Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.224 del 09/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16662/2018 proposto da:

N.I.S., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappres. e difeso dall’avv. Carlo Pinna Parpaglia, con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAGLIARI, depositata il 16/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/07/2019 dal Consigliere Dott. CAIAZZO ROSARIO.

RILEVATO

CHE:

N.I.S., cittadino del *****, impugnò il provvedimento della Commissione territoriale che negò la protezione internazionale con ricorso innanzi al Tribunale di Cagliari che, con decreto emesso il 16.4.18, lo respinse osservando che: la protezione sussidiaria non poteva essere riconosciuta in ordine alla situazione della Libia, Paese di mero transito del ricorrente; non ricorrevano i presupposti del permesso umanitario in ragione dell’asserita condizione di povertà del *****, considerato altresì quanto dichiarato dal ricorrente il quale si allontanò dal Paese per dissidi con i parenti; inoltre, il ricorrente non risultava integrato in Italia, essendo al riguardo irrilevante l’opportunità di continuare a svolgere un lavoro appena reperito.

Il S. ricorre in cassazione con due motivi. Resiste il Ministero con controricorso.

RITENUTO

CHE:

Con il primo motivo è denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), per non avere il Tribunale riconosciuto la minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante dalla tortura o da altra forma di pena o trattamento inumano, in ordine alla situazione della Libia.

Il motivo è inammissibile riguardando la situazione socio-politica della Libia, quale Paese di mero transito; al riguardo, è stato affermato che nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il Paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass., n. 31676/18).

Nel caso concreto, il ricorrente ha prospettato la sola situazione della Libia, quale Paese di transito, senza allegare alcun nesso con i fatti oggetto della domanda.

Con il secondo motivo è denunziata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 per aver il Tribunale omesso ogni motivazione in ordine al riconoscimento della condizione di vulnerabilità del ricorrente ai fini della protezione umanitaria, alla luce delle sofferenze subite per arrivare in Italia e del percorso d’integrazione sociale intrapreso.

Il motivo è inammissibile perchè generico e diretto al riesame dei fatti. Al riguardo, secondo la giurisprudenza di questa Corte “il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018) costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona” (Cass., n. 13096/19).

Nella fattispecie, il ricorrente ha allegato di versare in una situazione di vulnerabilità determinata anche dalle violenze subite in Libia, senza però specificarne i particolari o i dettagli, sicchè la censura è genericamente diretta al riesame del merito.

Le spese seguono la soccombenza. Considerata la documentata ammissione al gratuito patrocinio, non s’applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 2100,00 di cui 100,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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