Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.232 del 09/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12892/2018 proposto da:

M.O., elettivamente domiciliato domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Dal Medico Dario, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno; Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRENTO, depositato il 03/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/07/2019 dal consigliere Dott. VELLA Paola.

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Trento ha rigettato il ricorso proposto dal cittadino ***** M.O., diretto a ottenere lo status di rifugiato, ovvero la protezione umanitaria o quella umanitaria, in quanto costretto a lasciare la sua città (*****, *****) sia per il timore di essere arrestato e condannato alla pena capitale per un omicidio commesso, quale appartenente alla confraternita *****, in danno di un giovane appartenente alla setta rivale dei ***** – i quali lo avevano minacciato di vendicarsi, uccidendo lo zio – sia perchè allontanato da casa all’età di 19 anni dal padre, musulmano, per la sua religione *****.

2. Avverso detta decisione il richiedente ha proposto tre motivi di ricorso per cassazione. Gli intimati non hanno svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Vanno preliminarmente dichiarate inammissibili, perchè non rilevanti o manifestamente infondate, le questioni incidentali di legittimità costituzionale del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13 convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46 (recante: “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonchè per il contrasto dell’immigrazione illegale”), sollevate dal ricorrente per violazione dell’art. 77 Cost. (in relazione ai requisiti di necessità e urgenza) e degli artt. 3,10,24,111 Cost. e art. 6 CEDU (quanto alla previsione del rito camerale ex artt. 737 c.p.c. e ss. alla fissazione dell’udienza di discussione e audizione nonchè alla eliminazione del doppio grado di giudizio).

3.1. Ai fini della rilevanza L. n. 87 del 1953, ex art. 23, comma 2, (nel senso che “il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione”) si devono verificare le ricadute che l’eventuale sentenza di accoglimento possa spiegare sul processo principale (Corte Cost. 184/2006, 62/1993, 10/1982, 90/1968, 132/1967), essendo irrilevanti le questioni che non inciderebbero sulle situazioni giuridiche in esso fatte valere (Corte Cost. 113/1980, 301/1974) o non risponderebbero in alcun modo alla domanda di tutela rivolta al giudice rimettente (Corte Cost. 15/2014, 337/2011, 71/2009, 202/1991, 211/1984). In altri termini, è rilevante la questione il cui eventuale accoglimento produrrebbe un concreto effetto nel giudizio a quo, satisfattivo della pretesa dedotta dalle parti (Corte Cost. 151/2009), ovvero dispiegherebbe effetti concreti sul processo principale (Corte Cost. 337/2008, 303/2007, 50/2007).

3.2. Nel caso in esame, la rilevanza difetta sicuramente per le questioni concernenti la fissazione dell’udienza e l’audizione del ricorrente, poichè risulta dagli atti che il tribunale ha regolarmente fissato l’udienza di comparizione e proceduto al suo interrogatorio libero; più in generale, la decisione non trova specifico fondamento nella normativa della cui costituzionalità il ricorrente dubita.

3.3. In ogni caso, le suddette questioni sono state ripetutamente dichiarate manifestamente infondate da questa Corte (ex multis, Cass. 17717/2018, 27700/2018, 28003/2018, 281.19/2018, 32867/2018, 1876/2019) sulla base dei rilievi di seguito riepilogati.

3.4. Circa i presupposti della straordinaria necessità ed urgenza, in linea generale essi non sono assolutamente incompatibili con la scelta del legislatore di differire l’applicazione delle disposizioni introdotte con decreto legge (Corte Cost. 5/2018 e 16/2017); inoltre, con specifico riguardo al decreto legge in esame, il difetto di detti requisiti non può porsi rispetto alla disposizione transitoria che differisce di centottanta giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito, trattandosi di previsione connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per l’entrata a regime di una complessa riforma processuale (Cass. 17717/2018).

3.5. Quanto al rito camerale ex art. 737 c.p.c. – spesso adottato nella trattazione di controversie in materia di diritti e status – esso è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte (Cass. 17717/2018). Tale conclusione non risulta inficiata dall’art. 46.3 della Direttiva 2013/32/UE – secondo cui “gli Stati membri assicurano che un ricorso effettivo preveda l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto, compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva n. 2011/95, quanto meno nei procedimenti di impugnazione dinanzi al giudice di primo grado” – poichè, per un verso, il rito camerale non esclude l’audizione del richiedente asilo e, per altro verso, la stessa Corte di giustizia ha precisato che la richiamata direttiva non impedisce, in via assoluta, ai giudice nazionale di respingere il ricorso senza procedere all’audizione predetta (C. giust. 26 luglio 2017, C348/16, Moussa Sacko, 49).

3.6. Il principio del doppio grado di giudizio non ha copertura costituzionale, mentre il fatto che il procedimento de quo sia definito con decreto non reclamabile è giustificato dalle esigenze di celerità, tanto più che la fase giurisdizionale è comunque preceduta da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (Cass. 27700/2018; 28119/2018).

