LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 13546-2017 r.g. proposto da:
H.R., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avvocati Teresa Aresi e Massimo Carlo Seregni, con cui elettivamente domicilia in Milano, Piazza Emilia n. 5, presso lo studio dell’Avvocato Aresi.
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore il Ministro, rappresentato e difeso, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici, in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, è elettivamente domiciliata;
– controricorrente –
avverso il provvedimento emesso dal Giudice di Pace di Milano, depositato in data 31.3.2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/09/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
RILEVATO
che:
1. Con il provvedimento impugnato il Giudice di Pace di Milano ha rigettato l’opposizione presentata da H.R., cittadino *****, nei confronti del decreto di espulsione adottato nei suoi confronti dal Prefetto di Milano in data 26.1.2017.
Il Giudice di Pace ha, in premessa, ricordato che: il ricorrente aveva lamentato la mancata concessione di un termine per l’allontanamento volontario e di aver comunque avuto un permesso di soggiorno per la richiesta di asilo, di talchè il suo ingresso in Italia non poteva essere considerato irregolare, come invece indicato nel decreto di espulsione; che, inoltre, l’amministrazione convenuta aveva precisato che la domanda di asilo era stata rigettata, come quella di emersione da lavoro irregolare, e che il TAR Lombardia aveva respinto la domanda cautelare del ricorrente; che, pertanto, il cittadino straniero era stato raggiunto legittimamente dal decreto di espulsione ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. b) e che infine non era stato concesso un termine per l’allontanamento volontario perchè il ricorrente non aveva dimostrato di disporre di un alloggio stabile nè di un lavoro e garanzie finanziarie certe.
Il giudice del merito ha dunque ritenuto come indimostrata la circostanza della pendenza di altri procedimenti ostativi alla emissione del decreto di espulsione, nonchè l’ulteriore circostanza della possibilità di una regolarizzazione della posizione del richiedente nel territorio nazionale; ha inoltre ritenuto infondata anche l’ulteriore domanda volta alla concessione del termine per l’allontanamento volontario, per il concreto rischio di fuga.
2. Il provvedimento, pubblicato il 31.3.2017, è stato impugnato da H.R. con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo di doglianza, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo ed unico motivo la parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5. Osserva il ricorrente che, come emerge anche dalla lettura del provvedimento impugnato, il contenzioso amministrativo è ancora pendente e dunque il decreto di espulsione deve considerarsi come illegittimamente adottato.
2. Il ricorso è infondato.
2.1 Non risulta controversa la circostanza fattuale secondo la quale il ricorrente è stato attinto da decreto di espulsione ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. b, norma a tenore della quale “l’espulsione è disposta dal prefetto quando lo straniero… b) si è trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione di cui all’art. 27, comma 1-bis, o senza avere richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato o rifiutato ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo ovvero se lo straniero si è trattenuto sul territorio dello Stato in violazione della L. 28 maggio 2007, n. 68, art. 1, comma 3”.
Ciò posto, osserva la Corte come – anche volendo superare il pur evidente profilo di inammissibilità della doglianza in ragione della genericità del suo contenuto – la giurisprudenza di questa Corte abbia statuito il principio secondo cui, in tema di immigrazione, il provvedimento di espulsione dello straniero è obbligatorio a carattere vincolato, sicchè il giudice ordinario è tenuto unicamente a controllare, al momento dell’espulsione, l’assenza del permesso di soggiorno perchè non richiesto (in assenza di cause di giustificazione), revocato, annullato ovvero negato per mancata tempestiva richiesta di rinnovo, mentre è preclusa ogni valutazione, anche ai fini dell’eventuale disapplicazione, sulla legittimità del relativo provvedimento del questore trattandosi di sindacato che spetta unicamente al giudice amministrativo, il giudizio innanzi al quale non giustifica la sospensione di quello innanzi al giudice ordinario attesa la carenza, tra i due, di un nesso di pregiudizialità giuridica necessaria, nè la relativa decisione costituisce in alcun modo un antecedente logico rispetto a quella sul decreto di espulsione (Sez. 6-1, Ordinanza n. 12976/2016; Sez. 6-1, Ordinanza n. 15676 del 14/06/2018; conforme: n. 12976 del 2016).
Ne consegue che non sussistendo alcun profilo di pregiudizialità giuridica necessaria tra il giudizio civile e quello amministrativo, le doglianze del ricorrente devono ritenersi infondate.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.1000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 30 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2020