Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.27 del 03/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21134-2018 proposto da:

L.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 7, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE SPATA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PULITORI ED AFFINI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8, presso lo studio dell’avvocato MARCO MARAZZA, rappresentata e difesa dagli avvocati ANGELO GABRIELE QUARTO e FRANCESCO ROTONDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 223/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 24/05/2018, R. G. N. 959/2017.

RILEVATO

1. Che la Corte d’appello di Venezia, pronunziando in sede di reclamo, ha confermato la sentenza resa all’esito del giudizio di opposizione che aveva respinto la domanda di L.D. intesa all’accertamento della illegittimità del licenziamento disciplinare intimato alla suddetta dalla datrice di lavoro Pulitori ed Affini s.p.a. con lettera del 20.5.2016;

1.1. che il giudice del reclamo ha ritenuto che il rifiuto della lavoratrice di adempiere all’ordine datoriale del ***** di prestare la propria attività, ferme le altre condizioni lavorative, presso altra sede, nell’ambito del medesimo appalto di pulizia e nell’ambito del medesimo territorio comunale, rifiuto protrattosi anche dopo il formale invito dell’8.3.2016 da parte della società, configurava giusta causa di licenziamento in conformità della previsione collettiva che sanzionava con il licenziamento le assenze ingiustificata prolungate oltre 4 giorni consecutivi e la grave insubordinazione ai superiori;

2. che per la cassazione ha proposto ricorso L.D. sulla base di tre motivi; la parte intimata ha depositato tempestivo controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380- bis.1. c.p.c..

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo parte ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla circostanza che, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata, la lavoratrice, pervenuta alle dipendenze della Pulitori ed Affini s.p.a. in esito a subentro di quest’ultima nell’appalto gestito dalla Cooperativa Euros & Promos precedente datrice di lavoro, aveva contestato da subito la reiterata violazione del D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 2 in ordine alla collocazione temporale dell’attività lavorativa nonchè in relazione alla modifica del luogo in cui svolgere la prestazione; il giudice del reclamo aveva omesso di esaminare se tale mutamento avesse comportato una modifica temporale dell’attività lavorativa, in violazione del D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 2, comma 2 e art. 3, comma 7. Tale omissione risultava decisiva avendo la Corte territoriale basato la sua decisione sull’applicazione del disposto dell’art. 1460 c.c. ritenendo che solo un grave inadempimento datoriale avrebbe potuto giustificare il rifiuto della prestazione da parte della lavoratrice; ai fini della complessiva valutazione della condotta della parte datoriale occorreva, infatti, considerare le gravi e reiterate violazioni della normativa in tema di contratto a tempo parziale da parte della datrice di lavoro. Parte ricorrente si duole, inoltre, della omessa considerazione della modifica dell’orario di lavoro conseguente alla modifica della sede lavorativa;

2. Che con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione delle norme dei contratti collettivi censurando la sentenza impugnata per aver avere ritenuto che l’art. 28 c.c.n.l. del settore servizi di Pulizia aziende industriali Multiservizi non richiedesse l’osservanza dell’obbligo di comunicazione scritta delle ragioni alla base della modifica del luogo di lavoro, nell’ipotesi di mobilità aziendale all’interno dello stesso Comune. Deduce, inoltre, violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. per avere il giudice del reclamo ritenuto conforme a buona fede la mancata indicazione da parte della società datrice dei motivi che giustificavano lo spostamento di sede lavorativa; in questa prospettiva assume la sussistenza dell’obbligo di comunicazione dei motivi a fronte dell’art. 28 c.c.n.l. in questo sovrapponibile all’art. 2103 c.c.; l’inadempimento di tale obbligo giustificava l’exceptio inadimplenti in favore della lavoratrice;

3. che con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 1460 c.c. per avere la Corte di merito ritenuto non giustificato il rifiuto della lavoratrice di prendere servizio nella nuova sede a fronte del grave inadempimento della parte datoriale;

4. che il primo motivo di ricorso è inammissibile. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, alla quale si intende dare seguito, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 20994 del 2019, Cass. n. 26774 del 2016, Cass. n. 19001 del 2016, Cass. n. 5528 del 2014). Parte ricorrente non ha osservato tale prescrizione; lo storico di lite del ricorso per cassazione non dà, infatti, contezza di tale diversità risultando, anzi, che le ragioni inerenti le medesime questioni di fatto della sentenza di primo grado (e cioè ingiustificatezza del protratto rifiuto della lavoratrice ex art. 1460 c.c.) erano le medesime di quelle della sentenza impugnata (v. ricorso pag 10) la quale, in più, aveva escluso che il mutamento di sede lavorativa potesse configurarsi quale trasferimento ai sensi del contratto collettivo. Tanto è sufficiente a determinare l’inammissibilità del motivo per effetto della preclusione scaturente dall’art. 348 ter c.p.c. con effetto di assorbimento di ogni ulteriore profilo attinente alla configurabilità o meno nelle circostanze denunziate dalla ricorrente, di un omesso esame di un fatto decisivo, quale fatto storico- fenomenico, o, piuttosto, di mera argomentazione giuridica trascurata dal giudice del reclamo;

