Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.544 del 15/01/2020

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 27684/2017 R.G. proposto da:

P.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Giuseppe Gigli, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G. Pisanelli, n. 4;

– ricorrente –

contro

N.S.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma, n. 5901/2017 depositata il 20 settembre 2017;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2 dicembre 2019 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello;

udito l’Avvocato Giuseppe Gigli;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso chiedendo l’accoglimento.

FATTI DI CAUSA

1. N.S. propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo nei suoi confronti emesso in data 11/10/2013 dal Tribunale di Roma, su ricorso di P.A., per il pagamento della somma di Euro 22.832,88, oltre interessi e spese.

Nella contumacia dell’opposto, il Tribunale accolse l’opposizione, revocò il decreto ingiuntivo e condannò l’ingiungente alle spese del giudizio di opposizione.

2. Quest’ultimo propose appello deducendo la nullità dell’atto di citazione notificatogli il 16/12/2013 e la conseguente nullità di tutti gli atti del giudizio di primo grado e della sentenza; chiese che, per l’effetto, fosse confermato l’opposto decreto ingiuntivo, in quanto divenuto irrevocabile. Rilevò infatti che la copia notificatagli dell’atto di citazione in opposizione “presentava un evidente vuoto tra l’ultima e la penultima pagina” e che pertanto “era privo: della vocatio in ius; dell’indicazione dell’ufficio giudiziario; dell’indicazione della data di udienza; dell’avvertenza concernente la costituzione in giudizio del convenuto-opposto; delle conclusioni; dei mezzi di prova richiesti”.

3. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello ha rilevato che la nullità dell’atto di citazione in opposizione, bensì sussistente, doveva considerarsi sanata, con efficacia ex tunc, per effetto della proposizione dell’appello e che pertanto, esclusa l’irrevocabilità del provvedimento monitorio, occorreva entrare nel merito delle ragioni dell’opposizione, in tal senso richiamando precedente reso da questa Corte, in analoga fattispecie (sentenza n. 7885 del 28/3/2017).

Nel merito, dunque, ritenuta solo parzialmente fondata l’opposizione, ha revocato il decreto ingiuntivo e condannato l’appellato, N.S., al pagamento in favore dell’appellante della somma di Euro 4.132,88, oltre interessi, compensando in parte le spese processuali del giudizio d’appello e condannando l’appellato al pagamento in favore dell’appellante della restante parte.

4. Avverso tale decisione P.A. propone ricorso per cassazione con unico mezzo.

L’intimato non svolge difese nella presente sede.

All’esito dell’adunanza camerale del 9/4/2019 il Collegio, con ordinanza dell’8/6/2019, n. 15545, ne ha disposto il rinvio a nuovo ruolo perchè fosse trattata in pubblica udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “falsa applicazione sotto un duplice profilo dell’art. 164 c.p., commi 2 e 3, e violazione dell’art. 647 c.p.c.”.

Rileva in sintesi che, diversamente dal caso esaminato dal precedente di legittimità richiamato nella sentenza impugnata, la fattispecie in esame prospetta non già un semplice vizio della vocatio in ius (quale quello derivante dalla mera omessa indicazione della data d’udienza) ma la sua totale mancanza, con conseguente inapplicabilità della sanatoria ex art. 164 c.p.c..

Si sarebbe dunque in presenza, secondo il ricorrente, di un atto di citazione non nullo ma assolutamente inesistente, difettando la pur minima riconducibilità allo schema previsto dalla legge per l’atto.

Ne consegue, secondo tale tesi, la definitività ex art. 647 c.p.c. del decreto ingiuntivo, da ritenersi come non opposto.

Ciò tanto più deve affermarsi – sostiene il ricorrente – nel caso di specie nel quale si verte in tema di opposizione a decreto ingiuntivo.

Osserva, inoltre, che ritenere sanabile la nullità dell’atto di citazione introduttivo anche attraverso la costituzione in appello comporta l’effetto pratico di rendere consigliabile all’opposto di ignorare la nullità e, effettuate le ricerche del caso, ove possibili, di costituirsi sempre e comunque, onde non perdere un grado di giudizio.

2. Il ricorso è infondato.

Le questioni poste risultano, in tutti i risvolti dedotti, esaminate e decise dal richiamato precedente di Cass. n. 7885 del 2017 al quale questo Collegio intende prestare piena adesione, non essendo dal ricorrente proposte argomentazioni che possano indurre a un diverso opinamento.

