LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16344/2018 proposto da:
A.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FILIPPO TURATI 86, presso lo studio dell’avvocato MARCO NESOTI, rappresentata e difesa dall’avvocato PIERFRANCESCO CUBEDDU;
– ricorrente –
contro
SGA SOCIETA’ GESTIONE ATTIVITA’ SPA, in persona del Procuratore S.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MICHELE MERCATI, 42, presso lo studio dell’avvocato CARLO ALFREDO ROTILI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIORGIO RICCARDO BOIARDI;
– controricorrente –
e contro
INTESA SAN PAOLO SPA, A.M.B.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 105/2018 della CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. DI SASSARI, depositata il 19/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/11/2019 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.
RILEVATO
che:
Intesa San Paolo s.p.a. (poi Società per la Gestione di Attività – S.G.A. s.p.a.), deducendo di essere creditrice sulla base di decreto ingiuntivo del 1993 nei confronti di A.M.B., convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Tempio Pausania A.M.B. e A.P. chiedendo in via principale l’accertamento della simulazione del contratto del 20 settembre 2007 con cui la prima aveva ceduto alla sorella P. la sua quota di proprietà pari ad un quarto del compendio immobiliare pervenuto in successione ed in subordine l’inefficacia ai sensi dell’art. 2901 c.c.. Il Tribunale adito rigettò la domanda. Avverso detta sentenza propose appello l’originaria attrice. Con sentenza di data 19 marzo 2018 la Corte d’appello di Cagliari accolse l’appello, dichiarando l’inefficacia del contratto.
Osservò la corte territoriale che la vendita dei beni della A., la quale rispondeva quale fideiussore, aveva pregiudicato le ragioni della creditrice trattandosi degli unici beni di cui la debitrice disponeva e che doveva presumersi che l’acquirente, sorella della venditrice e residente nella medesima città, fosse consapevole dell’esposizione debitoria e del pregiudizio arrecato ai creditori, anche in considerazione del fatto che nella vendita si dava atto del pagamento del prezzo prima del rogito, senza tuttavia menzionare le modalità di corresponsione, e non era stata fornita la prova certa dello stesso pagamento, posto che le copie degli assegni prodotti non erano sufficienti a comprovare l’effettivo incasso ed a favore di chi fosse avvenuto. Aggiunse che fosse presumibile che fra persone legate da vincoli di parentela così stretti vi fosse la conoscenza della situazione debitoria della società condotta dal coniuge di A.M.B.. Osservò inoltre che priva di pregio era l’eccezione relativa al considerevole lasso di tempo intercorso fra l’apertura della successione del padre nel 1994 e la vendita avvenuta nel 2007 perchè, se era pur vero che le eredi avevano registrato la denuncia di successione, non risultava la trascrizione dell’acquisto in favore di A.M.B. ed inoltre, rispetto all’infruttuosità dell’esecuzione contro la società garantita della quale la banca aveva preso atto solo con il provvedimento del giudice dell’esecuzione del 19 settembre 2007, la formalizzazione della vendita il 20 settembre 2007 confermava l’intento di sottrarre i beni alla garanzia del debito. Aggiunse che la presunzione di conoscenza del pregiudizio da parte della sorella non era vinta neanche dalla circostanza che tutte le eredi avevano alienato i diritti di comproprietà a A.P., dato che la circostanza avrebbe potuto avere rilevanza nel caso di vendita ad un terzo, ma non nel caso di vendita alla sorella (peraltro le sorelle A.T.G. e G. si erano riservate una quota residua di 1/8 della proprietà).
Ha proposto ricorso per cassazione A.P. sulla base di due motivi e resiste con controricorso Società per la Gestione di Attività – S.G.A. s.p.a.. E’ stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. E’ stata presentata memoria.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la ricorrente che il giudice di appello ha omesso di esaminare numerosi fatti decisivi, ed in particolare: i cinque assegni circolari (dei quali due con la clausola di non trasferibilità) con cui era stato corrisposto il prezzo e la confessione resa sul punto da A.M.B. avente valore di prova legale; l’acquisto in capo a B.M. era stato reso pubblico fin dal 2002 (l’ufficio finanziario aveva trasmesso alla Conservatoria dei registri immobiliari i certificati di successione per la trascrizione e la stessa banca aveva prodotto visura dalla quale risultava trascrizione a favore nel 2002); M.B. non poteva avere cognizione della procedura esecutiva promossa nei confronti della società Avema s.r.l. e tre degli assegni circolari, con cui era stato pagato il prezzo, erano stati emessi il 19 aprile 2007; non era vero che le altre due sorelle si fossero riservate la quota di 1/8 della proprietà. Aggiunge che l’affermazione secondo cui la vendita da parte di tutte le eredi avrebbe avuto rilevanza ove la vendita fosse stata fatta ad un terzo era priva di base giuridica Il motivo è inammissibile. Con la denuncia di vizio motivazionale si indicano fatti i quali sono stati invero esaminati dal giudice di merito. La censura attiene pertanto non all’omesso esame di fatti, ma ad una divergente valutazione degli stessi, refluendo così nel giudizio di fatto il quale, in quanto tale, è insindacabile in sede di legittimità. Sul punto poi della carenza di base di un’affermazione del giudice di merito la ricorrente pare prospettare l’ipotesi di vizio motivazionale non più vigente.
La ricorrente denuncia anche il mancato collegamento degli effetti giuridici alla confessione che sarebbe stata resa da A.M.B., senza peraltro indicarne lo specifico contenuto (profilo rilevante, posto che la confessione ha ad oggetto fatti sfavorevoli all’autore della dichiarazione) e la sede processuale (si richiamano in realtà atti del difensore e non la dichiarazione della parte).
Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 2901 e 2697 c.c., art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente, a proposito della presunzione di conoscenza da parte dell’acquirente dell’esposizione debitoria e del pregiudizio al creditore, che l’art. 2901, non autorizza il ricorso a presunzioni ma richiede la prova della consapevolezza del terzo per gli atti a titolo oneroso e che i precedenti della giurisprudenza di legittimità ove si fa riferimento alla consapevolezza in re ipsa riguardano vicende non comparabili alla presente causa.
Il motivo è inammissibile. Il motivo è obiettivamente incomprensibile perchè denuncia il ricorso nella decisione alla presunzione, laddove l’art. 2901, richiederebbe la prova del requisito soggettivo della fattispecie, senza considerare che anche la presunzione è un mezzo di prova. Ove si intenda la censura quale necessità che il requisito soggettivo della fattispecie sia oggetto di prova, il motivo resta estraneo alla ratio decidendi, e pertanto inidoneo ad una effettiva critica della decisione, perchè il giudice di merito ha basato la propria statuizione su una prova, sia pure di tipo presuntivo.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020
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