LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –
Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24852/2018 proposto da:
J.O., elettivamente domiciliato in Roma V.le Università 11, presso lo studio dell’avvocato Benzi Emiliano, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Ballerini Alessandra;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, *****, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di GENOVA, depositata il 19/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/10/2019 da Dott. MELONI MARINA.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Genova sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto in data 19/7/2018, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Genova in ordine alle istanze avanzate da J.O. nato in *****, volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.
Il richiedente asilo aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Genova di essere fuggito dal proprio paese a causa delle minacce e violenze dello zio che voleva vendere le case ed il bestiame a lui lasciate in eredità dal padre. Avverso il decreto del Tribunale di Genova ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente solleva alcune questioni di legittimità costituzionale, in materia di controversie di protezione internazionale, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1; art. 24 Cost., commi 1 e 2; art. 111 Cost., commi 1, 2 e 5; art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo parametro così come integrato dall’art. 46, paragrafo 3 della Direttiva numero 32/2013 e dagli artt. 6 e 13 della Cedu, rispettivamente in riferimento alla soppressione del mezzo di impugnazione ordinario dell’appello ed alla previsione del termine di impugnabilità del decreto solo in Cassazione entro 30 giorni dalla comunicazione a cura della cancelleria del decreto di primo grado nonchè alla mancanza dei requisiti di necessità ed urgenza del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, in quanto sprovvisto dei requisiti di necessità ed urgenza visto che conteneva numerosissime disposizioni (artt. 3, 4, art. 6, comma 1, lett. d, f, g, art. 7, lett. a, b, d ed e, art. 8, comma 1, lett. a e b, artt. 9 e 10) che prevedevano un’applicazione posticipata, riferita cioè alle domande presentate dopo il 180 giorno dall’entrata in vigore del decreto, circostanza questa che valeva a contraddire i presupposti della decretazione di urgenza.
Sulle questioni di legittimità costituzionale come sollevate dal ricorrente con il primo motivo di ricorso questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi in analogo giudizio, ritenendole irrilevanti e manifestamente infondate, con sentenza sez. 1 n. 17717 del 27/6/2018 pienamente condivisa da questo Collegio e dalla quale non vi è motivo per discostarsi.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, lett. C), perchè il Tribunale, nonostante la situazione di vulnerabilità e le violenze subite dal ricorrente, non ha riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il tribunale ha violato il dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine.
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 ed art. 19, perchè il Tribunale ha violato il principio di non refoulement di cui all’art. 33 della Convenzione di Ginevra ratificato con L. n. 722 del 1954, in base al quale nessuno può essere sottoposto a tortura nè a pene o trattamenti inumani o degradanti.
I motivi secondo e terzo del ricorso contengono in realtà una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione del Tribunale territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto diretti a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento circa l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente.
La censura si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014).
In riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria il Giudice ha correttamente ritenuto con motivazione coerente ed esaustiva, dopo aver consultato vari articoli e documenti pertinenti ed aggiornati, puntualmente citati nel provvedimento, che le minacce a carattere meramente privatistico e l’assenza di situazioni di violenza generalizzata ed indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine, ed in particolare nella zona di provenienza del ricorrente, escludano il diritto alla protezione sussidiaria in riferimento alle tre ipotesi di cui all’art. 14, lett. a), b) e c).
In particolare non risulta violato il principio di non refoulement indicato dalla CEDU, alla luce del quale non deve essere sempre concesso l’asilo al richiedente ma solo evitare che nel suo paese sia sottoposto a tortura o a trattamenti inumani e degradanti, circostanza questa esclusa dal giudice di merito.
In ordine poi alla protezione umanitaria oppure derivante da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato Italiano, il motivo si rileva inammissibile in quanto censura l’accertamento di merito compiuto dal Tribunale in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente.
In riferimento all’accertamento della situazione oggettiva relativa al paese di origine, il Tribunale territoriale non è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria così come previsto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali della persona tenuto anche conto della concreta possibilità di accesso alla protezione interna da pericoli derivanti da soggetti non statuali, non risultando dimostrata la sua assenza.
Per quanto sopra si impone il rigetto del ricorso con condanna alle spese del giudizio di legittimità a favore del controricorrente. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello ove dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità a favore del controricorrente che si liquidano in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte di Cassazione, il 25 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2020