2.1. Occorre premettere che solo alcuni dei contenuti di cui si deduce la mancanza nella copia dell’atto notificata all’opposto (copia cui, come noto, occorre aver riguardo, e non all’originale, ai fini della valutazione della validità dell’atto: v. e pluribus Cass. 06/10/2006, n. 21555; 11/02/2008, n. 3205; 13/09/2013, n. 20993) attengono alla vocatio in ius: segnatamente l’indicazione dell’ufficio giudiziario (art. 163 c.p.c., comma 3, n. 1), l’indicazione del giorno dell’udienza di comparizione e l’invito a costituirsi nel termine e nelle forme ivi indicate, con avvertimento delle decadenze previste in caso di tardiva costituzione (art. 163 c.p.c., comma 3, n. 7).

Solo detti elementi, tra quelli cui è riferita la doglianza, sono infatti richiesti in funzione della attivazione del contraddittorio ed attengono pertanto a quella parte dell’atto di citazione il cui scopo, in conformità ai principi di cui all’art. 24 Cost., comma 2, e art. 101 c.p.c., è mettere il convenuto in condizioni di difendersi e contraddire: scopo al quale è ovviamente preordinata anche la fase della notificazione, giusta quanto previsto dall’art. 163, u.c. (“L’atto di citazione… è consegnato… all’ufficiale giudiziario, il quale lo notifica a norma degli art. 137 ss.”).

2.2. Non hanno invece tale funzione gli altri contenuti mancanti (conclusioni e indicazione dei mezzi di prova).

Nè ad essi può assegnarsi un ruolo indefettibile ai fini della minimale definizione del contenuto dell’azione proposta: c.d. editio actionis. In tal modo, come noto, si definisce quella parte dell’atto -anch’essa presidiata da sanzione di nullità, ma nei limitati casi di cui all’art. 164 c.p.c., comma 4 – nella quale si concreta l’esercizio dell’azione e che come tale vede come principale destinatario il giudice, sia nel senso che la giurisdizione civile contenziosa è condizionata alla proposizione di una domanda di parte, sia nel senso che il giudice deve essere messo in grado di emanare una pronuncia di merito che accerti l’esistenza o inesistenza del diritto fatto valere in giudizio.

Secondo comune opinione a tale parte (e scopo) dell’atto di citazione concorrono gli elementi di cui ai nn. 2 (indicazione delle parti del rapporto sostanziale dedotto in giudizio), 3 (oggetto della domanda) e 4 (fatti ed elementi di diritto e conclusioni) dell’art. 163: questi ultimi però solo nella misura in cui servono per l’individuazione del diritto fatto valere in giudizio.

Per converso (e in negativo) si suole invero assegnare sostanzialmente ai requisiti contenutistici di cui al n. 4, ove in concreto non essenziali all’individuazione del diritto fatto valere in giudizio e del provvedimento giurisdizionale richiesto, un terzo scopo (così distinguendosi un terzo sotto-atto: c.d. preparatorio dell’udienza): quello cioè di far sì che il processo, quale serie di atti diffusa nel tempo e destinata a concludersi con la statuizione di merito del giudice, si svolga in modo ordinato, ragionevole e non alluvionale.

Ebbene “non indispensabili” nel senso predetto debbono ritenersi nella specie le “conclusioni” mancanti nella copia notificata, il contrario non essendo nemmeno dedotto in ricorso e a tale valutazione comunque potendo giungersi sulla scorta del diretto esame del documento (cui questa Corte ha accesso trattandosi di questione processuale); da esso può infatti evincersi che la copia notificata della citazione conteneva per intero la parte dedicata alle ragioni dell’opposizione oltre che naturalmente l’esatta indicazione degli estremi e del contenuto del decreto ingiuntivo opposto.

Ne discende che nella specie a tale parte dell’atto (le conclusioni) può assegnarsi solo il rilievo che si è sopra definito “preparatorio dell’udienza”.

Deve invece escludersi che assuma rilievo, anche solo a detto limitato fine, l’indicazione dei mezzi di prova e dei documenti offerti in comunicazione, emergendo chiara dall’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2, l’opzione sistematica di non richiedere, ai fini dello svolgimento della udienza di trattazione, la preventiva indicazione dei mezzi di prova.

2.3. La descritta distinzione dei requisiti di forma-contenuto dell’atto di citazione ha, come noto, rilievo essenzialmente sul piano della disciplina della relativa nullità.

