Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.239 del 09/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30795/2018 proposto da:

H.P., domiciliato in Roma, piazza Cavour presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato Mauro Ceci in forza di procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1534/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 07/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/09/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 H.P., cittadino del *****, ha adito il Tribunale di L’Aquila impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito di aver lasciato il ***** perchè dopo la morte dei suoi genitori, uno zio aveva venduto lui e i suoi fratelli ad un gruppo di siriani che gli facevano costruire e maneggiare bombe insieme ad altri connazionali, senza alcuna competenza; ritenuto incapace di adempiere all’incarico, era stato venduto dai siriani ai libici e di lì si era poi imbarcato per l’Italia.

Con ordinanza del 30/5/2017 il Tribunale di L’Aquila ha rigettato il ricorso, ritenendo la non sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

2. L’appello proposto dal H. è stato rigettato dalla Corte di appello di L’Aquila, con sentenza del 7/8/2018.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso H.P., con atto notificato il 5/8/218, svolgendo un unico motivo.

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita in giudizio.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1 e 2 Convenzione di Ginevra per il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e la mancata applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

1.1. Secondo il ricorrente, la motivazione addotta dalla Corte di appello in punto diniego della protezione sussidiaria e di quella umanitaria era meramente apparente e basata su mere clausole di stile.

Il racconto del richiedente asilo era coerente e plausibile; egli si era trovato privato della libertà personale e in balia di criminali che lo avevano sfruttato e maltrattato.

Diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello, nel Paese di origine le Autorità nazionali non hanno il pieno controllo dei fenomeni di violenza.

1.2. In punto protezione sussidiaria, la Corte di appello ha escluso che il ricorrente avesse anche solo prospettato il rischio di essere sottoposto a condanna a morte in caso di rientro in patria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a)).

Quanto al rischio di tortura o altri trattamenti inumani o degradanti (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b)) la Corte di appello ha escluso un apprezzabile grado di individualizzazione del rischio che collegasse il ricorrente, per appartenenza ad una comunità, a un gruppo sociale, a un genere, a una fazione politica o religiosa al pericolo paventato.

A tal proposito il ricorrente non allega in modo preciso e specifico un fattore di rischio.

Quanto alla minaccia grave e individuale alla vita e alla persona derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)), la Corte di appello, pur riconoscendo che alla luce delle fonti internazionali consultate (ultimi rapporti di Amnesty International) il ***** era incorso in violazioni sistematiche dei diritti umani, ha negato la sussistenza di un conflitto armato interno tale da esporre i civili a un rischio di violenza indiscriminata.

A tal proposito il ricorrente si limita a manifestare un dissenso nel merito dalla valutazione espressa dalla Corte territoriale, senza evidenziare alcuna violazione di legge e senza dimostrare l’inconsistenza della motivazione, che non può essere ritenuta di stile e meramente apparente.

1.4. Il ricorrente sostiene inoltre che le dichiarazioni da lui rese evidenziavano una condizione di vulnerabilità personale perfettamente coerente con la situazione generale del ***** risultante dalla relazione di Amnesty International.

Il ricorrente era ospitato in un centro a L’Aquila ed era perfettamente integrato socialmente, era alfabetizzato e aveva chiara volontà di svolgere attività lavorativa in Italia.

1.5. La censura così svolta in punto riconoscimento di un permesso umanitario è inammissibile perchè non affronta – e tampoco confuta – la motivazione addotta dalla Corte territoriale che, riprendendo l’opinione espressa dal Tribunale e citando un ampio stralcio della motivazione della sentenza di primo grado, ha fondato il rigetto della richiesta sulla assoluta non credibilità delle dichiarazioni del ricorrente circa la propria vicenda personale.

Per altro verso, l’integrazione sociale rivendicata dal ricorrente, è di per sè irrilevante poichè non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (Sez. 6 – 1, n. 17072 del 28/06/2018, Rv. 649648 – 01; Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01).

In ogni caso il ricorrente adduce al proposito considerazioni del tutto generiche, ossia il suo buon inserimento nel centro di accoglienza, una non meglio precisata “alfabetizzazione”, una condotta esente da pregiudizi penali e la disponibilità al lavoro.

2. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile Nulla sulle spese in difetto di costituzione dell’intimato.

Poichè risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere stata ammessa al Patrocinio a spese dello Stato non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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