferma esser stati utilizzati altri elementi, la cui rappresentatività è a torto contestata dal ricorrente, che non considera che la decisione ha dato atto che i termini di paragone indicati dal proprietario inciso erano relativi a terreni edificatori.

4. Col quarto motivo, il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 addebitando alla Corte territoriale di avere esposto una motivazione “perplessa ed obiettivamente incomprensibile” laddove ha rigettato la domanda di corresponsione dell’indennità dovuta per non aver potuto concludere un atto di cessione volontaria D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 45.

4.1. Il motivo è infondato: la Corte ha motivato, in modo coerente e del tutto comprensibile, sul mancato riconoscimento dell’indennità secondo quanto esposto nella lett. d) di parte narrativa, laddove anche a voler ritenere dedotta la violazione di legge, la censura presuppone, in fatto, il riconoscimento in sede giudiziale di una maggiore indennità, che non è intervenuto (l’offerta era superiore al valore), e non considera, in diritto, che il riferimento alla sopravvivenza di disposizioni del Testo Unico riferite ai VAM è stata dalla Corte territoriale affermata a proposito dell’indennità aggiuntiva di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 40, comma 4 e non anche alla disposizione di cui all’art. 45 che è stata espressamente ritenuta inapplicabile (pagg. 11 in fondo e 12 inizio) in conseguenza della declaratoria d’incostituzionalità dei VAM. Se, dunque, a torto il ricorrente deduce in sede di memoria, che per affermare l’incompatibilità tra la chiesta triplicazione dell’indennità ed il sistema dei VAM i controricorrenti avrebbero dovuto proporre impugnazione, la conclusione cui è pervenuta la decisione impugnata è giuridicamente corretta dovendo ritenersi, come già sostenuto da questa Corte (Cass. n. 9269 del 2014 in tema di L. n. 865 del 1971, ma di analogo tenore), che il sistema premiale di triplicazione dell’indennità di esproprio, di cui all’art. 45, comma 2, lett. c) e d) Testo Unico risulti abrogato per incompatibilità con il nuovo assetto normativo, in quanto, a seguito della sentenza n. 181 del 2011 della Consulta, è venuto meno il criterio legale di commisurazione dell’indennizzo espropriativo per i suoli agricoli costituito dal valore agricolo tabellare (VAM) e, dunque, è stato espunto il criterio specificamente previsto per la determinazione del prezzo della cessione volontaria del terreno agricolo.

5. Con il quinto motivo, deducendo la violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 nonchè del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33 il ricorrente lamenta che l’ordinanza è sprovvista di motivazione nella parte che riguarda la diminuzione di valore della proprietà residua, per le difficoltà di raggiungimento della stessa, per il maggior traffico veicolare, e dell’azienda agricola ivi svolta. In particolare, il ricorrente lamenta che non sia stato tenuto conto dei pregiudizi derivanti dalla realizzazione delle opere pubbliche; del decremento di valore dei fabbricati sia per l’avvenuta ultimazione del terrapieno sia per effetto di rumori, esalazioni, polveri e vibrazioni, con la necessità di eseguire interventi di insonorizzazione, sia per la presenza ininterrotta di luce artificiale. Il ricorrente aggiunge che non è stato valutato, inoltre, il decremento di valore dei terreni residui, in considerazione della ridotta potenzialità edificatoria riconducibile all’apposizione del vincolo espropriativo.

5.1. Il motivo è, in parte, infondato ed, in parte, inammissibile. Premesso che la motivazione relativa alla diminuzione di valore dei fabbricati è stata resa dalla Corte (secondo quanto riassunto alla lett. c) di parte narrativa), va rilevato che sotto il profilo della violazione di legge, il motivo è inammissibile, anzitutto, perchè non incontra la sentenza laddove ha affermato (pag. 13 in fondo) che la riduzione di valore ulteriore rispetto a quella già riconosciuta deriva dalla presenza dell’opera in sè e non dall’espropriazione, ed, inoltre, perchè attinge direttamente al giudizio di fatto.

5.2. Inoltre, in riferimento alla riduzione di valore dei terreni, la censura presuppone una qualità edificatoria del fondo che è stata correttamente esclusa, ed è anche generica, poichè non spiega quale altra voce, oltre quelle già indennizzate mediante riconoscimento dell’importo di Euro 122.739,00, sia richiesta, ciò vale, anche, in riferimento all’azienda agricola, caso specificamente disciplinato dall’art. 40 TU, che, nel prevedere che l’indennità debba “tener conto” della destinazione ad azienda agricola si pone in rapporto di genere a specie col precedente art. 33 in quanto muove dal presupposto che la parte espropriata e quella non espropriata dell’immobile costituiscano un’unica entità funzionale ed economica (cfr. Cass. n. 19754 del 2018; n. 23967 del 2010, n. 4848 del 1998 in riferimento al regime pregresso L. n. 2359 del 1865, art. 40 e L. n. 865 del 1971, art. 15 in parte qua immutato).

6. Il sesto motivo, con cui il ricorrente lamenta l’erroneità della liquidazione dell’indennità di occupazione, perchè riferita ad indennità di espropriazione errata, è, in conseguenza, infondato, nè il motivo censura l’importo riferito all’indennità di espropriazione legittimamente spettante ed in concreto liquidata.

7. Il settimo motivo, relativo alla statuizione di compensazione delle spese di lite è inammissibile, tenuto conto che le contrapposte opposizioni sono state accolte in parte e che, ad ogni modo. la statuizione di compensazione delle spese di lite risulta motivata, in riferimento all’art. 92 c.p.c. vigente al momento della proposizione del ricorso in primo grado (30.5.2014).

8. In base al criterio legale della soccombenza, il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano, in favore di ciascuno dei controricorrenti, in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre accessori. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello ove dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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