Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.240 del 09/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30898/2018 proposto da:

R.M., domiciliato in Roma, piazza Cavour presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato Tania Reggiano in forza di procura su foglio separato allegato e da intendersi in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 451/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 10/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/09/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 R.M., alias M.F., cittadino del Bangladesh, ha adito il Tribunale di L’Aquila impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente, che aveva presentato la domanda riferendo generalità sensibilmente differenti, aveva raccontato di essere nato nel villaggio di *****, nella zona occidentale; di essere rimasto orfano di padre all’età di sette anni; di essere stato abbandonato due anni dopo, insieme a due sorelle, dalla madre, risposatasi; di aver lasciato il Bangladesh nel 2014 per il timore di essere ucciso da un cugino, o dai suoi parenti, noti terroristi, a cui aveva negato in sposa una delle due sue sorelle, ovvero di essere da loro falsamente denunciato per reati di omicidio o furto; che, dopo il rifiuto del matrimonio, tale P., cugina del cugino, lo aveva accusato di aver provocato insieme ad altre nove persone la morte della sorella, suicidatasi con il veleno; che, ricercato, si era nascosto, mentre gli altri accusati avevano pagato la polizia per non andare in carcere; di aver quindi fatto sposare l’ultima sorella rimasta con soldi presi a prestito dal cognato; di essere stato aggredito, una settimana dopo il matrimonio, in casa propria dal cugino e dai suoi parenti che lo avevano ferito al braccio destro e picchiato; che costoro avevano falsificato la sua firma e lo avevano denunciato per furto di quanto preso e non restituito; di avere mandato moglie e figli dal suocero, di aver dato la propria casa a garanzia del debito e di essere quindi espatriato in aereo alla volta della Libia; di non poter chiedere aiuto alla polizia perchè i parenti del cugino, pur noti terroristi, avevano contatti con politici e ministri.

Con ordinanza del 5/6/2017 il Tribunale di L’Aquila ha rigettato il ricorso, ritenendo la non sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

2. L’appello proposto dal R. è stato rigettato dalla Corte di appello di L’Aquila, con sentenza del 10/3/2018.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto R.M. con atto notificato il 9/10/2018, svolgendo tre motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita in giudizio.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

1.1. Gli elementi previsti dalla prima norma sono stati rispettati dal ricorrente e il mancato esercizio del potere istruttorio da parte dei giudici del merito aveva inficiato la corretta motivazione in punto ricostruzione del fatto.

In particolare la provenienza del R. dal distretto di ***** risultava accertata dal provvedimento di diniego notificato dalla Questura il 31/8/2016 (fascicolo di primo grado, doc. 1).

1.2. I Giudici del merito hanno espresso un articolato e motivato giudizio sulla non credibilità del racconto del ricorrente circa la vicenda personale, fondato su molteplici elementi critici esposti alle pagine 5 e 6 della sentenza impugnata, rimasti indenni dalle censure del ricorrente.

Questi concentra la propria attenzione sull’argomentazione della Corte territoriale circa l’impossibilità di individuare il villaggio di provenienza del ricorrente, da lui indicato come *****, pur ricorrendo a un sistema sofisticato di ricerca in un ricchissimo database specializzato, che peraltro riveste un rilievo del tutto marginale e per nulla decisivo nell’impianto motivazionale della decisione impugnata, che ha ancorato il giudizio di inverosimiglianza e inattendibilità del racconto della vicenda personale a una imponente messe di ben più significative incongruenze e contraddizioni, neppur esaminate dall’attuale ricorrente (omissione di riferimenti cronologici; omessa indicazione delle generalità dei protagonisti; modalità di sottrazione alle ricerche della polizia per un periodo non breve; incoerenza interna del narrato; incongruenza del ritorno al villaggio per organizzare il matrimonio della sorella; partenza dal ***** nonostante la condizione di ricercato in aereo e utilizzando il proprio passaporto; mancata spiegazione dell’indisponibilità attuale del passaporto utilizzato; mancata produzione dei documenti consegnati alla Commissione; mancata corrispondenza di nominativi indicati delle denunce e il nome del richiedente; difformi dichiarazioni circa le proprie generalità).

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè all’art. 10 Cost., comma 3.

2.1. Il “viaggio della speranza” intrapreso dal ricorrente era l’effetto dell’assenza nel suo paese, in cui gran parte della popolazione è esposta a rischio concreto di sopravvivenza a causa di gravi malattie, catastrofi naturali e crisi alimentare, era meritevole di una forma di protezione idonea a garantire una vita libera e dignitosa.

La Corte di appello aveva ritenuto credibile il racconto del richiedente almeno nella parte relativa alle sue difficoltà economiche; doveva quindi ritenersi che la decisione non fosse sorretta da corretta motivazione quanto all’esclusione delle condizioni generali del Paese di origine, quali fonte di disagi economici tali da non garantire livelli di vita dignitosi in base ai principi democratici riconosciuti dalla Costituzione italiana.

2.2. Il motivo non appare pertinente rispetto alla ratio decidendi, non messa correttamente a fuoco.

La Corte territoriale ha ritenuto non attendibile il racconto del ricorrente circa la sua vicenda personale, salvo – e molto genericamente – ritenere maggiormente credibili le dichiarazioni circa le allegate difficoltà economiche del richiedente quale ragione del suo allontanamento dal *****; ha tuttavia escluso che una generica ragione di difficoltà economica potesse giustificare il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, se non correlata a ragioni strettamente personali e individualizzanti e correlata alla situazione di grave violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza.

Il motivo del rigetto è stato quindi colto nel fatto che il ricorrente non avesse neppur allegato credibilmente una situazione, personale, diversa dalle mere difficoltà economiche che lo esponesse in modo individuale a una condizione di intollerabile privazione dei diritti umani: tale motivazione non viene contrastata adeguatamente dal ricorrente che si limita a richiamare le condizioni generali del Paese di origine e in modo ultra-generico le proprie difficoltà economiche, neppur adeguatamente precisate.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio e in particolare l’omesso esame del certificato medico del Dott. F. (dal quale risultava la presenza sul corpo del ricorrente di una cicatrice compatibile con il suo racconto), nonchè della notifica del diniego da parte della Questura (da cui risultava l’effettiva provenienza territoriale del richiedente) e mancata applicazione di regole di esperienza.

La prima circostanza non può essere considerata un fatto decisivo perchè, secondo lo stesso ricorrente, il certificato medico si limita ad attestare la presenza sul corpo del ricorrente una cicatrice “compatibile” con il suo racconto (che riferisce di una ferita da coltello al braccio destro), ampiamente suscettibile di svariate spiegazioni alternative, specie a fronte della imponente motivazione di non credibilità del racconto del richiedente addotta dalla Corte territoriale.

Anche la seconda circostanza della notifica del diniego da parte della Questura, da cui risultava l’effettiva provenienza territoriale, per vero attendibilmente basata sulle stesse dichiarazioni del richiedente, non ha carattere decisivo, come esposto nel p. 1, e in ogni caso non contrasta con quanto affermato dalla Corte di appello, che non ha dubitato della provenienza dal distretto di ***** ma dell’individuazione, non riscontrata, del villaggio di *****.

4. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile Nulla sulle spese in difetto di costituzione dell’intimato.

Poichè risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere stata ammessa al Patrocinio a spese dello Stato non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, della Sezione Prima civile, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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