LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17759/2017 proposto da:
M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO NATALE EDOARDO GALLEANO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANIELE BIAGINI;
– ricorrente –
contro
ARST S.P.A – AZIENDA REGIONALE SARDA TRASPORTI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BADIA DI CAVA 36, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI BULLITTA, rappresentata e difesa dall’avvocato PIERLUIGI GIOVANNI AUSONIO CARTA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 18/2017 della CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. di SASSARI, depositata il 11/01/2017, R.G.N. 240/2015.
RILEVATO
che:
1. con sentenza n. 18 pubblicata l’11.1.2017 la Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, ha respinto l’appello di M.A., confermando la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda del predetto di condanna della datrice di lavoro, Azienda Regionale Sarda Trasporti s.p.a. (d’ora in avanti, A.R.S.T. s.p.a.), al pagamento di differenze retributive per i tempi di attesa e di sosta;
2. la Corte territoriale ha ritenuto corretta l’interpretazione data dal Tribunale alla L. n. 138 del 1958, art. 6, che alla lett. f) considera lavoro effettivo per il personale viaggiante, compensato con un’aliquota pari al 12% della retribuzione, “il periodo di tempo che il lavoratore trascorre inoperoso fuori residenza e senza altro obbligo per esso che quello della reperibilità”; ha precisato come in tal caso il lavoratore non è “comandato a disposizione del datore di lavoro” (ipotesi contemplata dalla lett. c del citato art. 6) in quanto non svolge attività lavorativa (ma è inoperoso) e può eseguire attività esterne al lavoro, col solo obbligo di rientrare in servizio se richiamato (reperibilità fuori residenza); ha ulteriormente sottolineato come la “residenza” di cui all’art. 6 cit. non potesse coincidere col veicolo usato dall’autista ma fosse al più sovrapponibile alla sede di lavoro di cui al D.Lgs. n. 234 del 2007, art. 3, lett. c), n. 1; ciò in armonia con quanto stabilito dall’art. 3, lett. a), n. 4, del D.Lgs. citato, che esclude dal computo dell’orario di lavoro, tra l’altro, i tempi di disponibilità di cui alla lett. b) e cioè “i periodi diversi dai riposi intermedi e dai periodi di riposo, durante i quali il lavoratore mobile, pur non dovendo rimanere sul posto di lavoro, deve tenersi a disposizione per rispondere ad eventuali chiamate con le quali gli si chiede di iniziare o riprendere la guida o di eseguire altri lavori..”;
3. avverso tale sentenza M.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso la A.R.S.T. s.p.a.;
4. il pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte ed entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..
CONSIDERATO
che:
5. con l’unico motivo di ricorso M.A. ha censurato la sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., L. n. 138 del 1958, art. 6, in connessione con il D.Lgs. n. 234 del 2007, art. 3;
6. ha premesso di essere conducente di autobus normalmente adibito alla tratta ***** e ritorno; ha censurato l’applicazione alla fattispecie in esame della L. n. 138 del 1958, art. 6, lett. f), rilevando come questa norma presupponga la libertà dell’autista di muoversi e svolgere altre attività laddove egli, nei periodi di attesa, doveva rimanere sul veicolo o nelle immediate vicinanze per provvedere alla custodia e vigilanza del bene aziendale affidatogli, come allegato nel ricorso introduttivo di primo grado e non contestato dalla controparte; sul tragitto percorso, difatti, non vi erano luoghi di deposito dell’azienda ma unicamente piazzole di sosta prive di vigilanza;
7. ha criticato l’interpretazione data dalla Corte di merito al D.Lgs. n. 234 del 2007, art. 3, sottolineando come la lett. c), n. 2, consideri “il veicolo usato dalla persona che effettua operazioni mobili di autotrasporto per lo svolgimento delle sue mansioni” quale posto di lavoro e ribadendo che nelle soste forzate, imposte dall’organizzazione datoriale, il veicolo era il suo posto di lavoro e quindi residenza;
