Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.259 del 09/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28081-2018 proposto da:

D.N.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA APPIO CLAUDIO 289, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO GERMANI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

GROUPAMA ASSICURAZIONE SPA, B.T., A.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 12020/2018 del TRIBUNALE di RONLA, depositata il 11/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 03/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa PELLECCHIA ANTONELLA.

RILEVATO

che:

1. Nel 2015, D.N.A. conveniva in giudizio Groupama Assicurazioni S.p.a., B.T. e A.S., rispettivamente proprietaria e conducente del veicolo, per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti dall’attore a seguito del sinistro stradale avvenuto il 22.09.2012 in Roma.

Parte attrice sosteneva che mentre percorreva ***** a bordo del proprio motociclo, giunta all’altezza dell’incontro, veniva urtata dall’auto condotta da A. che non aveva rispettato la segnaletica della precedenza.

Si costituiva la Groupama attraverso la UnipolSai come mandataria, nella contumacia di B.T. e A.S..

Nel corso del giudizio, il D.N. contestava la legittimazione della Unipolsai non essendo stato prodotto il mandato.

Il Giudice di Pace di Roma dichiarava l’improcedibilità della domanda attorea poichè nelle lettere di richiesta risarcitoria si riscontrava la carenza di indicazioni necessarie previste dal codice delle assicurazioni in caso di lesioni fisiche. Dichiarava, dunque, l’improcedibilità della domanda con compensazione delle spese di lite, assumendo la decisione in forma di ordinanza con valore decisorio.

2. Avverso tale provvedimento, proponeva appello D.N.A..

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 12020 del 11/06/2018, accoglieva l’appello, rilevando in via preliminare la nullità della costituzione della società Unipolsai Assicurazione s.p.a., quale mandataria della Groupama; dichiarava la colpa concorrente tra le parti sulla base della presunzione di pari corresponsabilità di cui all’art. 2054 c.c., comma 2 e, per l’effetto, condannava i convenuti al pagamento dei danni causati, in solido tra loro, diminuiti del 50%.

3. Avverso questa decisione, D.N.A. ricorre in cassazione sulla base di tre motivi.

4. F stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO

che:

5. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio, con le seguenti precisazioni di condividere la proposta del relatore.

6.1. Con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia lamenta la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione agli artt. 2043, 2054 e 1227 c.p.c., nonchè agli artt. 115 e 116 c.p.c., per aver il Tribunale di Roma, in grado d’appello, affermato la presunzione di colpa concorrente ex art. 2054 c.c., comma 2, senza operare alcun accertamento in concreto del grado di colpa di ciascun dei contraenti coinvolti nel sinistro”.

Il Giudice del merito avrebbe errato nel dichiarare la corresponsabilità ai sensi dell’art. 2054 c.c., comma 2, poichè nel farlo si sarebbe limitato a pronunciare esclusivamente sulla valenza probatoria del modello Cai e, dunque, sul fatto che la confessione di responsabilità in esso contenuta non costituisce valore di piena prova ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice a norma dell’art. 2733 c.c., comma 3, senza, tuttavia, prendere in considerazione qualsivoglia istanza istruttoria formulata dalle parti, determinando un’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia.

6.2. Con il secondo motivo, parte ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 1223,1227,2043,2054 e 2056 c.c., per aver il Tribunale di Roma, in grado di appello, valutato l’esistenza del nesso eziologico tra il mancato utilizzo del casco e le lesioni al capo riportate dal ricorrente non in concreto, come richiesto dalla giurisprudenza, ma alla stregua di considerazioni generiche ed astratte”.

Pertanto, il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che il mancato uso del casco protettivo avrebbe concretamente influito sulla causazione del danno; su tale presupposto il giudice del merito avrebbe escluso ogni addebito ai convenuti.

