LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20224/2018 proposto da:
A.I.T., elettivamente domiciliato in Roma Via Sistina 42 presso lo studio dell’avvocato Miraglia Michele che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Carretta Gianpaolo;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’interno;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di POTENZA, depositata il 31/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2019 dal CONS. Dott. FIDANZIA ANDREA.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Potenza, con decreto depositato il 31 maggio 2018, ha rigettato la domanda proposta da A.T., cittadino del *****, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.
E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo le sue dichiarazioni state ritenute attendibili (costui aveva riferito che dopo aver militato per anni nel partito *****, con il ruolo di informatore/spia in ordine a quanto accadeva all’interno delle riunioni dei partiti politici antagonisti, aveva, da ultimo, aderito ad uno di questi, e, segnatamente al *****, e, per l’effetto era stato catturato da emissari del partito al potere ed abbandonato nel deserto). In particolare, il giudice di merito ha ritenuto non plausibile e priva di logica la decisione del partito di abbandonarlo nel deserto, pur sapendo che avrebbe potuto rivelare segreti del partito ***** al partito di opposizione. Il richiedente aveva, inoltre, manifestato una scarsa informazione su elementi basilari del partito *****, come nel caso del Presidente C.C. che è ministro dello sport.
Con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il Tribunale di Potenza ha evidenziato l’insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine.
Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una specifica situazione di vulnerabilità personale.
Ha proposto ricorso per cassazione A.I.T. affidandolo a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 nonchè la nullità della sentenza o del procedimento per mancato rispetto del termine di quattro mesi per la decisione del ricorso, D.L. n. 13 del 2017, ex art. 6, comma 13 convertito nella L. n. 46 del 2017.
Lamenta il ricorrente che il ricorso innanzi al Tribunale di Potenza è stato depositato in data 6 novembre 2017 (vedi pag. 1) mentre la decisione è intervenuta solo il 31.5.2018, oltre quindi i quattro mesi.
2. Il motivo è infondato.
A norma dell’art. 152 c.p.c., i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori.
Nel caso di specie, non solo il D.L. n. 13 del 2017, art. 6, comma 13 non ha qualificato il termine di quattro mesi per la decisione come perentorio, ma non ha previsto neppure alcuna sanzione processuale per l’eventualità del suo mancato rispetto.
3. Con il secondo motivo è stata dedotta l’omessa e/o carente e/o illogica motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè la violazione degli 2, 3, 5, 10, 11 Cost. e degli artt. 2,3 e 5 Convenzione per la Salvaguardia dei diritto dell’uomo.
Lamenta il ricorrente che il giudice di merito non ha correttamente apprezzato i fatti come esposti dal ricorrente, limitandosi a riportare le motivazioni rese dalla Commissione Territoriale, incorrendo in una palese difetto di motivazione, senza argomentare e spiegare ed omettendo l’esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Espone di aver ha fornito una versione dotata di intrinseca verosimiglianza in ordine alle circostanze del suo abbandono nel deserto da parte degli emissari del partito ***** e di ritenere errato il decreto impugnato in ordine alle scarse informazioni su elementi basilari del partito ***** che avrebbe fornito in sede di audizione.
In ordine al rischio di fare ritorno al paese d’origine, lamenta che il giudice di merito non ha tenuto conto dell’escalation di eventi bellici all’interno del ***** come attestati dal report annuale di Amnesty International.
4. Il motivo è inammissibile.
Va, in primo luogo, osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).
Nel caso di specie, il ricorrente ha solo genericamente contestato il giudizio di non credibilità formulato dal giudice di merito, lamentando apoditticamente il difetto e l’omessa motivazione in ordine ai fatti decisivi per la decisione, ma senza neppure allegare gravi anomalie motivazionali (nei termini sopra illustrati), che sono le uniche attualmente denunciabili nei ristretti limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., n. 5.
Quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, va preliminarmente osservato che questa Corte ha più volte statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018, Rv. 648790).
Nel caso di specie, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata, evidenziando che oggi la situazione politica è pacifica e radicalmente mutata rispetto al passato (rilevando solo episodi di microcriminalità comune), ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (sez 1 12/12/2018 n. 32064).
Ne consegue che le censure del ricorrente, sul punto, si configurano come di merito, e, come tali, inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate esclusivamente a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dai giudici di merito.
5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omessa e/o carente e/o illogica motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in ordine alla sussistenza delle condizioni di riconoscimento dello status di rifugiato e/o protezione sussidiaria e/o umanitaria.
6. Il motivo è infondato.
Deve preliminarmente riportarsi a quanto già illustrato al punto 4 con riferimento alla inammissibilità delle censure svolte in ordine alle domande per il riconoscimento dello status di rifugiato e sussidiaria.
In primo luogo, non è sufficiente per il ricorrente aver dedotto genericamente una violazione dei diritti fondamentali nel Paese d’origine. Sul punto, questa Corte ha già affermato che, anche ove sia dedotta dal richiedente una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili nel paese d’origine, pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità, dalla situazione oggettiva di tale paese, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Infatti, ove si prescindesse dalla vicenda personale del richiedente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini sez. 1 n. 4455 del 23/02/2018).
Nel caso di specie, il ricorrente non ha dedotto assolutamente nulla in ordine alle proprie condizioni personali in rapporto alla violazione dei diritti fondamentali nel periodo precedente la sua partenza dal ***** se non con riferimento alla vicenda – ritenuta non credibile dal giudice di merito – legata al suo abbandono nel deserto da parte degli emissari del partito al potere.
Peraltro, non vi è dubbio che la ritenuta inattendibilità e non credibilità delle dichiarazioni del ricorrente abbia assunto un notevole rilievo ai fini della valutazione della situazione di vulnerabilità e della mancata concessione della protezione umanitaria.
Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite, non essendosi il Ministero intimato costituito in giudizio.
Non si applica il doppio contributo, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a carico dello Stato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020