4. Passando all’esame dei motivi, con il primo si deduce la nullità del decreto impugnato “in quanto completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dal ricorrente alle statuizioni della Commissione… in relazione all’invocata richiesta di protezione sussidiaria”, per violazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., stante l’apparenza della motivazione circa l’inattendibilità del ricorrente e la non esaustività del quadro probatorio fornito.

4.1. La censura è infondata, dovendosi innanzitutto chiarire che i giudizi in materia di protezione internazionale non hanno ad oggetto l’impugnazione del diniego della competente Commissione territoriale, bensì il diritto soggettivo alla tutela invocata, tanto che non rilevano, ex sè, eventuali nullità del provvedimento amministrativo – sempre che non incidano sul diritto di difesa (Cass. 27337/2018, 7385/2017) – dovendo comunque pervenirsi ad una statuizione di merito sulla spettanza o meno della protezione invocata, D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, comma 10 (Cass. 30105/2018, 26480/2011).

4.2. Nel merito, la motivazione in punto di protezione sussidiaria non risulta affatto apparente, avendo il giudice a quo chiaramente affermato: i) sotto il profilo soggettivo, che difettano sussistenza e attualità delle pretese ragioni persecutorie, trattandosi di fatti risalenti al ***** in relazione ai quali lo stesso ricorrente ha dichiarato in sede di interrogatorio libero (tra l’altro): “che la polizia non sa che è stato lui a commettere l’omicidio; di non aver mai ricevuto alcuna condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte o ad altra forma di pena e che la polizia stessa avendolo fermato a seguito dell’omicidio commesso, lo ha rilasciato; di non avere mai subito tortura o altra forma di trattamento inumano o degradante nel suo paese di origine; che in ***** “non vi è nulla di armato” e non ci sono conflitti salvo il *****”, donde anche la conferma del giudizio di scarsa credibilità espresso dalla competente Commissione territoriale, essendo emersa una natura sostanzialmente personale e privata della vicenda narrata; ii) sotto il profilo oggettivo, l’insussistenza di un rischio effettivo per il ricorrente di subire un grave danno alla persona in caso di rientro nel Paese d’origine, alla luce delle COI precise e aggiornate, acquisite ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, (report annuale del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 26.12.2017; aggiornamento UNHCR di novembre 2017; sito “*****” del Ministero degli Esteri).

5. Il secondo mezzo prospetta, sempre in tema di protezione sussidiaria, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 6,7 e 14, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, comma 1-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), per avere il tribunale ritenuto irrilevanti le torture subite (sebbene documentate) e le minacce di morte ricevute dalla confraternita del *****, nonostante le informazioni disponibili confermino il clima di violenza e corruzione politica che caratterizza la Nigeria.

5.1. La censura è inammissibile poichè, al di là del mancato rispetto dell’onere di indicare (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis) il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato” testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), (Cass. Sez. U, 07/04/2014 n. 8503; conf., ex plurimis, Cass. 29/10/2018 n. 27415), dagli atti di causa emerge che il tribunale non ha omesso di esaminare i fatti dedotti, bensì li ha valutati diversamente da quanto auspicato dal ricorrente (v. sopra, punto 4.2). Il motivo censura quindi un apprezzamento di fatto – ossia l’esistenza o meno di un “danno grave” ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), che, in quanto riservato al giudice di merito, non è sindacabile in sede di legittimità (ex multis, Cass. 14221/2019). A ciò si aggiunga, sia pure solo incidentalmente, che in numerosi casi analoghi questa Corte ha ritenuto corrette in diritto, e correttamente motivate, le decisioni di merito che avevano escluso la sussistenza nel territorio dell'***** di condizioni legittimanti la protezione internazionale (Cass. 1718/2019, 32852/2018, 28433/2018, 28425/2018, 28119/2018, 9206/2018, 2682/2018).

6. Le ragioni appena illustrate rendono inammissibile anche il terzo motivo, con cui si lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5; D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28, lett. d), in riferimento alla protezione umanitaria, per non avere il tribunale adeguatamente valutato, per un verso, la documentazione attestante le attività lavorative svolte e i corsi formativi frequentati, per altro verso la grave compromissione dei diritti umani che il ricorrente subirebbe se facesse rientro in Nigeria.

6.1. Alle ragioni già espresse deve aggiungersi che il tribunale ha in effetti tenuto conto della documentazione in questione, ritenendo però – con una valutazione di merito appunto insindacabile in questa sede – che essa “non prova lo stabile inserimento del ricorrente nel tessuto sociale italiano, nè una concreta possibilità di inserimento lavorativo” e che, con riguardo agli ulteriori profili in discussione, “non risulta che il signor O. si trovi in condizione di vulnerabilità al rientro nel proprio Paese”, anche per la mancata allegazione del “contesto di tempo e di luogo in cui il ricorrente si sarebbe procurato le ferite mostrate nelle foto prodotte”.

7. In conclusione, il ricorso va rigettato.

8. Non sussistono i presupposti per la pronuncia sulle spese, in assenza di difese delle parti intimate.

9. Poichè la parte soccombente risulta ammessa al Patrocinio a spese dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater ai fini del cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. 28433/2018, 13935/2017, 9938/2014).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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