6.3. Con il terzo motivo, parte ricorrente denuncia la “nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 ”

La sentenza del Tribunale di Roma si sarebbe posta in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per irriducibile contraddittorietà, nella parte in cui ha affermato che le lesioni subite al capo dal ricorrente sono conseguenti dell’incidente ma che allo stesso tempo non potevano essere addebitate alla responsabilità dei convenuti per mancato utilizzo del casco. Pertanto, la pronuncia sarebbe censurabile per illogicità manifesta.

7. I motivi) congiuntamente esaminabili per la loro intima connessione, sono inammissibili.

Lo sono innanzitutto per la violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. Ai sensi della predetta norma, è onere del ricorrente indicare e trascrivere, quanto meno nelle parti salienti, in modo specifico gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda in modo da permettere alla Corte di valutare profili di illegittimità della sentenza di merito.

L’adempimento dell’obbligo di specifica indicazione degli atti e dei documenti posti a fondamento del ricorso di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), previsto a pena d’inammissibilità, impone quanto meno che gli stessi risultino da un’elencazione contenuta nell’atto, non essendo a tal fine sufficiente la presenza di un indice nel fascicolo di parte.

Nel caso di specie non sono correttamente indicate le prove istruttorie richieste.

In secondo luogo lo sono perchè le censure formulate dall’odierno ricorrente sono evidentemente dirette ad ottenere una rivalutazione dei fatti di causa, oltrepassando, in questo modo, i limiti propri del sindacato di legittimità. E’ il giudice del merito l’organo istituzionalmente competente alla discrezionale valutazione degli elementi di prova, limitata esclusivamente sul piano della motivazione, che deve essere coerente, in punto di diritto e sul piano logico, con i rilevi fattuali posti al suo vaglio.

Ed infatti il giudice del merito con motivazione congrua e priva di vizi logico giuridici ha ritenuta sulla base della valutazione delle prove, Il ricorso è inammissibile, in quanto diretto ad ottenere una nuova valutazione dei fatti di causa. Invero, non si rinvengono vizi logico giuridici idonei ad inficiare la validità della sentenza impugnata, avendo il Tribunale affermato la correspsaiabilità delle parti nella causazione del danno motivando puntualmente sugli elementi di fatto posti al suo vaglio.

Infatti, il Giudicante, applicando correttamente gli orientamenti di questa Corte in merito al valore probatorio da attribuire alla dichiarazione confessoria contenuta nel modulo di contestazione amichevole del sinistro (cosiddetto C.I.D.), ha ritenuto necessario dover applicare la presunzione di pari corresponsabilità di cui all’art. 2054 c.c., comma 2, in assenza di elementi sufficienti per stabile la dinamica del sinistro ed accertare l’effettivo grado di colpa di ciascuno dei conducenti.

Inoltre, l’assunta contraddittorietà del dispositivo nella parte in cui il Tribunale ha concluso che le lesioni subite al capo dal ricorrente erano conseguenti all’incidente ma che allo stesso tempo non potevano essere addebitate alla responsabilità dei convenuti per mancato utilizzo del casco, è inconsistente, in quanto il Giudicate ha puntualmente motivato che le lesioni riportate dal danneggiato sono per lo più relative al trauma cranico commotivo, e che pertanto, seppur conseguenza dell’incidente, poteva essere evitate se si fosse correttamente indossato il casco protettivo obbligatorio per legge.

In materia di responsabilità da sinistro stradale, l’omesso uso del casco protettivo da parte di un motociclista vittima di incidente può essere fonte di corresponsabilità del medesimo, a condizione che tale infrazione abbia concretamente influito sulla eziologia del danno, circostanza che può essere accertata anche d’ufficio dal giudice, giacchè riconducibile alla previsione di cui all’art. 1227 c.c., comma 1 (Cass. 9241/2016).

Ogni diversa valutazione integra una rivisitazione del merito dei fatti, che esula dà poteri di questa Corte.

8. Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile. Non occorre disporre sulle spese sulla considerazione del fatto che gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 9 gennaio 2020

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