Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.32 del 03/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18520/2014 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 23, presso lo studio dell’avvocato CINZIA DE MICHELI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SALVATORE NICOLA;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO, ANTONIETTA CORETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3289/2012 del TRIBUNALE di TORINO, depositata il 18/10/2012 R.G.N. 6983/2012;

avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Torino del 22/05/2014 R.G.N. 467/201;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/11/2019 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GIORGIO GELERA per delega Avvocato CINZIA DE MICHELI;

udito l’Avvocato VINCENZO STUMPO.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Torino ha dichiarato inammissibile, con ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 348 bis e ter c.p.c., il ricorso proposto da G.M. avverso la sentenza del Tribunale di Torino che aveva rigettato la sua domanda tesa alla condanna dell’Inps al pagamento di crediti di lavoro diversi dal T.F.R. a carico del Fondo di garanzia costituito presso l’Istituto per un importo di Euro 2.654,34, oltre rivalutazione ed interessi legali sulle somme rivalutate.

2. Il giudice di appello ha evidenziato che il Tribunale si era conformato alla giurisprudenza di legittimità che afferma che in caso di insolvenza del datore di lavoro il diritto del lavoratore ad ottenere dall’Inps il pagamento delle retribuzioni relative agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro ha natura di diritto di credito ad una prestazione previdenziale distinta rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro e, dunque, la domanda di insinuazione al passivo del fallimento non interrompe la prescrizione nei confronti del fondo di garanzia che si prescrive con il decorso del termine di un anno da quando il credito è divenuto esigibile.

3. Poichè nella specie il termine decorreva dal 25.5.2004 – data del deposito del decreto del giudice delegato che ha reso esecutivo lo stato passivo- la domanda al Fondo del 4.10.2010 era senz’altro tardiva essendo maturata la prescrizione del D.Lgs. n. 80 del 1992, ex art. 2, comma 5.

4. Per la cassazione della sentenza del Tribunale di Torino ricorre G.M. formulando due motivi; inoltre, il ricorrente impugna l’ordinanza della Corte di appello sulla base degli stessi motivi.

5. L’Inps ha proposto controricorso.

6. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso avverso la sentenza di primo grado, relativo all’art. 360 c.p.c., comma 1 nn. 4 e 5, il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per omissione di pronuncia in ordine alla specifica doglianza fatta valere dal G. incentrata sulla violazione da parte dell’INPS della espressa previsione del punto 4.5. della circolare n. 74 del 15 luglio 2008, secondo cui la domanda di attivazione del Fondo di garanzia per la liquidazione dei crediti di lavoro si prescrive in un anno dalla chiusura della procedura concorsuale. In via consequenziale, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 97 Cost., L. n. 241 del 1990, art. 1,artt. 1375 e 1175 c.c., che viene fatta discendere dalla omessa pronuncia di cui al primo profilo del motivo, posto che l’INPS aveva leso il principio del legittimo affidamento ponendo in essere atti contrari all’obbligo di buona fede e correttezza nei confronti dell’interessato che nella circolare aveva riposto affidamento.

2. Con il secondo motivo, si deduce la violazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c., in ragione del fatto che la sentenza aveva condannato il ricorrente al pagamento delle spese sebbene fosse stata depositata la dichiarazione necessaria ai fini dell’esonero.

3. I medesimi motivi sono stati articolati avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Torino.

4. Va, in via preliminare, rilevato che, laddove – come nel caso di specie – con unico ricorso per cassazione siano impugnate sia la sentenza del tribunale che l’ordinanza che dichiara l’inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c., l’idoneità del ricorso al raggiungimento del suo scopo dipende dalla circostanza che la critica del provvedimento impugnato sia autonoma rispetto a quella dell’ordinanza. Ciò in ragione della distinzione dei provvedimenti che rende necessario che la critica debba essere rivolta specificatamente a ciascuno di essi e, ove ritenuta l’esistenza di un identico errore, tale identità vada individuata ed illustrata (Cass. n. 12440 del 2017).

