Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.387 del 13/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11898/2018 r.g. proposto da:

T.A., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Antonella Macaluso, presso il cui studio elettivamente domicilia in Caltanissetta, alla via Sardegna n. 17;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI CALTANISSETTA depositato in data 06/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 26/11/2019 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. T.A. ricorre per cassazione, affidandosi a quattro motivi, avverso il “decreto” del Tribunale di Caltanissetta del 6 marzo 2018, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, o della protezione sussidiaria o di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

1.1. In particolare, quel tribunale: i) ha considerato “assai poco verosimile e poco credibile” il racconto del dichiarante in ordine al proprio orientamento sessuale (questi aveva riferito: a) di aver lasciato il Gambia, nel dicembre 2015, temendo per la propria incolumità e, in particolare, di essere stato arrestato dalla polizia del suo Paese perchè sorpreso mentre intratteneva una relazione omosessuale con un cittadino di nazionalità belga; b) di aver abbandonato il Gambia munito di regolare passaporto ed essere giunto in aereo in Russia, per arrivare, poi, in Italia, dopo aver attraversato Finlandia e Germania, senza, tuttavia, presentare domanda di protezione internazionale), mediante un’approfondita analisi delle relative dichiarazioni, nonchè delle incongruenze e delle lacune in esse rinvenibili; ha escluso la riconoscibilità dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, visto quanto già ritenuto in ordine alla narrazione dello straniero, ed osservato che nessun conflitto armato era rinvenibile nella zona di sua provenienza (Gambia), dando altresì atto del rapporto Report Amnesty International sulla situazione di detto territorio; iii) ha negato la protezione umanitaria, rilevando che il ricorrente non aveva dedotto alcuna circostanza o fatto rilevante tale da integrare una sua possibile condizione di vulnerabilità.

2. Con il primo motivo – rubricato “violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e), art. 3 e artt. 7 e 8” – si assume, tra l’altro (cfr., amplius, pag. 3-5 del ricorso), che: i) “contrariamente a quanto affermato dal collegio, nella specie ricorrevano i presupposti per il riconoscimento, in favore del richiedente, dello status di rifugiato, sussistendo, nei suoi confronti, il timore di essere perseguitato per i motivi di appartenenza ad un determinato gruppo sociale (orientamento sessuale)”; ii) “se il collegio, nell’ottica del dovere di cooperazione officiosa, avesse calato il racconto (del richiedente) nel contesto della società gambiana, con riferimento alla sua situazione personale, anche secondo quanto emerge dall’unanime giurisprudenza della Corte di legittimità sul punto, avrebbe riconosciuto la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento, in capo al ricorrente, dello status di rifugiato”; iii) “in ordine alle argomentazioni svolte dal collegio, che lo hanno portato alla decisione oggi impugnata, appare opportuno rilevare che le incertezze e le incongruenze sono legate al tema trattato…”.

2.1. Il motivo è inammissibile perchè non coglie la concreta ratio decidendi del provvedimento impugnato.

2.2. Invero, a fronte della motivatamente ritenuta non credibilità del narrato, concernente, sostanzialmente, l’orientamento omosessuale del richiedente ed il timore di subire, per questa ragione, restrizioni della libertà personale nel suo Paese di origine (Gambia), che punisce come reato l’omosessualità, vietata anche dalla religione musulmana, il ricorrente non la censura specificamente e direttamente ma insiste nel rappresentare le avverse condizioni che, in riferimento al proprio asserito orientamento omosessuale, troverebbe in Gambia ed a richiamare dei precedenti giurisprudenziali favorevoli ad altri richiedenti, senza, tuttavia, indicare alcun fatto concernente se stesso di cui sia stato omesso l’esame e senza fornire elementi individualizzanti atti a giustificare una revisione della statuizione impugnata.

3. Con il secondo motivo – rubricato “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio” – si censura la decisione impugnata per aver omesso di valutare la circostanza che il ricorrente, tornando in Gambia, potrebbe subire trattamenti inumani e degradanti per il suo orientamento sessuale, in una società in cui l’omosessualità è considerata reato punito con pene severissime, oltre che un peccato riprovevole per la religione musulmana. Si ascrive, inoltre, al tribunale nisseno di aver erroneamente affermato che non era stata fornita la prova del rischio effettivo, per il ricorrente, di subire un danno grave, nel senso fatto proprio dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ove rimpatriato nel suo Paese.

