Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.564 del 15/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9602-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.F.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso lo studio dell’avvocato PAOLO SPANU, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE LAI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 340/2014 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di SASSARI, depositata il 10/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/11/2019 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

RITENUTO

CHE:

P.F.I. impugnò, quale parte venditrice, l’avviso di rettifica e liquidazione in relazione al valore dichiarato nell’atto di compravendita stipulato il *****, e registrato il *****, di un terreno sito in Comune di *****, secondo le prescrizioni del P.R.G. edificabile (zona C/2 – Residenziale di Espansione), e l’adita Commissione tributaria provinciale di Sassari, in parziale accoglimento del ricorso, ridusse la base imponibile, decisione successivamente riformata, a seguito di appello della contribuente, dalla Commissione tributaria regionale della Sardegna, con la sentenza n. 340/8/14, pronunciata il 24/10/2013 e depositata il 10/10/2014, sul rilievo che la motivazione dell’atto impositivo era carente, in quanto non solo non era stato allegato alcuno degli atti traslativi utilizzato dall’Ufficio come parametro comparativo per la rettifica di valore dell’area edificabile, ma “due – atti – hanno la stessa data – di quello per cui è causa – uno è posteriore del 2008 e uno del 2009”.

L’Agenzia delle Entrate ricorre, con tre motivi, per la cassazione della sentenza; resiste con controricorso l’intimata contribuente che ha depositato memoria.

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 2 bis, L. n. 212 del 2000, art. 7, giacchè la CTR ha erroneamente considerato non assolto l’obbligo di motivazione dell’avviso di rettifica e liquidazione della maggior imposta dovuta ancorchè all’atto fosse stata allegata la richiesta di autorizzazione alla vendita, in data *****, del curatore fallimentare, concernente un terreno similare per ubicazione e destinazione urbanistica rispetto a quello oggetto di rettifica, e nell’avviso medesimo fosse stato riprodotto il contenuto essenziale degli altri atti traslativi dei terreni posti in comparazione, con indicazione altresì dei dati catastali di ciascuno di essi.

Con il secondo motivo lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, giacchè la CTR ha erroneamente ritenuto essere stato utilizzato per la rettifica di valore dell’area edificabile, con criterio comparativo, un atto pubblico successivo alla data di stipula di quello sottoposto a controllo, senza considerare che il rogito di compravendita in data ***** è quello autorizzato dal giudice delegato a seguito della richiesta di autorizzazione alla vendita precedentemente avanzata dal curatore fallimentare.

Con il terzo motivo lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, giacchè la CTR non ha considerato che un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione impone all’Ufficio di tenere conto, in primo luogo, dei trasferimenti immobiliari posti in essere nel medesimo anno d’imposta, in quanto essi rispecchiano maggiormente il reale valore venale del bene compravenduto.

Le censure vanno accolte perchè fondate.

Quanto al primo motivo di ricorso, questa Corte ha già affermato il principio secondo cui, in tema di imposta di registro (ed INVIM), anche a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 212 del 2000, art. 7, che ha esteso alla materia tributaria i principi di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 3, l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento di maggior valore deve ritenersi adempiuto mediante l’enunciazione del criterio astratto in base al quale è stato rilevato, con le specificazioni in concreto necessarie per consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa e per delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, nella quale l’Amministrazione ha l’onere di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto, ed il contribuente la possibilità di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri (Cass. n. 1961/2018; n. 11560/2016; n. 25153/2013; n. 14027/2012; n. 6914/2011).

Giova, altresì, ricordare che, in tema di accertamento tributario, la Corte ha avuto modo di precisare che “La motivazione di un avviso di rettifica e di liquidazione ha la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, consentendo al contribuente l’esercizio del diritto di difesa. Ne consegue che, fermo restando l’onere della prova gravante sulla Amministrazione, è sufficiente che la motivazione contenga l’enunciazione dei criteri astratti, in base ai quali è stato determinato il maggior valore, senza necessità di esplicitare gli elementi di fatto utilizzati per l’applicazione di essi, in quanto il contribuente, conosciuto il criterio di valutazione adottato, è già in condizione di contestare e documentare l’infondatezza della pretesa erariale, senza poter invocare la violazione, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 2-bis, del dovere di allegazione delle informazioni previste ove il contenuto essenziale degli atti sia stato riprodotto sull’avviso di accertamento.” (Cass. n. 22148/2017).