5. Nel caso di specie, seppure con contenuti del tutto coincidenti, il ricorso ha individuato separatamente i motivi proposti avverso i due provvedimenti, dunque, è ammissibile sotto questo profilo.

6. Con riferimento all’impugnazione indirizzata nei confronti dell’ordinanza, la censura di cui al primo motivo, tuttavia, non rispetta i limiti dell’impugnabilità dell’ordinanza ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., così come fissati da Cass. Sez. U. n. 1914 del 2016, in quanto non resta sul piano della violazione della legge processuale, ma censura la decisione della Corte d’appello sul piano del merito del motivo di appello, per cui viola il principio secondo il quale: “L’ordinanza di inammissibilità dell’appello resa ex art. 348 ter c.p.c., non è ricorribile per cassazione, nemmeno ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, ove si denunci l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, attesa la natura complessiva del giudizio “prognostico” che la caratterizza, necessariamente esteso a tutte le impugnazioni relative alla medesima sentenza ed a tutti i motivi di ciascuna di queste, ponendosi, eventualmente, in tale ipotesi, solo un problema di motivazione.” (cfr. Cass. s.u. 2 febbraio 2016 n. 1914).

7. Il primo motivo di ricorso avverso la sentenza del Tribunale di Torino è infondato.

8. Va ribadito che “le circolari dell’INPS non possono derogare alle disposizioni di legge e neanche possono influire nell’interpretazione delle medesime disposizioni, e ciò anche se si tratti di atti del tipo c.d. normativo, che restano comunque atti di rilevanza interna all’organizzazione dell’ente” (cfr. in termini Cass. 26 maggio 2005 n. 11094 relativa proprio ad una fattispecie in tema di intervento del Fondo di garanzia).

9. Inoltre, va rammentato che questa Corte con riferimento al TFR, ma affermando principi di diritto relativi al Fondo in questione e alle obbligazioni a carico dello stesso, che, dunque, possono trovare applicazione anche con riguardo agli altri crediti di lavoro non corrisposti (Cass. n. 26819 del 2016, n. 16617 del 2011, n. 8265 del 2010, Cass. n. 27917 del 19 dicembre 2005),ha ritenuto che nel caso in cui si controverta di crediti di cui al D.Lgs. n. 80 del 1992, art. 2, comma 1 – vale a dire “crediti di lavoro, diversi da quelli spettanti a titolo di trattamento di fine rapporto, inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro rientranti nei dodici mesi che precedono” – il diritto del lavoratore di ottenere dall’I.N.P.S., in caso di insolvenza del datore di lavoro, la corresponsione delle somme a carico dello speciale fondo di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2, ha natura di diritto di credito ad una prestazione previdenziale ed è perciò distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro; restando esclusa, pertanto, la fattispecie di obbligazione solidale, il diritto si perfeziona non con la cessazione del rapporto di lavoro, ma al verificarsi dei presupposti previsti da detta legge (insolvenza del datore di lavoro, verifica dell’esistenza e misura del credito in sede di ammissione al passivo, ovvero all’esito di procedura esecutiva).

10. Il Fondo di garanzia costituisce attuazione di una forma di assicurazione sociale obbligatoria, con relativa obbligazione contributiva posta ad esclusivo carico del datore di lavoro, con la sola particolarità che l’interesse del lavoratore alla tutela è conseguito mediante l’assunzione da parte dell’ente previdenziale, in caso d’insolvenza del datore di lavoro, di un’obbligazione pecuniaria il cui quantum è determinato con riferimento al credito di lavoro nel suo ammontare complessivo.

Il diritto alla prestazione del Fondo nasce, quindi, non in forza del rapporto di lavoro, ma del distinto rapporto assicurativo previdenziale, in presenza dei già ricordati presupposti previsti dalla legge: – insolvenza del datore di lavoro e accertamento del credito nell’ambito della procedura concorsuale, secondo le regole specifiche di queste; – formazione di un titolo giudiziale ed esperimento non satisfattivo dell’esecuzione forzata.

