Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.23985 del 29/10/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17192-2018 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dell’avvocato ANTONIO OTTOMANO;

– ricorrente –

contro

CI.RO., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GABRIELE CIARDO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 80/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 16/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CHIARA GRAZIOSI.

RILEVATO

che:

Con atto di citazione notificato il 29 marzo 2005 Ci.Ro. si opponeva a decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Lecce a seguito di ricorso di La Tecnostudio di C.S., per cui egli avrebbe dovuto pagare alla ricorrente la somma di Euro 3371,28 oltre accessori e spese per quattro fatture relative a prestazioni attinenti alla installazione di impianti tecnologici. L’opponente adduceva che La Tecnostudio era stata parzialmente inadempiente nei suoi confronti quanto alle obbligazioni assunte con il contratto di appalto che aveva con essa stipulato in data *****, e che pertanto non le sarebbe spettato alcun credito; in via riconvenzionale, chiedeva la risoluzione del contratto per grave inadempimento dell’appaltatrice e la condanna di quest’ultima a risarcirgli danni nella misura di Euro 4500. L’opposta si costituiva, insistendo nella sua pretesa e chiedendo il rigetto delle domande riconvenzionali di controparte.

Il Tribunale, con sentenza del 6 maggio 2013, accoglieva l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo; rigettava peraltro le domande riconvenzionali dell’opponente e compensava le spese.

La Tecnostudio di C.S. proponeva appello, cui resisteva Ci.Ro.. Con sentenza del 16 gennaio 2018 la Corte d’appello di Lecce rigettava il gravame, condannando l’appellante a rifondere all’appellato le spese del grado.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il C. quale “già titolare” della ditta La Tecnostudio, sulla base di due motivi.

Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per nullità della sentenza in relazione anche all’art. 161 c.p.c., il secondo motivo, proposto in subordine, denuncia omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si è difeso con controricorso Ci.Ro..

Con ordinanza interlocutoria del 27 dicembre 2019 la causa è stata rimessa a nuovo ruolo per l’acquisizione del fascicolo di secondo grado, mancante agli atti pur essendo stato ritualmente richiesto dal ricorrente.

La causa è stata poi trattata alla adunanza camerale del 16 giugno 2020.

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo del ricorso denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per nullità della sentenza d’appello “poichè sottoscritta da presidente non facente parte del Collegio giudicante”, anche in riferimento all’art. 161 c.p.c..

2. Il secondo motivo, proposto in subordine, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione delle sentenze sia di primo grado sia di secondo grado “poichè come detto in fatto e in diritto ed in ogni atto e scritto difensivo prodotto è stata data ogni prova dei lavori contrattuali ed extracontrattuali sottostanti ad ogni fattura”; e nonostante ciò i giudici di merito “non hanno inteso non solo disporre una C.T.U. tecnica-contabile considerata la loro incapacità, ma a negare (sic) l’erogazione non contestata delle somme dei lavori extracontrattuali pari ad Euro 3900,00 secondo il contratto del ***** a nulla valendo dopo quasi un anno la infondata denuncia di alcune imperfezioni e/o dimenticanze relative a taluni lavori pattuiti dei quali la ditta esecutrice anche con prova documentale ne ha dato certa motivazione.”

Si sostiene altresì che non vale “la condizione” posta nella scrittura del ***** con cui controparte si impegnava a corrispondere Euro 2161,60 “poichè senza pagamento del 70% delle opere realizzate nonchè di quelle extracontrattuali non si può (ove non siano state terminate) eseguire alcuna opera con soggetto, peraltro direttore di quei lavori, che ha il vizio di esasperare ogni ditta ad ogni richiesta di legittima somma di denaro che in caso contrario, nella qualità suddetta, avrebbe dovuto contestarla nelle forme e nei modi dovuti. Vedere prova relazione geom. B.. Ma di questo i giudici di primo e secondo grado (a proposito di dovere di prova) non ne hanno tenuto conto”.

3. Esaminando allora il primo motivo risulta che il collegio, in effetti, nell’indicazione dei suoi componenti risulta presieduto dal Dott. R.G.; la sottoscrizione in qualità di presidente risulta invece essere stata effettuata dal Dott. Bu.Gi. (l’estensore corrisponde, si nota per inciso).

Il controricorso oppone trattarsi di un mero refuso, in quanto tale emendabile con correzione d’errore materiale, poichè l’udienza sarebbe stata tenuta dal Dott. Bu.Gi., che già dal 2015 avrebbe sostituito il Dott. R.G.. Dall’esame degli atti, però, emerge che la causa è stata incamerata per le sentenza qui impugnata all’udienza del 23 maggio 2017, con il collegio realmente presieduto dal Dott. R.G..

Insegna stabile giurisprudenza di questa Suprema Corte: “La sottoscrizione della sentenza collegiale da parte di un presidente, il cui nominativo sia diverso da quello indicato in epigrafe, qualora il nome del giudice estensore firmatario sia correttamente indicato, costituisce un vizio di costituzione del giudice (salve le ipotesi di errore materiale), regolato dall’art. 158 c.p.c., da dedurre tempestivamente in sede di gravame ai sensi dell’art. 161 c.p.c., comma 1, non potendo tale ipotesi essere assimilata a quella della cd. decisione inesistente, nella quale la sottoscrizione manca del tutto, il cui radicale vizio può essere dedotto in ogni sede e tempo, perchè la sottoscrizione è insufficiente ma non assente e una diversa interpretazione, che riconduca la fattispecie a quella disciplinata dall’art. 161 c.p.c., comma 2, sarebbe ritenersi lesiva dei principi del giusto processo e della ragionevole durata dello stesso.” (così, in un caso analogo, Cass. sez. 5, ord. 5 dicembre 2018 n. 31396, sulla scorta di S.U. 2 dicembre 2013 n. 26938; e cfr. da ultimo Cass. sez. 1, ord. 19 febbraio 2020 n. 4255).

Da ciò deriva che il primo motivo è pienamente fondato, onde – non dovendosi vagliare comunque l’altro, proposto in subordine – va accolto, la sentenza dovendo essere cassata con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020

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