Nell’intento di risolvere le molte incertezze derivanti dalla precedente formulazione, l’art. 164 c.p.c., nel testo novellato dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 9, ha infatti introdotto una disciplina molto più articolata dei casi di nullità della citazione e dei modi ed effetti della sanatoria, basata per l’appunto sulla netta distinzione tra vizi della citazione afferenti alla vocatio in ius (primi tre commi) e vizi concernenti la editio actionis (ultimi tre commi) Tale distinzione rileva fondamentalmente in relazione agli effetti, ex tunc nel primo caso, ex nunc nel secondo, delle fattispecie sananti rispettivamente previste. Nessuna disciplina specifica è invece dedicata alla parte dell’atto che si è detto essere destinata alla preparazione dell’udienza, per un suo più ordinato e razionale svolgimento, la cui mancanza o inadeguata indicazione non determina dunque alcuna conseguenza invalidante.

Poichè, per quanto sopra esposto, nella specie, le pagine mancanti della copia notificata incidono solo sulla vocatio in ius, non anche sulla editio actionis, restando invece del tutto irrilevante l’eventuale incidenza sul terzo scopo dell’atto (c.d. preparatorio dell’udienza), è solo in tale limitata prospettiva che andranno scrutinate le ragioni di critica, in tale direzione del resto volgendo la stessa impostazione della censura.

3. Ebbene, alla luce delle esposte premesse, non può anzitutto accogliersi la tesi del ricorrente secondo cui le lacune dell’atto sarebbero nella specie tali e tante da doversi predicare non già la mera nullità dell’atto, ex art. 164 c.p.c., comma 1, bensì la sua radicale inesistenza.

In realtà dalla norma non si trae affatto un limite quantitativo rispetto ai requisiti contenutistici mancanti, inerenti alla vocatio in ius, che possa fungere da discrimine tra mera nullità dell’atto e sua radicale inesistenza. Nè a tal fine ha rilievo distinguere tra vizio o totale mancanza di uno o più requisiti della vocatio in ius (ciò del resto potendosi desumere testualmente dalla norma che, al comma 1, riferisce la sanzione di nullità sia alla omissione di taluni requisiti che alla loro assoluta incertezza).

L’inesistenza di un atto, quale sanzione processuale, come noto non è ricavabile da alcuna norma, ma è frutto solo di elaborazione giurisprudenziale ed è predicabile, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte (con riferimento alla notificazione di atto di impugnazione ma alla stregua di argomentazioni certamente riferibili a qualsiasi altro atto o attività processuale), “oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile quell’atto.

“L’inesistenza non è, dunque, in senso stretto, un vizio dell’atto più grave della nullità, poichè la dicotomia nullità/inesistenza va, alla fine, ricondotta alla bipartizione tra l’atto e il non atto” (Cass. Sez. U 20/07/2016, n. 14916).

Nel caso di specie è certamente da escludere che l’atto notificato all’opposto non fosse “riconoscibile”, nel suo contenuto essenziale, quale atto di opposizione a decreto ingiuntivo. Deve invero presumersi, sulla base delle stesse allegazioni di parte che, al netto degli elementi che si è detto mancanti, esso nondimeno conteneva l’indicazione: del nome delle parti (opponente e opposto), degli estremi del decreto ingiuntivo opposto e del suo contenuto, delle ragioni in fatto e in diritto dell’opposizione; ed era stato infine notificato all’opposto.

Questo era dunque certamente reso edotto del fatto che, avverso quel decreto, l’ingiunto aveva proposto opposizione, solo che la mancanza di quelle indicazioni comprometteva l’esercizio del suo diritto ad una compiuta e tempestiva difesa.

Non è dubbio, invero, che la mancanza dei detti altri elementi -indicazione dell’ufficio giudiziario (ma, per completezza di disamina, mette conto rilevare che, in realtà, come emerge dagli atti, questa era in realtà univocamente traibile dalla stessa intestazione dell’atto di citazione in opposizione, ossia dal primo rigo della prima pagina dell’atto), della data dell’udienza, dell’avvertimento di cui all’art. 163 c.p.c., n. 7 – ostacolava lo svolgimento dell’attività difensiva ma, con ciò, ad essere per l’appunto leso era (solo) il suo diritto di difesa e il principio del contraddittorio.

A rimedio di tali violazioni, però, la norma predispone solo la sanzione della nullità, a sua volta disciplinata con la previsione di una possibile sanatoria, con effetto ex tunc, per effetto di diverse e alternative cause sananti (quali, da un lato, la costituzione del convenuto (art. 164, comma 3), dall’altro, l’ordine di rinnovazione della citazione da parte del giudice (art. 164, comma 2)).