8. ha criticato inoltre la nozione di reperibilità applicata dai giudici di appello rilevando come i “tempi di disponibilità di cui alla lett. b)”, che in base al D.Lgs. n. 234 del 2007, art. 3, comma 1, lett. a), n. 3, sono esclusi dal computo dell’orario di lavoro, riguardano ipotesi accomunate dalla mancanza di responsabilità del veicolo in capo al conducente, circostanza assente nel caso in esame;
9. il ricorso è infondato e non può trovare accoglimento;
10. questa Corte ha più volte precisato che le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Cass. 18782 del 2005; n. 195 del 2016; n. 23847 del 2017; n. 6035 del 2018);
11. l’attuale ricorrente ha denunciato la violazione di legge e, specificamente, l’erronea applicazione della L. n. 138 del 1958, art. 6, lett. f), alla fattispecie oggetto di causa, sul presupposto di una diversa ricostruzione in fatto rispetto a quella adottata dai giudici di merito; cioè basandosi sull’assunto dell’essere il lavoratore, (nelle soste fuori residenza, tenuto alla sorveglianza continuativa del veicolo aziendale, quindi “comandato a disposizione del datore di lavoro” e non in condizioni di usufruire liberamente del proprio tempo;
12. tale assunto è smentito dall’accertamento contenuto nella sentenza impugnata, e non è neppure automaticamente desumibile dall’obbligo di diligenza, che certamente grava sul dipendente nell’adempimento della prestazione con un bene affidato dal datore di lavoro (cfr. Cass. n. 13530 del 2008; n. 13891 del 1999), e che non equivale ad un dovere di sorveglianza continuativa del bene aziendale;
13. da questo punto di vista si rivelano inconferenti le pronunce di legittimità richiamate nel ricorso in esame;
14. la sentenza Cass. n. 19537 del 2005 esclude l’applicazione dell’art. 6, lett. f) cit. in quanto nel caso ivi esaminato “non vi era il solo obbligo della reperibilità, ma quello di restare a bordo del veicolo per alternarsi con l’altro conducente, nè la sosta era inoperosa essendo l’autista addetto alle mansioni accessorie” (come si ricava anche dal principio di diritto affermato in tale pronuncia: “E’ considerato tempo di lavoro effettivo, a sensi della L. n. 138 del 1958, art. 6, lett. e, tutto il tempo che il conducente di automezzo pubblico di linea adibito al trasporto extra urbano trascorra a bordo del veicolo, dovendo alternarsi con altro conducente perchè il tempo di percorrenza della tratta supera i limiti di guida previsti dall’art. 5 della stessa legge; il tempo di pausa dalla guida non può essere valutato nella percentuale del 12%, previsto dell’art. 6, lett. f, sussistendo il comando a disposizione dell’azienda di cui alla lett. c), e non l’unico obbligo di reperibilità”);
15. parimenti non conferente è il richiamo a Cass. n. 5459 del 1992 in cui si dà atto di un accertamento di merito, non censurabile in sede di legittimità, circa l’esistenza, in aggiunta all’obbligo della reperibilità del conducente, di un obbligo di natura diversa desunto da un ordine di servizio atto a trasformare, ai fini retributivi, la durata della sosta in periodo integrale di lavoro;
16. anche la critica mossa dal ricorrente all’interpretazione del D.Lgs. n. 234 del 2007, art. 3, sul rilievo che i tempi di disponibilità di cui alla lett. b), esclusi dal computo dell’orario di lavoro, riguardano ipotesi in cui il conducente non ha la responsabilità del veicolo, poggia sul presupposto in fatto, diverso da quanto ritenuto in sentenza, che U. avesse nelle pause la responsabilità del veicolo nel senso che non potesse allontanarsi dallo stesso; il che, ancora una volta, colloca la censura al di fuori dell’ambito di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
17. per le considerazioni svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
18. le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
19. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020