In sostanza il Fondo di garanzia è istituito presso l’I.N.P.S. con lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento di fine rapporto, di cui all’art. 2120 c.c., spettante ai lavoratori o loro aventi diritto. Il finanziamento avviene mediante contribuzione obbligatoria a carico dei datori di lavoro.

Per ottenere la prestazione è necessaria una domanda amministrativa, domanda che può essere presentata solo dopo la verifica dell’esistenza e della misura del credito, in sede di ammissione al passivo fallimentare o della liquidazione coatta amministrativa, ovvero, in caso di datore di lavoro non assoggettato a procedure concorsuali, dopo la formazione di un titolo esecutivo e l’esperimento infruttuoso, in tutto o in parte, dell’esecuzione forzata.

11. Il diritto alla prestazione del Fondo nasce, quindi, non in forza del rapporto di lavoro, ma del distinto rapporto assicurativo previdenziale, in presenza dei presupposti previsti dalla legge: insolvenza del datore di lavoro e accertamento del credito nell’ambito della procedura concorsuale, secondo le regole specifiche di queste; formazione di un titolo giudiziale ed esperimento non satisfattivo dell’esecuzione forzata.

La prescrizione del diritto alla prestazione decorre, ai sensi dell’art. 2935 c.c., dal perfezionarsi della fattispecie attributiva, che condiziona la proponibilità della domanda all’I.N.P.S. (in tal senso la giurisprudenza della Corte si è già espressa con la sentenza 26 febbraio 2004, n. 3939).

La natura previdenziale dell’obbligazione assunta dal Fondo rende inapplicabile la disciplina delle obbligazioni in solido e dunque il termine di prescrizione di un anno non resta interrotto nei confronti del Fondo durante la procedura fallimentare a carico del datore di lavoro (cfr. al riguardo Cass. 10.5.2016 n. 9495, 13 ottobre 2015, nn. 20547 e 20548, 9 giugno 2014 n. 12971, 9 settembre 2013, n. 20675, 8 maggio 2013, a 10875, 23 luglio 2012, n. 12852).

12. Orbene l’odierno ricorrente, a fronte di uno stato passivo dichiarato esecutivo in data 25.5.2004, ha presentato domanda all’I.N.P.S. in data 4 ottobre 2010 (ricorso giudiziario poi del 20.7.2012) quando il termine annuale di prescrizione dei crediti azionati era da ritenere ormai spirato, non essendo intervenuti altri atti interrottivi.

La censura formulata nel primo motivo di ricorso avverso la sentenza del Tribunale di Torino è dunque infondata e deve essere rigettata.

13. E’ fondato, invece, il motivo di ricorso che investe la condanna, contenuta nella sentenza del Tribunale, al pagamento delle spese del giudizio.

Il Tribunale, infatti, in violazione del disposto dell’art. 152 disp. att. c.p.c., non ha tenuto conto della dichiarazione depositata in atti ai fini dell’esonero dal pagamento delle spese di lite.

In tali limiti deve essere riformata la sentenza di primo grado e, consequenzialmente ex art. 336 c.p.c., comma 2, l’ordinanza della Corte di appello che pure ha disposto la condanna alle spese del ricorrente e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, è possibile ai sensi dell’art. 384 c.p.c., decidere nel merito e dichiarare non ripetibili le spese dell’intero processo, posto che – sebbene il limitato accoglimento del ricorso per cassazione giustificherebbe una parziale compensazione delle spese che nel resto dovrebbero restare a carico del ricorrente soccombente – in considerazione dell’esistenza delle condizioni di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c., vanno dichiarate complessivamente non ripetibili anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il secondo motivo di ricorso contro la sentenza di primo grado, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara G.M. non tenuto al pagamento delle spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2020

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