LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6029-2019 proposto da:
D.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO DOMENICO FERRARO;
– ricorrente –
contro
D.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI TADINI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3425/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata l’11/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LOREDANA NAZZICONE.
RILEVATO
– che viene proposto ricorso avverso la sentenza pronunciata in data 11 luglio 2018 dalla Corte d’appello di Napoli, che ha respinto l’impugnazione avverso la decisione del Tribunale di S.M. Capua Vetere del 26 gennaio 2016, il quale aveva a sua volta disatteso la domanda di accertamento di una società di fatto tra i fratelli D.L. e D.R., costituita sin dal 1992 e volta alla gestione di un’azienda di allevamento, nonchè di liquidazione della quota sociale, a seguito dell’uscita del primo dalla società per i dissidi insorti nel corso del 2011 con l’altro socio;
– che resiste con controricorso l’intimato.
RITENUTO
– che il motivo deduce la violazione degli artt. 244 e 245 c.p.c., lamentando come la serie di indizi, forniti dal ricorrente al giudice di merito (78 matrici di assegni, recanti importi date e beneficiari; la delega adoperare sul conto corrente aziendale; le cambiali avallate), siano stati valutati atomisticamente e non nella loro complessiva valenza, come richiesto invece per la prova presuntiva, attesa l’allegazione attorea di mera intestazione formale della società, donata ai germani dalla madre, all’altro fratello, in quanto il ricorrente aveva un impiego; inoltre, lamenta che gli sia stato impedito di provare per testi e mediante interrogatorio formale l’esistenza della società di fatto, perchè proprio tale mezzo gli avrebbe permesso di completare proficuamente la dimostrazione dell’assunto, non avendo la corte d’appello ammesso una prova orale ritualmente formulata e non avendo essa applicato correttamente il principio di diritto relativo alla specificità della deduzione dei fatti da provare;
– che la corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che:
= non è incontroverso che l’impresa comune ebbe inizio con la donazione dell’azienda agricola dalla madre ai due fratelli;
= dal 1996, anno in cui risulta costituita una impresa individuale, le iscrizioni amministrative ed i contratti recano sempre il solo nome di D.R.;
= le matrici di assegni non provano alcunchè, non essendo stata ammessa la prova orale;
= il conferimento d’opera dell’attore non risulta, non essendo stata ammessa la prova orale;
= la prestazione di fideiussioni ed avalli può dipendere dalla mera affectio familiaris;
= la delega bancaria ad operare sul conto, la custodia dei documenti di circolazione dei mezzi agricoli aziendali, il possesso del carnet di assegni e di titoli, i finanziamenti personalmente richiesti da D.L. non hanno valenza probatoria univoca, potendo derivare dal mero rapporto familiare;
= la mancata percezione degli utili dell’impresa – pur avendo l’attore riferito di società in costante perdita e della mancata percezione dei medesimi anche da parte di D.R., autorizzato a prelevare solo una somma mensile fissa a titolo di stipendio – costituisce un indizio della inesistenza della società di fatto;
= infine, la prova per interrogatorio formale e per testimoni non è stata giustamente ammessa, in quanto già il primo capitolo – volto a dimostrare che ” D.L. ha gestito in forma societaria insieme al fratello D.R. e sin dalla sua costituzione l’azienda di allevamento bovino e bufalino corrente in ***** alla via *****…” – contiene valutazioni, essendo chiesto al testimone un parere circa l’esistenza di una società; inoltre, occorreva nella specie provare non una società apparente, che si mostra ai terzi ma non esiste, quanto invece una società occulta, sebbene esistente, onde restava irrilevante che i terzi avessero ritenuto esistente una società tra i fratelli; ed il capitolo non potrebbe mirare a provare, in generale, l’esistenza di una società lungo un lungo lasso di tempo, in quanto invece si debbono indicare le singole circostanze concrete del fatto;
– che, ciò posto, il complesso motivo è manifestamente fondato;
– che va richiamato il condivisibile principio, enunciato da questa Corte, secondo cui la parte che, in sede di ricorso per cassazione, addebiti a vizio della sentenza impugnata la mancata ammissione di prove orali richieste nel giudizio di merito, ha l’onere, a pena di inammissibilità del ricorso, se non di trascrivere nell’atto di impugnazione i relativi capitoli, almeno di indicare in modo esaustivo le circostanze di fatto che formavano oggetto della disattesa istanza istruttoria, in quanto il detto ricorso deve risultare autosufficiente e, quindi, contenere in sè tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della pronuncia impugnata, non essendo sufficiente un generico rinvio agli atti difensivi del pregresso giudizio di merito (Cass. 12 giugno 2006, n. 13556), restando dunque soddisfatto il requisito, con riguardo alla censura di mancata ammissione nel giudizio di merito di una prova orale, allorchè il contenuto della prova, di estrema semplicità, è riprodotto nei suoi elementi essenziali, in modo da consentire il necessario controllo della decisività della stessa (Cass. 15 marzo 2006, n. 5674), in quanto il contenuto della prova sia stato riprodotto nei suoi elementi essenziali (Cass. 18 giugno 2003, n. 9712);
