LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20449-2017 proposto da:
D.D.S., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato RODOLFO ANTONIMI;
– ricorrente –
contro
M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALCIDE DE GASPERI N. 21, presso lo studio dell’avvocato CRISTIANA VANDONI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SUSANNA PALADINO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2971/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/05/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/10/2019 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI.
RILEVATO IN FATTO
1. D.D.S. ricorre avverso la sentenza n. 2971/2017 della Corte di Appello di Roma, che – accogliendo parzialmente l’impugnazione incidentale proposta da M.F. – ha parzialmente riformato la sentenza n. 4355/2014 del Tribunale di Roma.
Precisamente, il giudice di primo grado, in accoglimento dell’opposizione della M., aveva revocato il decreto con il quale, su ricorso del D.D., aveva in precedenza ingiunto il pagamento della somma di 3 milioni di Euro alla M., quale erede universale del marito ing. B.M. (nei cui confronti era stato in precedenza emesso, sempre ad istanza del D.D., il decreto ingiuntivo n. 25924 del 16/12/2019, recante lo stesso importo, decreto del quale si era tentata la notifica al debitore ingiunto il giorno stesso della sua morte).
Il decreto ingiuntivo era stato richiesto ed emesso nel presupposto che il B. aveva rilasciato una scrittura 27/5/2006 nella quale, in presenza di due testimoni (tali L. e D.), si era dichiarato debitore della somma ingiunta in forza di una lunga collaborazione professionale, ricevuta e mai remunerata (nei confronti dell’odierno ricorrente e, ancor prima, del di lui padre V.).
A seguito di opposizione, il decreto era stato revocato dal giudice di primo grado, sul presupposto che parte opposta aveva l’onere (non assolto) di costituirsi in giudizio, depositando il fascicolo contenente i documenti offerti in comunicazione; mentre ciò nella specie non era avvenuto, con la conseguenza che la scrittura 27/5/2006 non poteva ritenersi acquisita al processo.
La Corte di Appello, nel confermare l’accoglimento dell’opposizione della Morocchi sia pure sulla base di una diversa motivazione, ha condannato il D.D. alla rifusione in favore della M. delle spese relative ad entrambi i gradi di giudizio, liquidate rispettivamente in Euro 20.250,00 ed in Euro 42.095,00 oltre accessori.
2. Era accaduto che la M. si era opposta al decreto ingiuntivo, di cui sopra, eccependo la genericità della collaborazione (che in nessun caso avrebbe giustificato un compenso così rilevante), nonchè il deterioramento dei rapporti tra il marito ed il D.D. (che, aveva dedotto l’opponente, si erano anche fronteggiati in un procedimento penale, occasionato da una compravendita immobiliare falsificata nelle firme del marito in circostanze e con modalità del tutto sovrapponibili alla scrittura posta a base dell’ingiunzione opposta). La M. in sede di opposizione aveva chiesto perizia calligrafica sulla scrittura, pur senza disconoscere ai sensi dell’art. 214 c.p.c., comma 2 la scrittura del marito, disconoscimento che avrebbe onerato il D.D. della verificazione a norma dell’art. 216 c.p.c. (e, quindi, della proposizione dei relativi mezzi di prova).
Si era costituito il D.D., negando che il B. e suo padre V. avessero mai interrotto la loro collaborazione e che nel procedimento penale fosse stata accertata la falsità della sottoscrizione di altra scrittura, peraltro in nulla pertinente con i fatti di causa.
