LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20717/2017 proposto da:
E.A.A., elettivamente domiciliato in *****, presso lo studio dell’avvocato Ranalli Luca che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Oppedisano Francesco;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’interno;
– intimato –
avverso il decreto del GIUDICE DI PACE di REGGIO CALABRIA, depositata il 19/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/09/2019 da FALABELLA MASSIMO.
FATTI DI CAUSA
1. – E’ impugnata per cassazione l’ordinanza con cui il Giudice di pace di Reggio Calabria ha respinto il ricorso proposto da E.A.A. avverso il provvedimento di espulsione che lo riguarda.
2. – L’impugnazione si fonda su quattro motivi.
L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo è lamentata la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. c) e della L. n. 241 del 1990, art. 3. Secondo l’istante, il Giudice di pace avrebbe omesso l’accertamento dei presupposti legittimati l’espulsione, che era stata disposta sulla base della valutazione di pericolosità sociale dell’espellendo: si sottolinea come la posizione del ricorrente dovesse essere vagliata tenendo conto della sua protratta residenza in Italia, in cui era stata data prova di correttezza e di amore per il lavoro.
Col secondo mezzo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 12 e 13, comma 2, e art. 19, comma 1. Il ricorrente oppone che il Giudice di pace avrebbe omesso di pronunciarsi sull’esistenza delle ragioni umanitarie, dedotte dall’opponente, a sostegno del divieto di espulsione.
Il terzo motivo denuncia “errata interpretazione della normativa”. Si spiega che il provvedimento impugnato sarebbe stato integralmente carente di motivazione, sia in ordine all’accertamento della pericolosità sociale dell’espellendo, sia in ordine al riscontro delle ragioni umanitarie di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1.
Il quarto motivo propone una censura di “violazione di legge per difetto di giurisdizione”. Si assume che il giudice di merito avrebbe potuto dichiararsi incompetente dal momento che era pendente un giudizio instaurato avanti al Tribunale per i minorenni ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3.
2. – Il ricorso è nel complesso infondato.
Il Giudice di pace ha conferito rilievo, nell’ordinanza impugnata, ai numerosi precedenti, penali e di polizia, che riguardavano il ricorrente. Come è noto, l’art. 13, comma 2, lett. c), prevede l’espellibilità dello straniero che appartenga a taluna delle categorie indicate nel D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 1,4 e 16, tra cui sono da ricomprendere coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi e, coloro che, per la condotta ed il tenore di vita, debba reputarsi, sulla base di elementi di fatto, che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose: fattispecie, queste, espressamente richiamate dal provvedimento impugnato ed enucleate dal D.Lgs. cit., art. 1, lett. a) e lett. b). L’istante non si dimostra capace di opporre ragioni che siano idonee a contrastare l’accertamento svolto, che è in sè in grado di sorreggere la pronuncia con cui l’impugnazione del provvedimento di espulsione è stato respinta.
A quest’ultimo proposito è da osservare, infatti, che l’ordinanza non prospetta alcuno dei radicali vizi argomentativi che sono deducibili col ricorso per cassazione: e cioè la “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, la “motivazione apparente”, il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).
Nè appare puntuale e concludente il richiamo alla disciplina dei divieti di espulsione e di respingimento di cui al D.Lgs. n. 386 del 1998, art. 19. Il ricorrente invoca tale articolo senza nemmeno indicare quale, o quali, delle diverse ipotesi in esso previste ricorrerebbero nel caso in esame.
In realtà, dal complessivo tenore del ricorso emerge che a fondamento della ritenuta illegittimità del provvedimento espulsivo E.A.A. pone il fatto di essere padre di figli minori residenti in Italia. L’istante richiama, in proposito, un giudizio instaurato a norma del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, avanti al Tribunale per i minorenni: ma la deduzione, oltre a risultare del tutto priva di autosufficienza (Cass. 27 luglio 2017, n. 18679; Cass. 7 marzo 2018, n. 5478), è finanche mancante di decisività, giacchè l’istante non ha specificamente censurato l’affermazione, contenuta nell’ordinanza impugnata (pag. 3), secondo cui la domanda di autorizzazione alla permanenza in Italia per assistere la prole è stata respinta. Nè è chiaro come la proposizione, in passato, della richiamata domanda giustifichi la deduzione, oggi, e in questa sede di legittimità, di una eccezione di incompetenza (eccezione di cui si fatica, oltretutto a comprendere il senso, giacchè il Giudice di pace è stato adito proprio dall’odierno istante per impugnare il provvedimento di espulsione: e ciò in piena conformità del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18, comma 2).
3. – Nulla deve ovviamente statuirsi in punto di spese processuali.
Poichè il procedimento è esente, non sussiste l’obbligo, da parte del ricorrente, di procedere al versamento dell’importo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della la Sezione Civile, il 30 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020