– che, inoltre, giova ricordare come (da ultimo, Cass. 6 maggio 2019, n. 11765; 10 ottobre 2008, n. 25013; 28 agosto 2003, n. 12642) l’esigenza di specificazione dei fatti sui quali i testimoni devono deporre o le parti essere interrogate formalmente deve ritenersi soddisfatta se, ancorchè non precisati in tutti i loro minuti dettagli, tali fatti siano esposti nei loro elementi essenziali, per consentire al giudice di controllarne l’influenza e la pertinenza e mettere in grado la parte, contro la quale essa è diretta, di formulare un’adeguata prova contraria, giacchè la verifica della specificità e della rilevanza dei capitoli formulati va condotta non soltanto alla stregua della loro letterale formulazione, ma anche in relazione agli altri atti di causa ed alle deduzioni delle parti, nonchè tenendo conto della facoltà di chiedere chiarimenti e precisazioni ai testi da parte del giudice e dei difensori;
– che, con riguardo alla prova presuntiva, è principio costantemente affermato che il procedimento, da seguire necessariamente in tema di prova per presunzioni, si articola in due momenti valutativi; in primo luogo, occorre che il giudice valuti in maniera analitica ognuno degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e, invece, conservare quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravità, ossia presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, egli deve procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi (cfr. Cass. 13 ottobre 2005, n. 19894; nonchè altre successive);
– che se ne trae la sussistenza del vizio per errore di diritto, censurabile in sede di legittimità – a tale sindacato sottraendosi l’apprezzamento circa l’esistenza degli elementi assunti a fonte di presunzione e la loro concreta rispondenza ai requisiti di legge soltanto se il relativo giudizio non risulti viziato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, o da erronei criteri giuridici – la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (cfr. ancora Cass. 13 ottobre 2005, n. 19894);
– che, nella specie, quanto alla prova per interpello e testimoniale non ammessa, l’indicazione sia della circostanza della continua attività di gestione dell’azienda fin dalla sua costituzione, sia delle singole attività svolte per l’intrapresa comune – nell’intento attoreo, volte al fine di dimostrare l’assunto della società di fatto, alla cui prova concorrevano i documenti in atti sopra menzionati – che avrebbero dovuto formare oggetto della stessa, ne palesano la rilevanza e concludenza, onde non è legittima la preclusione al suo espletamento, trattandosi di capitoli separati ed adeguatamente specifici, secondo le prescrizioni di cui agli artt. 230 e 244 c.p.c., onde la corte d’appello non ha correttamente applicato il principio di diritto relativo alla specificità della deduzione dei fatti da provare;
– che l’effettiva violazione, da parte della corte d’appello, delle norme in tema di ammissione delle prove orali – per interrogatorio formale e per testimoni – risulta dalla motivazione della sentenza impugnata, laddove essa reputa i capitoli offerti per la prova orale inconferenti, in quanto volti ad accertare presso i terzi se i fratelli abbiano gestito insieme l’azienda, mentre nella specie si tratterebbe di provare “una società realmente esistente, ma occulta”: al contrario, la società di fatto si appalesa per i testi (a differenza di quella occulta) ed esiste (a differenza di quella apparente);
– che, dunque, la corte d’appello ha violato la disposizione dell’art. 244 c.p.c., che richiede la formulazione “specifica” dei “fatti” in “articoli separati”, e la disposizione dell’art. 230 c.p.c., in tema di modo di deduzione dell’interrogatorio formale, “per articoli separati e specifici”; a ciò dovendosi aggiungere come la corte territoriale avrebbe potuto tenere conto del fatto che, sia per la prova per testi sia per l’interrogatorio formale, è consentito al giudice istruttore ex artt. 253 e 230 c.p.c., domandare chiarimenti e precisazioni;
– che anche la prova presuntiva è stata valutata senza tenere conto del principio, su richiamato;
– che, dunque, in accoglimento del motivo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa innanzi alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, perchè provveda alla decisione della causa, esaminando e valutando l’ammissibilità delle istanze probatorie, sulla base dei principi sopra richiamati, nonchè gli altri motivi di appello non delibati; ad essa demandandosi altresì la liquidazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa innanzi alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2020
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