3.1. Anche questo motivo è inammissibile.

3.1.1. Si è già detto, infatti, che il tribunale, con accertamenti evidentemente di natura fattuale, ha, in primis, considerato “assai poco verosimile e poco credibile” il racconto del dichiarante in ordine al proprio orientamento sessuale, svolgendo, in proposito, un’approfondita analisi delle relative dichiarazioni, nonchè delle incongruenze e delle lacune in esse rinvenibili (cfr., amplius, pag. 2-3 del “decreto” impugnato), per poi successivamente escludere motivatamente, menzionando le specifiche fonti internazionali consultate (report Amnesty International – *****), che lo Stato di provenienza (Gambia) di quest’ultimo sia caratterizzato dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante.

3.2. Giova allora ricordare che questa Suprema Corte ha ancora recentemente (cfr. Cass. n. 18446 del 2019) chiarito che: i) la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella specie nemmeno adeguatamente prospettato) come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr., nel medesimo senso, Cass. n. 3340 del 2019); ii) in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, non riguarda soltanto le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto decreto, ma può riguardare anche quelle formulate ai sensi dell’art. 14, lett. c), poichè la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda “tutti gli aspetti significativi della domanda” (art. 3, comma 1) e si riferisce a tutti i profili di gravità del danno dai quali dipende il riconoscimento della protezione sussidiaria (cosi anche Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019). In ogni caso, si è già riferito che il provvedimento oggi impugnato ha, sebbene sinteticamente, comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente, onde la corrispondente doglianza di quest’ultimo è insuscettibile di accoglimento, in quanto, sostanzialmente, volta ad ottenere la ripetizione del giudizio di fatto, attività qui preclusa in virtù della funzione di legittimità.

3.3. In altri termini, come già precisato da Cass. n. 31481 del 2018 e Cass. n. 16295 del 2018, in tema di valutazione della credibilità soggettiva del richiedente e di esercizio, da parte del giudice, dei propri poteri istruttori officiosi rispetto al contesto sociale, politico ed ordinamentale del Paese di provenienza del primo, la valutazione del giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, benchè sfornita di prova (perchè non reperibile o non richiedibile), della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine (cfr. Cass. n. 21668 del 2015; Cass. n. 5224 del 2013. Principio affatto analogo è stato, peraltro, ribadito dalla più recente Cass. n. 17850 del 2018). Infatti, le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 16295 del 2018; Cass. n. 7333 del 2015).

3.4. A tanto deve soltanto aggiungersi che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte (cfr. Cass. n. 30105 del 2018).

3.5. In definitiva, quanto oggi esposto da T.A., argomentando la censura in esame, si risolve, sostanzialmente – benchè formalmente prospettata come vizio motivazionale e di violazione di legge – in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il primo intenderebbe opporre una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie utilizzate dalla già menzionata corte distrettuale: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

4. Identica sorte merita poi, il terzo motivo – rubricato “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 2, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1 (T.U. Immigrazione), in ordine alla concessione di un permesso per motivi umanitari ed al riconoscimento di una protezione di tipo umanitario, ai sensi dell’art. 3 della Convenzione EDU ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio” – che censura le ragioni (assoluta carenza di circostanze o fatti rilevanti tale da integrare una possibile condizione di vulnerabilità) addotte dal tribunale per negare al richiedente anche la protezione cd. umanitaria.

4.1. Posto, invero, che tale doglianza deve scrutinarsi alla stregua della disciplina, da ritenersi applicabile ratione temporis (cfr. Cass., SU, nn. 29459-29461 del 2019), di cui al D.Lgs. n. 286, art. 5, comma 6, giova, immediatamente ricordare che, alla stregua della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 16925 del 2018; Cass. n. 4455 del 2018, parag. 7; Cass. 27438 del 2016), l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente, affermata dal giudice di merito, costituisce motivo sufficiente per negare anche la protezione di cui trattasi, altresì rimarcandosi che, in ogni caso, T.A., nemmeno in questa sede, ha specificamente descritto propri motivi di vulnerabilità soggettiva (diversi dall’asserita sua omosessualità, che il giudice a quo ha opinato essere rimasta indimostrata), a tal fine essendo evidentemente insufficienti le dedotte condizioni generali di povertà del suo Paese, atteso che la vulnerabilità ha carattere individuale, va ricondotta a specifiche limitazioni dei diritti umani e non può esser genericamente riferita ad un’intera popolazione (cfr. Cass. n. 24116 del 2019). Si è già detto, inoltre, che il giudice di merito non è tenuto ad effettuare, di ufficio, accertamenti su circostanze fattuali non dedotte dall’interessato (cfr. Cass. n. 30105 del 2018).