Il giudice di primo grado, espletata istruttoria documentale, in accoglimento dell’opposizione, aveva revocato il decreto ingiuntivo opposto, compensando integralmente le spese di giudizio, sulla base delle seguenti argomentazioni: a) l’opposizione dà notoriamente luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice deve accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’ingiungente opposto (che ha posizione sostanziale di attore) e delle eccezioni e delle difese fatte valere dall’opponente (che assume posizione sostanziale di convenuto), con la conseguenza che grava su parte opposta l’onere di provare il credito azionato; b) il D.D., quale parte opposta, avendo chiesto ingiungersi il pagamento della somma di Euro 3 milioni, in forza del riconoscimento di debito che il B. avrebbe effettuato in favore suo e di suo padre, aveva l’onere di produrre entro i termini delle preclusioni istruttorie, la scrittura privata 27/5/2006, posta a base dell’ingiunzione; c) detta scrittura aveva forse fatto parte del fascicolo monitorio, ma detto fascicolo non era stato mai versato in atti; d) la documentazione prodotta con il ricorso per ingiunzione era sì destinata, per effetto dell’opposizione al decreto e della trasformazione in giudizio di cognizione ordinaria, ad entrare nel fascicolo del ricorrente, ma, per principio generale, resta a carico della parte opposta l’onere di costituirsi in giudizio depositando il fascicolo contenente i documenti offerti in comunicazione; con la conseguenza che, in difetto di tale produzione, come per l’appunto era avvenuto nella specie, i documenti offerti in comunicazione non potevano dirsi entrati a fare parte del fascicolo d’ufficio e il giudice di merito non poteva tenerne conto; e) vero che la M. non aveva tempestivamente disconosciuto la scrittura ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 214 c.p.c., comma 2 e art. 215 c.p.c., comma 1, n. 2, ma, in via generale, il riconoscimento di scrittura, pur producendo gli effetti sostanziali di efficacia previsti dall’art. 2702 c.c., non costituisce ricognizione di debito ex art. 1988 c.c.; f) il riconoscimento tacito ex art. 215 c.p.c. si realizza nel processo rispetto alla scrittura privata “prodotta in giudizio”, sicchè se questa, contenuta nel fascicolo monitorio, non è versata nel giudizio di opposizione entro i termini perentori delle produzioni documentali, vengono pure meno nel processo gli effetti sostanziali del riconoscimento; g) era assorbita ogni ulteriore questione, incluso il giudizio di ammissibilità e l’istruzione della querela di falso proposta in limite litis.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado, aveva proposto appello principale il D.D., articolando due motivi. Con il primo si era lamentato che il Tribunale non aveva deliberato sul merito della vicenda, essendosi limitato a rilevare l’assenza del fascicolo monitorio, senza procedere ad ordinarne l’acquisizione ex officio e comunque senza disporre la remissione in istruttoria, concedendo termine per il deposito. Con il secondo si era lamentato che il Tribunale aveva ritenuto che gli effetti sostanziali del riconoscimento della scrittura 27/5/2006 (non tempestivamente disconosciuta dalla M.) non si erano verificati; ed aveva dedotto che la vicenda penale riguardava altre scritture, diversa da quella qui in esame.
Aveva proposto appello incidentale condizionato la M., articolando anch’essa due motivi. Con il primo aveva affermato che non vi era stato alcun riconoscimento tacito, dovendosi prendere atto che nell’originaria opposizione lei aveva espressamente chiesto che fosse ordinato al D.D. il deposito dell’originale della scrittura privata (oltre che delle dichiarazioni dei testi L. e D.) e che venisse conseguentemente disposta c.t.u. calligrafica sulle firme del B. e dei due testi apposte sulla scrittura 27/5/2006 al fine di accertarne l’autenticità; aveva aggiunto che dette espressioni erano state chiare ed univoche tanto che il D.D., nel costituirsi, aveva paventato di voler presentare denuncia per calunnia, avendo lei dedotto che fosse apocrifa la firma apposta dal B. e che falso fosse lo scritto. Con il secondo motivo si era lamentata del fatto che il giudice di primo grado non aveva fatto buon governo delle spese processuali.
E la Corte territoriale, come sopra rilevato, con la impugnata sentenza, ha accolto l’impugnazione incidentale, mentre ha respinto quella principale (così confermando l’accoglimento dell’opposizione della M.).
3. Avverso la sentenza della Corte territoriale propone ricorso il D.D., che articola due motivi.
Ha resistito con controricorso la M..
In vista dell’odierna adunanza è stata presentata memoria da parte resistente.
RITENUTO IN DIRITTO
1. D.D.S. censura la sentenza impugnata per due motivi.
1.1. Con il primo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, denuncia violazione o falsa applicazione di legge con riferimento all’utilizzo di mere fotocopie ai fini della formulazione di un giudizio di non autenticità di una firma; nonchè omesso esame di un fatto decisivo e controverso, con riferimento alla scrittura privata costituente il presupposto del decreto ingiuntivo revocato. Sostiene che nel processo penale l’indagine peritale aveva riguardato quattro scritture, di cui soltanto due (relative a compravendite immobiliari intercorse tra suo padre e l’ing. B.) in originale, mentre le altre due erano costituite da semplici fotocopie. Deduce che la Corte territoriale ha erroneamente affermato che una delle due fotocopie esaminate dal perito in sede penale era proprio quella posta a base del decreto ingiuntivo, in quanto la stessa sentenza penale descriveva le scritture in fotocopia come priva di date e contenenti liberalità in favore del D.D., mentre la scrittura posta a base del decreto opposto recata la data del 27/5/2006 e la firma di conferma di due testimoni. In definitiva, secondo il ricorrente, la Corte territoriale si sarebbe limitata a mutuare il giudizio di falsità emesso in sede penale su documenti differenti.
