LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25619/2018 proposto da:
M.C., domiciliato in Roma, viale Angelico n. 38, presso lo studio dell’avv. Roberto Maiorana, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministero pro-tempore;
– intimato –
avverso il decreto n. 501 del 2018 del Tribunale di Perugia;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25.10.2019 dal Consigliere Dott.ssa PAOLA GHINOY.
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Perugia rigettava la domanda proposta da M.C., cittadino gambiano, volta ad ottenere in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.; in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14; in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).
2. Il Tribunale esponeva che il ricorrente innanzi alla Commissione territoriale, con riferimento alle circostanze del suo allontanamento, aveva riferito che un giorno mentre era intento a bruciare le sterpaglie nel fondo che coltivava il fuoco era divenuto incontrollabile provocando un incendio che si era propagato nel fondo del vicino uccidendo molti capi di bestiame di proprietà di quest’ultimo, uomo molto ricco di etnia *****. Aveva dichiarato quindi di essere scappato per paura di essere arrestato o ucciso per vendetta dal proprietario del bestiame.
3. Il Tribunale, tralasciata ogni considerazione in merito allo status di rifugiato i cui presupposti erano stati esclusi dalla stessa difesa di parte ricorrente, argomentava che nel caso correttamente la commissione aveva rilevato l’eccessiva genericità del racconto e l’assenza di elementi a supporto, neppure suffragato dalle fonti consultate dal tribunale. Escludeva la necessità di procedere nuovamente all’esame, mancando nel ricorso anche l’allegazione, con riferimento alle suindicate ragioni di inattendibilità, di elementi specifici che potessero indurre una differente ricostruzione del fatto; rilevava come dalle informazioni assunte non risultasse una supremazia dei componenti dell’etnia ***** o dei *****, nè una propensione dell’autorità in loro favore, non rispondente all’attuale situazione del sistema giudiziario. Neppure risultava l’impossibilità di difendersi in un eventuale processo a causa della sua condizione di indigenza, risultando dalle fonti internazionali che richiamava come il ricorso alla difesa tecnica d’ufficio fosse previsto per legge. Il permanere della moglie e del figlio in Gambia per il periodo successivo all’incendio e alla fuga del ricorrente non sembrava poi avvalorare il timore di quest’ultimo di una vendetta da parte del proprietario del bestiame, che se avesse voluto ben avrebbe potuto rivalersi sulla famiglia del richiedente.
4. Escludeva quindi la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2007, lett. a) e b); aggiungeva che la situazione anche giudiziaria risultava sensibilmente migliorata a seguito dell’elezione di A.B. come Presidente della repubblica del Gambia e che pertanto non sembrava potersi ipotizzare il pericolo per il ricorrente di essere sottoposto a condanna a morte e tortura o altre forme di trattamento inumano o degradante, ipotesi che non consistono nella circostanza della sottoposizione un procedimento giudiziario. Escludeva inoltre la sussistenza dei presupposti dell’art. 14, lett. c) in considerazione dell’inizio di questa nuova fase storico-politica per il paese. Quanto infine alla protezione umanitaria, non riteneva integrata la sussistenza della particolare vulnerabilità soggettiva del ricorrente, nè la sussistenza di gravi motivi di carattere umanitario idonei a fondare tale tipo di protezione” stante la natura strettamente privatistica della vicenda narrata; la riferita sfiducia nei confronti delle autorità locali di polizia non appariva corroborata da alcun riscontro nelle fonti. Non risultava inoltre che la zona di provenienza del richiedente fosse esposta situazione di conflitto generalizzato o calamità naturali.
5. Per la Cassazione della sentenza M.C. ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, cui il Ministero dell’Interno non ha opposto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6. Come primo motivo il ricorrente deduce l’omesso o erroneo esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale. Sostiene che il racconto fosse molto circostanziato e preciso e che il giudice di prime cure non ne avrebbe considerato la valenza.
7. Il motivo è inammissibile: qualora le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili secondo i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), ed in applicazione dei canoni di ragionevolezza e dei criteri generali di ordine presuntivo, l’accertamento di fatto così compiuto dal giudice di merito integra un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nei limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. (v. ex multis Cass., 21/11/2018, n. 30105, Cass. 12/11/2019, n. 29279). Nel caso, la critica formulata nel motivo costituisce una mera contrapposizione alla valutazione che il giudice di merito ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure idoneamente censurata in base ai parametri posti dall’art. 360 c.p.c., n. 5.
8. Come secondo motivo il ricorrente lamenta la mancata concessione della protezione sussidiaria in ragione delle attuali condizioni socio economiche del paese di origine e la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.
9. Il motivo è inammissibile.
In merito alla protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione generalizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base ad un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass., 28/06/2018, n. 17075; Cass., 12/11/2018, n. 28990). Al fine di ritenere adempiuto tale onere, inoltre, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass., 26/04/2019, n. 11312).
10. Nel caso, il Tribunale ha puntualmente valutato la situazione del paese di origine del richiedente, giungendo ad escludere la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) all’esito di un’articolata valutazione desunta da siti internazionali aggiornati e accreditati. Il motivo si sostanzia in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito ed in tal senso risulta inammissibile, considerato che il vizio di motivazione rappresentato dal travisamento di fatti decisivi non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
11. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta che il Tribunale di Perugia avrebbe errato nel non applicare la protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese di origine o che ivi possa correre gravi rischi.
12. Il motivo non è fondato.
Questa Corte ha chiarito (v. Cass. 23/02/2018, n. 4455 e, da ultimo, Cass. S.U. n. 29459, n. 29460 e n. 29461 del 13.11.2019), che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.
13. Non può essere dunque riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale.
14. Il Tribunale perugino ha fatto corretta applicazione dei principi esposti, considerato che a fronte quindi della situazione riferita al paese di origine, già ritenuta inidonea a configurare una compressione dei diritti umani, neppure risulta fossero state allegate le circostanze fattuali per compiere il dovuto giudizio di comparazione in ordine alla situazione di integrazione del richiedente nel nostro paese, che neppure vengono prospettate in questa sede.
15. Come quarto motivo il ricorrente deduce la violazione del principio di non refoulement posto dalla convenzione di Ginevra all’art. 33 e dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 a protezione dello straniero.
16. La censura è inammissibile in quanto è del tutto astratta, risolvendosi in una elencazione di norme internazionali, unionali ed interne, senza riferimento al caso in esame.
17. Segue coerente il rigetto del ricorso.
18. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo svolto il Ministero attività difensiva.
19. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020