LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 17997/2018 proposto da:
R.M., elettivamente domiciliato in Roma Largo Lucio Apuleio 11, presso lo studio dell’avvocato Strillacci Antonio che lo rappresenta e difende, con procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., elettivamente domiciliato in Roma, alla via Dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di CATANIA, depositata il 18/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/07/2019 dal Consigliere Dott. CAIAZZO ROSARIO.
RILEVATO
CHE:
R.M., cittadino del *****, impugnò il provvedimento della Commissione territoriale che negò la protezione internazionale con ricorso innanzi al Tribunale di Catania che, con decreto emesso il 18.4.18, lo respinse osservando che: non sussisteva lo status di rifugiato alla luce delle non credibili dichiarazioni del ricorrente; non era riconoscibile la protezione sussidiaria poichè nella città di provenienza del ricorrente non si registravano scontri o attacchi terroristici; non era riconoscibile la protezione umanitaria per non aver il ricorrente allegato una situazione familiare o di salute tale da indurre all’accoglimento del ricorso.
Il R. ricorre in cassazione con tre motivi, illustrati con memoria. Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.
RITENUTO
CHE:
Con il primo motivo è denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 3, per non aver il Tribunale valutato correttamente le dichiarazioni del ricorrente, siccome coerenti e credibili, in ordine ai presupposti dello status di rifugiato.
Il motivo è inammissibile in quanto genericamente diretto al riesame dei fatti, ovvero dell’interpretazione del Tribunale circa l’inattendibilità del racconto reso dal ricorrente. Al riguardo, il ricorrente lamenta di aver reso una narrazione dei fatti coerente e credibile, di cui il Tribunale non avrebbe tenuto conto, senza però allegare le dichiarazioni che ha effettivamente reso innanzi alla Commissione territoriale.
Con il secondo motivo è denunziata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 non avendo il Tribunale riconosciuto i presupposti della protezione sussidiaria, come invece desumibile dal sito del Ministero degli Esteri.
Il motivo è inammissibile in quanto diretto al riesame dei fatti. Invero, il ricorrente ha allegato di aver attinto dal sito ministeriale e dal report di Refworld del 2016 le informazioni da cui emergeva una situazione di allarme terroristico nella regione di sua provenienza, di matrice religiosa, senza tuttavia evidenziare una situazione di violenza indiscriminata con il pericolo concreto di un danno grave per la sua persona.
Va osservato che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass., n. 9090/19; n. 13858/18).
Nel caso concreto, il Tribunale, seppure con motivazione succinta, sulla base dell’esame del sito ministeriale, ha escluso che nella regione di provenienza del ricorrente sussistesse una situazione di violenza indiscriminata di livello così elevato da far ritenere concreto il pericolo di minaccia grave ed individuale alla vita del richiedente la protezione sussidiaria. Nè tali argomentazioni sono state smentite adeguatamente dal ricorrente il quale ha invocato le suddette fonti informative dalle quali, però, si evince il generico riferimento a contrasti di origine religiosa.
Con il terzo motivo è denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, allegando il pericolo di morte in caso di rimpatrio, ai fini del permesso umanitario.
Il motivo è inammissibile perchè si basa sulla narrazione del ricorrente, ritenuta inattendibile dal giudice di merito e, per altro verso, ripropone, peraltro genericamente, a proposito della protezione umanitaria, la questione del pericolo di danno grave già escluso in fatto dal giudice di merito a proposito della protezione sussidiaria.
Infine, non è accoglibile l’istanza di rinvio dedotta nella memoria in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione della retroattività delle norme del cd. “decreto-sicurezza”, consideratane l’irrilevanza nel caso concreto, essendo come si è visto inammissibile la censura dedotta in tema di protezione umanitaria.
Nulla per le spese, attesa la mancata costituzione del Ministero intimato. Considerata la documentata ammissione al gratuito patrocinio, non s’applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020