Se si guarda allo scopo dei requisiti che concorrono alla vocatio in ius non può tale conclusione mutare a seconda che a determinare la violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio sia la mancanza di uno solo o più di essi: se da un lato basta la mancanza (o l’assoluta incertezza) di uno solo a determinarla, per converso la violazione resta identica se i requisiti mancanti (o assolutamente incerti) siano più d’uno, nè è possibile o rilevante quoad effectum operarne una graduazione d’importanza (salvo quanto appresso si dirà con riferimento alla previsione di cui all’art. 294 c.p.c.).

La mancanza di più requisiti non determina altra o diversa violazione, nè muta o aggrava quel pregiudizio, nè lo rende non rimedia bile secondo la medesima disciplina.

4. Si viene così al secondo dei quesiti posti dal ricorso in esame: se cioè il meccanismo di sanatoria previsto dall’art. 164 c.p.c., comma 3, possa ritenersi attivato anche dalla costituzione del convenuto (nella specie, dell’opposto) in appello.

Come rimarca il precedente di Cass. n. 7885 del 2017 a tale quesito ha già dato risposta affermativa questa Corte a Sezioni Unite con sentenza 19 aprile 2010, n. 9217, con la quale, in relazione alla analoga nullità per vizio della vocatio in ius derivante dal difetto della capacità processuale del soggetto cui l’atto era diretto, si è affermato, in adesione peraltro ad orientamento già allora maggioritario nella giurisprudenza, che l’art. 164 c.p.c. “non pone limiti temporali o procedimentali alla possibilità di sanare la nullità della citazione” e che, pertanto, tale sanatoria può avvenire anche tramite la proposizione dell’atto di appello, senza peraltro che ciò escluda la nullità del giudizio svoltosi in violazione del contraddittorio.

Si è infatti osservato che la sanatoria derivante, ex art. 164 c.p.c., comma 3, dalla costituzione in appello “esclude che sia invalida, vale a dire inammissibile, la domanda, ma non esclude l’invalidità del giudizio svoltosi in violazione del contraddittorio.

“Il giudice d’appello deve pertanto dichiarare la nullità della sentenza e del giudizio di primo grado.

“Nondimeno la dichiarazione di queste nullità non può comportare la rimessione della causa al giudice di primo grado: sia perchè la nullità della citazione non è inclusa tra le tassative ipotesi di regressione del processo previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c., non interpretabili analogicamente in quanto norme eccezionali; sia perchè sul principio del doppio grado di giurisdizione, privo di garanzia costituzionale, prevale l’esigenza della ragionevole durata del processo.

“Sicchè il giudice d’appello, dichiarata la nullità della sentenza e del giudizio di primo grado, è tenuto a trattare la causa nel merito, rinnovando a norma dell’art. 162 c.p.c. gli atti dichiarati nulli, quando sia possibile e necessario”.

A tale ricostruzione questo Collegio intende dare continuità, non ravvisando negli argomenti proposti (peraltro carenti di specifica critica sul punto) alcuna ragione per discostarsene.

5. Si viene così al terzo dei quesiti posti dal ricorso: se tali conclusioni possano o meno valere anche nel caso di nullità (per vizio o mancanza della vocatio in ius) dell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo.

Anche a tale quesito è stata già data risposta affermativa dal menzionato precedente di Cass. n. 7885 del 2017 ed essa del resto si appalesa implicita in quanto finora si è andato argomentando.

Come s’è detto, infatti, la sanatoria conseguente alla costituzione in appello opera, ex art. 164 c.p.c., comma 3, con effetto retroattivo e comporta che l’atto di citazione introduttivo non può più considerarsi nullo e improduttivo di effetti ma, al contrario, valido e idoneo a produrre i propri effetti, sostanziali e processuali, “sin dal momento della prima notificazione” (ferma naturalmente la nullità della successiva attività processuale condotta in assenza di valido contraddittorio). Tra tali effetti, per quel che interessa in questa sede, vi è naturalmente anche quello di impedire l’esecutorietà e l’irrevocabilità del decreto ingiuntivo, ex art. 647 c.p.c..