1.2. Con il secondo motivo, articolato (in via autonoma, in caso di mancato accoglimento del primo) sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. ed omesso esame di fatto decisivo e controverso nella parte in cui la Corte territoriale ha immotivatamente determinato le spese di lite, in misura eccessiva e non rapportandola all’opera professionale svolta. Rileva che la causa, in entrambi i gradi di giudizio di merito, si era praticamente svolta senza alcuna attività istruttoria e, quanto al giudizio di appello, senza nemmeno la redazione delle memorie conclusionali e di replica. In definitiva, secondo il ricorrente, non vi sarebbe alcuna proporzionalità tra gli importi liquidati e l’attività legale effettivamente svolta.
2. Il ricorso è inammissibile.
2.1. Si premette che la corte di merito – nonostante la ritenuta ammissibilità della produzione documentale operata dal D.D. – ha comunque confermato l’accoglimento dell’opposizione della M. (e, dunque, la non utilizzabilità della scrittura 27/5/2006, posta a fondamento del monitorio), sulla base del seguente triplice ordine di argomentazioni: a) in via generale, la produzione di copia fotostatica di un documento impone, al fine di impedire il verificarsi degli effetti previsti dall’art. 2702 c.c., il disconoscimento della conformità all’originale e della veridicità della sottoscrizione; b) nel caso di specie, la M. nel suo primo atto difensivo (e cioè nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo), sia pure non esplicitamente, aveva manifestato in maniera inequivoca la volontà di dichiarare di non conoscere la scrittura privata 27/5/2006, posta a base dell’ingiunzione, come imputabile al defunto marito B., e tanto meno la sua sottoscrizione; e, d’altro canto lo stesso D.D., nel formulare le proprie difese nel giudizio di primo grado, aveva mostrato di aver ben compreso la volontà della M.; c) la scrittura 27/5/2006 aveva formato oggetto di specifico accertamento anche a mezzo di perizia calligrafa (nell’ambito del processo penale, promosso nei confronti del D.D. e definito con sentenza di condanna, che, essendo stata impugnata, non è ad oggi passata in giudicato) che aveva concluso per la non autenticità della firma (apparsa invece riconducibile al medesimo autore dei due atti di compravendita della scrittura (della quale comunque il giudice penale aveva escluso la rilevanza, riconosciuta invece per i due atti di compravendita).
2.2. Il primo motivo è inammissibile per difetto di interesse.
Premesso che la sentenza della Corte territoriale, nella parte in cui ha affermato che la scrittura 27/5/2006 era stata disconosciuta dalla M. con l’atto di opposizione, non ha formato oggetto di impugnativa e, pertanto, in parte qua è da intendersi passata in giudicato – si rileva che, in via generale, a seguito del disconoscimento della fotocopia di una scrittura privata, chi intende avvalersene è tenuto non soltanto a chiedere la verificazione, ma anche a produrre l’originale; mentre, nel caso di specie, il ricorrente non ha assolto nessuno dei suddetti due incombenti, con la conseguenza che, in assenza di originale, la perizia calligrafica è stata legittimamente svolta su fotocopia del documento e di ciò il ricorrente non può ora dolersi.
2.3. Inammissibile è anche il secondo motivo, concernente il quantum delle spese processuali.
L’inammissibilità consegue al fatto che il ricorrente, risultato soccombente, non ha compiutamente allegato il mancato espletamento della fase istruttoria (che peraltro di per sè comprende anche l’attività difensiva di ricerca e di documentazione dei fatti di causa in vista della formulazione delle richieste istruttorie). D’altronde, le tabelle ministeriali prevedono, come spese massime liquidabili per cause dell’importo quale quello per cui è causa (pari a 3 milioni di Euro), somme di gran lunga superiori a quelle liquidate dalla corte territoriale.
3. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e parte ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute da parte resistente e liquidate come dispositivo. Sussistono poi i presupposti per il pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte resistente delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 16.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020
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