Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.429 del 14/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina M. – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

Dott. DI NAPOLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29511/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– ricorrente –

contro

All import s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, e S.G., rappresentati e difesi dall’avv. Giuseppe Falcone, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Antonio Iorio, sito in Roma, corso Vittorio Emanuele, 287;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, n. 182/10/14, depositata il 23 aprile 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 ottobre 2019 dal Consigliere Paolo Catallozzi.

RILEVATO

CHE:

– l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, depositata il 23 aprile 2014, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto i – riuniti – ricorsi della All import s.p.a. e di S.G. per l’annullamento degli avvisi di accertamento con cui l’Ufficio aveva rettificato le dichiarazioni relative agli anni 2003-2009;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che con gli atti impositivi impugnati l’Ufficio aveva rilevato il compimento di operazioni di cessioni di beni ritenute soggettivamente e oggettivamente inesistenti, nonchè il conseguente indebito utilizzo del plafond IVA e aveva provveduto alla contestazione delle relative violazioni tributarie e al recupero delle imposte non versate;

– il giudice di appello, dopo aver dato atto che la Commissione provinciale aveva accolto il ricorso, ha disatteso il gravame dell’Ufficio, evidenziando che quest’ultimo non aveva offerto prova del consapevole coinvolgimento dei contribuenti nella frode fiscale posta in essere dai soggetti con i quali la All import s.p.a. aveva posto in essere le operazioni rilevate;

– il ricorso è affidato a cinque motivi;

– resistono, con unico atto difensivo, i controricorrenti;

– questi ultimi depositano memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo l’Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19 e art. 54, comma 2, dell’art. 2729 c.c., e dei principi espressi dalla giurisprudenza unionale, per aver la sentenza impugnata riconosciuto il diritto alla detrazione dell’i.v.a esercitato dalla contribuente benchè relativo ad operazioni inserite in una frode Carosello in ragione del fatto che non fosse stata offerta prova del diretto coinvolgimento di quest’ultima nella frode fiscale;

– il motivo è ammissibile, poichè, diversamente da quanto sostenuto dalla contribuente, non contiene una richiesta di riesame delle risultanze probatorie;

– nel merito, è fondato;

– in tema di indebita detrazione di fatture ai fini i.v.a. in quanto relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, n.d.r. in una frode Carosello, è onere dell’Amministrazione finanziaria fornire la prova che la prestazione, oggetto della fattura, non è stata resa dal fatturante e, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era conoscenza o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, che l’operazione interessata si collocava nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore o che un’altra operazione facente parte della catena delle cessioni, precedente o successiva a quella realizzata da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’i.v.a. (cfr. Corte Giust. 22 ottobre 2015, PPUH; Corte Giust. 6 dicembre 2012, Bonik; Corte Giust. 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling);

– a tal fine, possono costituire elementi di rilevanza sintomatica: l’acquisto dei beni ad un prezzo inferiore di mercato; la limitatezza dell’eventuale ricarico; la presenza di una varietà e pluralità di soggetti promiscuamente indicati nella documentazione di trasporto e nella fatturazione; la scelta di operare secondo canali paralleli di mercato (che esige una più attenta e approfondita valutazione dei propri interlocutori, proprio per verificarne l’effettività), benchè giustificata da esigenze di accelerazione e di margini produttivi; la tempistica e le modalità di pagamenti, soprattutto se incrociati od operati su conti esteri a fronte di interlocutori nazionali ovvero se effettuati in contanti; la qualità del concreto intermediario con il quale sono state intrattenute le operazioni commerciali; il numero, la qualità e la durata delle transazioni, in particolare a fronte di rapporti contigui e frequentazioni reiterate con i titolari della cartiera ovvero nel caso in cui il contribuente abbia rapporti commerciali con una pluralità di soggetti aventi la qualità di cartiera;

– ove l’Amministrazione fornisca la prova di tali circostanze sintomatiche, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (così, Cass. 20 aprile 2018, n. 9851);

– ciò posto, il giudice di appello ha riconosciuto, sia pure in via implicito, quanto allegato dall’Ufficio in ordine all’esistenza di un meccanismo fraudolento in cui le operazioni contestate si inserivano;

– ha, inoltre, dato atto che dei rapporti di amicizia e di affari, risalenti nel tempo, che legavano lo S. con i sigg. C., V. ed E., ideatori di tale meccanismo fraudolento e amministratori di fatto delle cartiere mediante le quali la frode si realizzava;

– ha, tuttavia, escluso che tali indizi fossero idonei a dimostrare il coinvolgimento dei contribuenti nella perpetrazione della frode fiscale o, comunque, l’assenza di buona fede;

– così argomentando, la Commissione regionale non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto, in quanto ha riconosciuto la buona fede del contribuente e la sua incolpevole ignoranza di partecipare ad una frode fiscale, pur in presenza di circostanza di fatto sintomatiche della conoscibilità del meccanismo fraudolento in cui le operazioni poste in essere si inserivano e senza alcuna valutazione in ordine al rispetto del grado di diligenza esigibile;

– l’accoglimento del primo motivo di ricorso osta all’esame dei motivi residui, proposti solo in via subordinata;

– la sentenza impugnata va, dunque, cassata, con riferimento al motivo accolto, e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. dist. di Brescia, in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. dist. di Brescia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 17 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2020

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