6. Quanto poi all’argomento secondo cui la soluzione accolta finisce con il gravare il convenuto del compito non a lui spettante di attivarsi per conoscere i dati necessari per una utile e tempestiva difesa già nel giudizio di primo grado o in alternativa costituirsi in appello, perdendo così un grado di giudizio, è agevole osservare che si tratta di conseguenze, da un lato, perfettamente coerenti con le viste ragioni sottese alla nullità prevista per vizio o mancanza della vocatio in ius e, dall’altro, discendenti dalla disciplina dei relativi meccanismi di sanatoria e del rilievo della nullità in appello (del processo e della sentenza di primo grado) ex art. 354 c.p.c. quando si tratti, come nella specie, di nullità diverse da quelle tassativamente indicate per le quali è prevista la rimessione del processo al giudice di primo grado.

La nullità dell’atto, giova ribadire, è in tali casi funzionale (solo) alla tutela del contraddittorio e del diritto di difesa e non può pertanto assumere una valenza sanzionatoria che ecceda tali scopi.

In tale prospettiva le conseguenze del difetto della vocatio in ius vanno ricostruite tenendo ben conto e anzi restituendo la dovuta centralità anche alla norma di cui all’art. 294 c.p.c., comma 1, a mente della quale – giova rammentare – “il contumace che si costituisce può chiedere al giudice istruttore di essere ammesso a compiere attività che gli sarebbero precluse, se dimostra che la nullità della citazione o della sua notificazione gli ha impedito di avere conoscenza del processo o che la costituzione è stata impedita da causa a lui non imputabile”.

Si ricava da essa che la nullità della citazione per difetto della vocatio in ius, lungi dall’autorizzare pronunce meramente declinatorie in rito, non giustifica nemmeno, se non in casi residuali, la rimessione in termini del convenuto che si costituisca tardivamente, dovendo questi dimostrare, per ottenerla, anche che la nullità della citazione gli aveva impedito di avere conoscenza del processo.

In tale prospettiva, come ricorda Cass. n. 7885 del 2017, cit., questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che “qualora venga dedotta la nullità della citazione come motivo d’appello, in applicazione del principio della conversione delle nullità in motivo di gravame, gli effetti della sua rilevazione da parte del giudice sono regolati in conformità all’art. 294 c.p.c., equivalendo la proposizione dell’appello a costituzione tardiva nel processo, di talchè il convenuto contumace, pur avendo diritto alla rinnovazione dell’attività di primo grado da parte del giudice di appello (ai sensi dell’art. 354 c.p.c., comma 4), intanto potrà essere ammesso a compiere le attività che sono colpite dalle preclusioni verificatesi nel giudizio di primo grado, in quanto dimostri che la nullità della citazione gli abbia impedito di conoscere il processo e, quindi, di difendersi, se non con la proposizione del gravarne: situazione che, peraltro, può verificarsi solo in ipotesi di nullità per omessa o assolutamente incerta indicazione del giudice adito in primo grado, occorrendo, in ogni altra ipotesi, la dimostrazione (del tutto residuale) che le circostanze del caso concreto abbiano determinato anche la mancata conoscenza della pendenza del processo” (Cass. 07/05/2013, n. 10580).

7. E’ evidente in conclusione che, nel caso di specie, i dedotti (e pur accertati) vizi della vocatio in ius, lungi dal poter autorizzare l’opposto ad aspettarsi il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo, lo oneravano anzitutto – come è stato fatto – di proporre impugnazione avverso la sentenza notificatagli (chè altrimenti, convertendosi la nullità in motivo d’impugnazione, ex art. 161 c.p.c. la stessa non sarebbe stata più rilevabile nè deducibile) e in secondo luogo di richiedere al più la rimessione in termini per le attività che avrebbe potuto svolgere in primo grado ove si fosse tempestivamente costituito. Non altro.

Tale rimessione in termini non risulta chiesta e circa la sua mancata concessione non è fatta comunque in questa sede questione alcuna.

E’ appena il caso dunque di rilevare, incidentalmente, che, nel caso di specie, alla luce del citato e qui condiviso arresto di Cass. n. 10580 del 2013, essa non avrebbe nemmeno potuto essere accordata, dovendosi escludere, per quanto sopra detto, la ricorrenza dell’unica residuale ipotesi nella quale essa potrebbe giustificarsi, ossia la mancata indicazione nell’atto di citazione dell’ufficio giudiziario.

8. La Corte d’appello ha deciso sul punto pienamente conformandosi alla esposta ricostruzione sistematica, sicchè la decisione resiste alla proposta impugnazione.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Non avendo l’intimato svolto difese nella presente sede, non v’è luogo a provvedere sul regolamento delle spese.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472