LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23008/2018 proposto da:
D.T.A.Diallo T., elettivamente domiciliato in Roma Via F.lli Cervi N 8 presso lo studio dell’avvocato Miraglia Michele che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Carretta Gianpaolo;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso il decreto n. 1015/2018 del TRIBUNALE di POTENZA, depositata il 19/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2019 da Dott. FIDANZIA ANDREA.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Potenza, con decreto depositato il 19 luglio 2018, ha rigettato la domanda proposta da D.T., alias D.T., cittadino del *****, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.
E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo le sue dichiarazioni, pur credibili, state ritenute riconducibili a situazioni politiche o religiose o ad altri aspetti previsti dalla Convenzione di Ginevra (costui, dall’età di quattordici anni, era stato costretto dal padre a frequentare una scuola coranica, e stanco dei maltrattamenti del proprio maestro, che lo obbligava a chiedere l’elemosina, aveva chiesto la padre di poter tornare a casa, ricevendo non solo il rifiuto del genitore, ma anche la minaccia di morte da parte di quest’ultimo ove avesse abbandonato la scuola coranica, circostanze che lo indussero a fuggire dal *****).
Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il Tribunale di Potenza ha evidenziato l’insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine.
Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una specifica situazione di vulnerabilità personale.
Ha proposto ricorso per cassazione D.T., alias D.T., affidandolo a due motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è stata dedotta l’omessa e/o carente e/o illogica motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè la violazione degli artt. 2,3,5,10,11 Cost. e degli artt. 2,3 e 5 Convenzione per la Salvaguardia dei diritto dell’uomo.
Lamenta il ricorrente che il giudice di merito non ha correttamente apprezzato i fatti come esposti dal ricorrente, limitandosi a riportare le motivazioni rese dalla Commissione Territoriale, incorrendo in una palese difetto di motivazione, senza argomentare e spiegare ed omettendo l’esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Espone di aver ha fornito una versione dotata di intrinseca verosimiglianza in ordine alle circostanze relative alla sua frequentazione della scuola coranica ed alle minacce del padre in caso di suo abbandono.
In ordine al rischio di fare ritorno al paese d’origine, lamenta che il giudice di merito non ha tenuto conto della debole stabilità politica in *****, come attestato dal report annuale di Amnesty International.
2. Il motivo è inammissibile.
Va, in primo luogo, osservato che, con riferimento alla sua condizione (e storia) personale, il ricorrente non ha colto la ratio decidendi del provvedimento impugnato, non confrontandosi con il preciso rilievo in esso contenuto che, come riportato dalle fonti internazionali, il fenomeno dello sfruttamento degli allievi nelle scuole coraniche riguarda soltanto i minori, e quindi non più il richiedente che ha ormai raggiunto la maggiore età (adesso ha compiuto 24 anni). Il ricorrente non ha più nulla da temere sotto il profilo dallo stesso evidenziato in caso di ritorno nel paese d’origine.
Quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, va preliminarmente osservato che questa Corte ha più volte statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858 del 31/05/2018), Nel caso di specie, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza di una situazione di violenza diffusa ed indiscriminata, evidenziando soltanto delle criticità in ordine all’esercizio della libertà di riunione ed espressione, ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 12/12/2018 n. 32064).
Ne consegue che le censure del ricorrente, sul punto, si configurano come di merito, e, come tali, inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate esclusivamente a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dai giudici di merito.
3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. nonchè l’omessa e/o carente e/o illogica motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in ordine alla sussistenza delle condizioni di riconoscimento dello status di rifugiato e/o protezione sussidiaria e/o umanitaria.
6. Il motivo è infondato.
Deve preliminarmente riportarsi a quanto già illustrato al punto 2 con riferimento alla inammissibilità delle censure svolte in ordine alle domande per il riconoscimento dello status di rifugiato e sussidiaria.
In ordine al permesso umanitario, non è sufficiente per il ricorrente aver dedotto genericamente una situazione di grave instabilità interna nel Paese d’origine. Sul punto, questa Corte ha già affermato che pur dovendosi partire, nella valutazione della situazione di vulnerabilità, dalla situazione oggettiva del paese, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Infatti, ove si prescindesse dalla vicenda personale del richiedente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini sez. 1 n. 4455 del 23/02/2018).
Nel caso di specie, il ricorrente non ha dedotto assolutamente nulla in ordine alle proprie condizioni personali nel periodo precedente la sua partenza dal ***** se non con riferimento alla vicenda della frequentazione della scuola coranica, ritenuta coerentemente non più fonte di alcuna criticità (in conseguenza del raggiungimento della maggiore età del richiedente) dal decreto impugnato.
Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite, non essendosi il Ministero intimato costituito in giudizio.
Non si applica il doppio contributo, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a carico dello Stato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020