Non sussiste, quindi, la ritenuta illegittimità dell’impugnato atto impositivo per violazione dell’onere di allegazione delle compravendite immobiliari utilizzate dall’Ufficio, in via comparativa, ai fini del controllo di valore de quo, essendo pacifico che la pretesa fiscale si è basata sul valore venale espresso nell'”atto di vendita rogato dal Notaio Po.Al. (notaio in *****) in data *****, registrato presso l’ufficio di Roma ***** (RGC) al n. ***** serie IT”, del quale sono stati allegati all’avviso impugnato sia l’autorizzazione alla vendita del giudice delegato datata 1/10/2007, che la relativa istanza del curatore fallimentare datata 7/6/2007, in quanto ritenuto dall’Agenzia delle Entrate elemento di comparazione particolarmente attendibile, riguardando operazione immobiliare non solo omogenea, ma posta in essere con le peculiari garanzie delle procedure concorsuali, e che gli altri atti traslativi di terreni con caratteristiche similari ed aventi la medesima parte acquirente ( L.R.B. s.r.l.), erano comunque indicati nella parte motiva dell’impugnato avviso di rettifica e liquidazione (si legge nella sentenza del giudice di appello: “La Commissione rileva che l’Ufficio motiva l’avviso… sulla base del valori di vendita dichiarati dalle parti in quattro atti…”).

E che siffatti elementi extratestuali fossero agevolmente conoscibili al destinatario dell’atto impositivo lo dimostra il fatto che nel ricorso introduttivo del giudizio la contribuente ha compiutamente approntato le proprie sviluppando deduzioni anche nel merito della pretesa fiscale, avuto riguardo sia all’astratto criterio (comparativo) di determinazione del maggior valore adottato, sia al concreto riferimento operato agli elementi fattuali, in tesi, costituiti da valori immobiliari tra loro difformi e ricavati da atti traslativi “privi della giusta anteriorità ai fini comparativi”.

Quanto alle restanti censure, scrutinabili congiuntamente in quanto attengono alle medesima questione di diritto, non v’è dubbio che la decisione della CTR, in relazione alla dedotta violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3, abbia posto in evidenza il fatto che “gli atti presi a confronto non sono anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto oggetto di rettifica (*****), ma… due hanno la stessa data, uno è posteriore del 2008 e uno è del 2009” e, segnatamente, che l’atto di vendita rogato dal notaio Po. fu stipulato il *****, e successivamente registrato.

Quindi, ad avviso del giudice di appello nessun rilievo, ai fini qui considerati, può essere attribuito alla anteriorità della data (4/10/2007) di rilascio dell’autorizzazione del giudice delegato alla predetta vendita, su istanza (7/6/2007) del curatore fallimentare, dovendo piuttosto aversi riguardo alla data del trasferimento immobiliare comparato, nella specie posteriore rispetto a quella dell’atto sottoposto a verifica, stante il chiaro tenore del dettato normativo.

La norma di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3, nella parte in cui prevede che, ai fini della rettifica del valore dei beni immobili, debba aversi riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo ed alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni, non comporta l’immodificabilità del valore di mercato risultante da detti atti, ma si limita ad indicare un parametro certo di confronto in base al quale l’Ufficio deve determinare il valore del bene in comune commercio (Cass. n. 963/2018; n. 436372011; n. 4363/2011; 21531/2007).

Ne discende che la violazione di legge invocata dalla contribuente non si è concretizzata, e la CTR non ha fatto corretta applicazione del citato art. 51, comma 3, allorchè ha ritenuto illegittimo l’operato dell’Agenzia delle Entrate, che aveva proceduto a verifica del valore del bene compravenduto, facendo ricorso al metodo sintetico-comparativo, senza sentirsi vincolata ai valori espressi nei trasferimenti effettuati nei tre anni dall’atto, considerato che la più volte richiamata disposizione ammette l’attività accertativa in esame possa basarsi anche su “altri elementi di valutazione” pariordinati (Cass. n. 29143/2018; 1961/2018).

Ed è ciò che è avvenuto nella esaminata fattispecie, essendo stati allegati all’avviso impugnato, e considerati dall’Ufficio ai fini della rettifica di valore, i contenuti dell’autorizzazione alla vendita del giudice delegato e della relativa istanza del curatore fallimentare, elementi peraltro che hanno trovato ulteriore riscontro sia in un precedente contratto preliminare di compravendita per persona da nominare intercorso con Case Ridenti s.p.a., sia nelle quotazioni OMI della zona (cfr. pag. 8 e 9 del ricorso), tipici accertamenti di fatto riservati al giudice di merito.

Dall’accoglimento del ricorso discende la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, il rigetto dell’originario ricorso della contribuente, che va condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, sussistendo invece i presupposti per la compensazione di quelle delle fasi di merito, stante l’evoluzione della vicenda processuale.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente. Compensa le spese processuali delle fasi di merito e condanna l’intimata contribuente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre rimborso pese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V sezione civile, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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