4.1. che le rilevate carenze del ricorso per cassazione non possono essere “sanate” dalle deduzioni della odierna ricorrente formulate nella memoria depositata ed intese a contestare, in sintesi, il ricorrere della ipotesi di “doppia conforme”, stante la funzione meramente illustrativa e non integrativa di tale atto difensivo. Come chiarito dal giudice di legittimità, infatti, l’eventuale vizio del ricorso per cassazione non può essere sanato da integrazioni, aggiunte o chiarimenti contenuti nella memoria di cui all’art. 380 bis c.p.c., comma 2, la cui funzione – al pari della memoria prevista dall’art. 378 c.p.c., sussistendo identità di “ratio” – è di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrarli (Cass. n. 30760 del 2018, Cass. n. 24007 del 2017);

4.2. che quanto appena osservato in punto di inammissibilità di integrazione del ricorso per cassazione a mezzo della memoria ex art. 380- bis.l. c.p.c. rende irrilevante la prospettata, peraltro in termini generici e non argomentati, questione di costituzionalità, per contrasto con l’art. 111 Cost., dell’art. 348 ter c.p.c., u.c., ove interpretato nel senso di escludere il controllo sulla motivazione anche in ipotesi di silenzio da parte di entrambe le sentenze di merito su un fatto portato all’attenzione dei giudici (v. memoria pag. 7); le rilevate carenze del ricorso per cassazione non consentono, infatti, di ritenere acquisito il preteso silenzio di entrambe le sentenze sulla questione, evocata peraltro mediante mero rinvio a risultanze documentali, senza trascrizione o evidenziazione del relativo contenuto come prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in ordine alla intervenuta modifica dell’orario per effetto della modifica del luogo della prestazione;

4.3. che il secondo motivo di ricorso, in relazione alla prospettata violazione e falsa applicazione dell’art. 28 c.c.n.l., è inammissibile in quanto parte ricorrente non ha indicato la sede di produzione di tale contratto nell’ambito del giudizio di merito, come necessario alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (Cass. 29093 del 13/11/2018; 16900 del 19/08/2015Cass. 11/01/2016 n. 195; Cass. 12/12/2014 n. 26174; Cass. 24/10/2014 n. 22607, Cass. Sez. Un. 7161 del 25/03/2010); in particolare, benchè a pag. 19 del ricorso per cassazione, (secondo capoverso) in relazione all’art. 28 c.c.n.l. si richiami l’allegato sub 9 “allegato in calce al presente ricorso per comodità di consultazione” tale documento contrattuale non è in concreto reperibile in quanto non corrisponde a quello contrassegnato con il numero 9 (che concerne una missiva inviata al sindacato dalla società datrice in relazione alla posizione della L.) allegato in calce al ricorso per cassazione; le considerazioni che precedono assorbono il rilievo di improcedibilità del motivo per omesso deposito del contratto collettivo (nel testo integrale) unitamente al ricorso per cassazione, in violazione del disposto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4;

4.4. che in memoria parte ricorrente, pur dando atto del mancato deposito del contratto collettivo, sulla premessa che esso sarebbe rinvenibile nel fascicolo relativo alla fase sommaria, (v. memoria, pag.9), invoca il principio di effettività della tutela giurisdizionale ex art. 6 CEDU, al fine dell’ammissibilità della censura in esame. L’assunto è privo di pregio alla luce della giurisprudenza di questa Corte la quale ha chiarito che non contrasta con il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, sancito dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la disciplina del ricorso per cassazione, nella parte in cui prevede – all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), – requisiti di ammissibilità di contenuto-forma, giacchè essi, oltre ad essere individuati in modo chiaro (tanto da doversi escludere che il ricorrente in cassazione, tramite la difesa tecnica, non sia in grado di percepirne il significato e le implicazioni) e in applicazione del principio della idoneità dell’atto processuale al raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c., comma 2), risultano coerenti con la natura di impugnazione a critica limitata propria del ricorso per cassazione e con la strutturazione del giudizio di legittimità quale processo sostanzialmente privo di momenti di istruzione. Nè, d’altra parte, tale disciplina conferisce alla Corte di cassazione un potere discrezionale troppo ampio, ove si consideri che le sue sentenze debbono essere motivate ai sensi dell’art. 132 c.p.c. e, prima ancora, sulla base del precetto costituzionale di cui all’art. 111 Cost., comma 6, (Cass. n. 7455 del 2013);

4.5. che parimenti inammissibile è la deduzione di violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.p.c. in quanto non si configurano le denunciate violazioni di norme di legge, per insussistenza dei requisiti loro propri di verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva delle norme, nè di sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi normativa, nè tanto meno di specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. n. 16038 del 2013, Cass. n. 3010 del 2012, Cass. n. 24756 del 2007, Cass. n. 12984 del 2006); parte ricorrente, infatti, incentra le proprie critiche sulla valutazione della sentenza impugnata che ha ritenuto ingiustificato il protratto rifiuto della dipendente di prestare la propria attività nella nuova sede di lavoro investendo cioè una valutazione tipicamente riservata al giudice di merito e comunque estranea al vizio denunziato;

5. che il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto la deduzione di violazione di norma di diritto non è coerente con la modalità di articolazione della censura, non incentrata sul significato e sulla portata applicativa della norma asseritamente violata (per cui vedi considerazione espresse nel paragrafo 4.5. che precede) ma sulla esclusione da parte del giudice del merito del ricorrere in concreto dei presupposti che avrebbero giustificato alla stregua della condotta datoriale l’eccezione di inadempimento da parte della lavoratrice ai sensi dell’art. 1460 c.c.; tale esclusione è frutto di accertamento di fatto che poteva in astratto essere incrinata solo dalla deduzione di vizio motivazionale, in concreto preclusa dalla esistenza di ” doppia conforme “, come argomentato in sede di esame del primo motivo;

6. che al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite;

7. che sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00, per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2020

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