Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.370 del 13/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24303/2018 proposto da:

D.O., elettivamente domiciliato in Isernia, presso lo studio dell’avv. Paolo Sassi, in via XXIV maggio, n. 33, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, come elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositata il 27/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/09/2019 da Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

FATTI DI CAUSA

1.- D.O., cittadino *****, ha presentato ricorso avanti al Tribunale di Campobasso avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Salerno (sezione di Campobasso), di diniego del riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria) e pure di diniego del riconoscimento della protezione umanitaria.

Con decreto depositato il 27 giugno 2018, il Tribunale molisano ha respinto il ricorso, altresì revocando l’ammissione del ricorrente al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.

2.- In punto di riconoscimento del diritto di rifugio, il decreto ha rilevato che il “motivo è infondato, in quanto siamo totalmente fuori dai presupposti di legge, vista la confusa e completamente eccentrica narrativa offerta dal richiedente”, posto in particolare che il “ricorrente affermava di avere lasciato la Nigeria per problemi di salute e di non volervi rientrare per la corruzione che allignava”.

Quanto al tema della protezione sussidiaria, il decreto ha osservato che la “zona di provenienza del richiedente (Edo State) non rientra tra quelle in cui la presenza di ***** pacificamente ha fatto assurgere il conflitto al livello di guerra civile”: “lo stesso ultimo rapporto di Amnesty International 2017 (Formigine, febbraio 2018, pp. 119 a 126) non ha evidenziato specifici episodi di conflitto armato nella regione di provenienza del ricorrente”.

In ordine alla protezione umanitaria, il decreto ha evidenziato che “nessun documento medico attesta patologie del ricorrente”.

La revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato è stata motivata rilevando il carattere “manifestamente infondato” delle ragioni addotte nel ricorso.

3.- Avverso il detto provvedimento ricorre per cassazione D.O., con tre motivi.

Il Ministero resiste, depositando controricorso.

4.- Il ricorso censura il decreto del Tribunale molisano: (i) col primo motivo, per violazione della normativa di legge relativa al diritto di rifugio e alla protezione sussidiaria, nonchè per avere omesso di valutare la vicenda personale del richiedente, con “mancanza totale di motivazione”; (ii) col secondo motivo, per violazione della normativa di legge sulla protezione umanitaria, nonchè per avere omesso di valutare la vicenda personale del richiedente; (iii), col terzo motivo, per violazione della normativa sui presupposti della revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

5.- Il primo motivo di ricorso non merita accoglimento.

Con riferimento al diritto di rifugio, va notato prima di tutto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la valutazione in ordine alla credibilità del narrato dal cittadino straniero non è censurabile in cassazione per violazione di legge, ma solo in relazione ai vizi di omesso esame o mancanza (ovvero perplessità o incomprensibilità) di motivazione (Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340).

Quanto a quest’ultimo profilo, non può, d’altra parte, essere condiviso l’assunto del ricorrente per cui nella specie la motivazione risulta assente dato che il decreto si è limitato a dichiarare “confusa ed eccentrica” la narrazione del ricorrente.

In realtà, il Tribunale ha altresì sottolineato, correttamente, l’estraneità dei motivi addotti dal ricorrente all’arco dei presupposti stabiliti dalla legge per il riconoscimento del diritto di rifugio. E ha pure osservato, facendo proprio i rilievi svolti dalla Commissione territoriale, che non risultava neppure “specificato da quale malattia fosse affetto il ricorrente”, nè risultava che questi si fosse “mai presentato in presidi sanitari od ospedalieri”.

Rispetto a simili riscontri, d’altro canto, il semplice richiamo ai “limiti della memoria umana” – che il ricorrente propone – si manifesta un pò troppo vago e generico. Così come non aiuta a concretizzare la fattispecie l’altra osservazione del ricorrente, per cui è egli, in caso di rimpatrio, “rischia di essere perseguitato per motivi religiosi da parte del gruppo terroristico *****, il quale è risaputo che svolge attentati terroristici contro i cristiani”.

Si risolve in una richiesta di riesame degli elementi fattuali della fattispecie, poi, la doglianza di omesso esame, posto che questa viene predicata proprio in relazione alla “vicenda personale” del richiedente.

6.- Con riferimento al punto della protezione sussidiaria, il ricorrente assume che la motivazione del Tribunale è “solo apparente”: si tratta di “quattro semplici righe”, che limitano a “richiamare il Rapporto Amnesty International del 2017-2018”.

Lo stesso non illustra, tuttavia, le ragioni cui tale report dovrebbe essere ritenuto inattendibile. Nè perchè la concisione della motivazione dovrebbe tradursi in mera apparenza della stessa.

7.- Il secondo motivo, che è relativo alla protezione umanitaria, non può essere accolto.

Il ricorrente non indica, infatti, situazioni di vulnerabilità che siano specifiche alla propria persona.

8.- Il terzo motivo è inammissibile.

Secondo l’attuale indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, la “revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, quand’anche adottata, come nel caso, con la sentenza che definisce il giudizio, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, non comporta mutamenti nel regime impugnatorio che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 del medesimo D.P.R., dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanto adottata con sentenza, sia per ciò solo impugnabile immediatamente con ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113 D.P.R. citato” (Cass., 29 settembre 2019, n. 24405; ivi pure il richiamo di numerosi altri precedenti).

10.- Le spese seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese relative al giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 2.200,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi), oltre al 15% per spese generali e accessori di legge.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 30 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2020

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