5. Inammissibile, da ultimo, è anche il quarto motivo – rubricato “nullità del provvedimento impugnato per violazione del diritto di difesa per mancanza del contraddittorio su un elemento di prova” – che ascrive al tribunale nisseno di essersi avvalso, ai fini della decisione di informazioni sul Paese di origine del richiedente (le cd. C.O.I.) estranee al dibattito processuale nè note alle parti, perchè solitariamente acquisite dal giudice.

5.1. Invero, quanto si è già riferito circa l’insussistenza di un dovere di approfondimento officioso concernente le dichiarazioni del richiedente che siano state ritenute (come nella specie) intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e della valenza di un siffatto principio non soltanto per le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto decreto, ma anche per quella proposta ai sensi della lett. c) del medesimo articolo (cfr. Cass. n. 4892 del 2019), oltre che per quella di cd. protezione umanitaria, rendono questa doglianza sostanzialmente irrilevante una volta sancita, definitivamente, la non credibilità (qui, come si è visto, nemmeno adeguatamente censurata) dell’odierno ricorrente (circostanza da sola sufficiente a precludergli l’ottenimento delle forme di protezione – status di rifugiato, protezione sussidiaria, protezione cd. umanitaria – invocate).

5.2. A tanto deve soltanto aggiungersi, per mera completezza, che, come recentemente chiarito da Cass. 11 novembre 2019, n. 29056, affrontando un motivo affatto analogo a quello oggi in esame, “..La parte che lamenti la violazione del diritto di difesa e del giusto processo deve specificare in cosa consiste il concreto pregiudizio subito, e non semplicemente dedurre la violazione della norma procedurale o genericamente riferirsi alla lesione del diritto di difesa. Applicando questi principi alla questione delle COI, deve dirsi che, qualora la parte (come accaduto nella specie. Ndr) non abbia offerto alcuna informazione precisa, pertinente ed aggiornata sulle condizioni del paese di origine – e cioè informazioni idonee a supportare la valutazione di credibilità e la valutazione del rischio – la acquisizione d’ufficio delle COI costituisce attività integrativa che sana -purchè il racconto abbia i requisiti di cui si è detto (sia, cioè, completo, circostanziato, tempestivo, intrinsecamente coerente e compatibile con le condizioni politiche, economiche e normative del paese di origine. Ndr) – l’inerzia della parte, e quindi non diminuisce le garanzie processuali del soggetto, anzi le amplia, nè lede in alcun modo i suoi diritti. In virtù del dovere di cooperazione il giudice verifica, infatti, se sussista una chance, alla luce della COI come sopra assunte, di accoglimento dell’istanza di protezione, quale che sia poi in concreto l’esito della causa. Nessun vulnus concreto al diritto di difesa si può in questo caso prospettare se il giudice non sottopone preventivamente le COI assunte d’ufficio al contraddittorio, purchè renda palese nella motivazione a quali COI ha fatto riferimento, onde consentire, eventualmente, la critica in fase di impugnazione, nel merito o sulla legittimità della procedura di acquisizione. Diverso è il caso in cui la parte abbia esplicitamente indicato COI, aggiornate e pertinenti, specificamente riferite al rischio che è stato dedotto, indicandone la fonte, la data e prendendo posizione sulle condizioni del paese di origine, sulla loro incidenza nella posizione individuale del richiedente, e su come le COI indicate consentano di ritenere il racconto attendibile, nonchè concreto ed attuale il rischio dedotto. In tal caso, ove in ipotesi il giudice ritenga di utilizzare altre COI, di fonte diversa o più aggiornate, che depongono in senso opposto a quelle offerte dal richiedente, egli dovrà sottoporle preventivamente al contraddittorio, perchè diversamente si arrecherebbe, in concreto, un irredimibile vulnus al diritto di difesa..”.

6. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, senza necessità di pronunce sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2020

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