Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.618 del 15/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26423/2018 proposto da:

N.A.M., elettivamente domiciliato in Roma, viale Angelico n. 38, presso lo studio dell’avv. Roberto Maiorana, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro-tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 568 del 2018 del Tribunale di Perugia;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25.10.2019 dal Consigliere Dott.ssa PAOLA GHINOY.

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Perugia rigettava la domanda proposta da NDAO ALI M., nato in ***** e successivamente trasferitosi in *****, al fine di ottenere il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Il Tribunale riferiva che il timore prospettato dal richiedente per il caso di rimpatrio si sostanziava nella paura di andare incontro in ***** a minacce e violenze da parte dei parenti della moglie-morta nel ***** in uno scontro militare mentre era al lavoro – con i quali era in conflitto in ragione della propria religione ***** e nella situazione instabile e pericolosa della *****.

3. Argomentava che sulla base della situazione generale del paese, che risulta essere uno stato laico che prevede la libera pratica delle credenze religiose, non vi erano elementi per ritenere che le autorità competenti non fossero in grado di fornire protezione qualora ciò dovesse risultare necessario; la presenza in ***** di una rete familiare e amica con cui ha mantenuto i contatti facevano sì che il richiedente potesse essere rimpatriato nel luogo in cui conserva i suoi affetti. Tali considerazioni determinavano l’insussistenza delle condizioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. a), b) c). Aggiungeva che le stesse considerazioni facevano propendere anche per il rigetto della domanda di protezione umanitaria, non essendo sufficiente il percorso lavorativo intrapreso e il fatto che egli dal 2004 avesse abbandonato il *****, in assenza di una specifica situazione di vulnerabilità personale nè del pericolo di lesione grave o sostanziale privazione di diritti fondamentali in caso di rimpatrio.

4. Per la Cassazione del decreto N.A.M. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui il Ministero dell’Interno non ha opposto attività difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Come primo motivo di ricorso N.A.M. deduce che il Tribunale avrebbe errato nel non applicare la norma speciale di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14 come novellato, in quanto avrebbe respinto il ricorso in ragione di quanto verbalizzato nel corso del colloquio davanti alla Commissione, senza procedere all’audizione in giudizio del ricorrente e senza acquisire la disponibilità della videoregistrazione.

6. Il motivo è infondato.

Questa Corte ha chiarito che ove non sia disponibile la videoregistrazione con mezzi audiovisivi dell’audizione dinanzi alla Commissione territoriale, il giudice di merito, chiamato a decidere del ricorso avverso la decisione adottata dalla Commissione, è tenuto a fissare l’udienza di comparizione delle parti a pena di nullità del suo provvedimento decisorio, salvo il caso in cui il richiedente abbia dichiarato di non volersi avvalere del supporto contenente la registrazione del colloquio (Cass. n. 17076 del 26/06/2019, Cass. n. 32029 del 11/12/2018, Cass. 5/7/2018 n. 17717; Cass. 26/10/2018 n. 27182).

7. L’obbligo non riguarda tuttavia anche il rinnovo dell’audizione, che grava esclusivamente sull’autorità amministrativa incaricata di procedere all’esame del richiedente: ne consegue che il giudice può decidere in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso il verbale o la trascrizione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione (Cass. 31/01/2019, n. 2817, v. anche Corte di giustizia UE, sent. 26 luglio 2017 in causa C-348/16).

8. La rinnovazione dell’audizione personale dell’interessato (che peraltro neppure il ricorrente riferisce di avere richiesto al giudice di merito) costituisce quindi una scelta discrezionale, che compete al giudice di merito operare in base alle concrete circostanze di causa e alla necessità di vagliarle anche alla luce delle dichiarazioni rese di fronte alla Commissione.

9. Come secondo motivo il ricorrente lamenta che il Tribunale di Perugia avrebbe errato nel non applicare la protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese di origine o che ivi possa correre gravi rischi, anche in relazione al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1 alla L. n. 110 del 2017 che ha introdotto il reato di tortura ed ai principi generali di cui all’art. 10 Cost. e art. 3 CEDU.

10. Sostiene che il ***** presenta criticità nell’esercizio della libertà di riunione e di espressione, nonchè uccisioni illegali da parte delle forze di sicurezza, nelle quali il ricorrente potrebbe venire coinvolto anche in considerazione dei motivi religiosi per i quali ha lasciato il paese; aggiunge che il piano di sminamento della ***** non è ancora completato.

11. Il motivo è inammissibile.

Questa Corte ha chiarito (v. Cass.23/02/2018, n. 4455 e, da ultimo, Cass. S.U. n. 29459, n. 29460 e n. 29461 del 13.11.2019) che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su un’ effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

12. Non può essere dunque riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale.

13. Nel caso, il Tribunale ha compiuto tale valutazione comparativa, escludendo che la situazione nel caso di rientro in *****, quale ricostruita sulla base di informazioni desunte da fonti internazionali aggiornate e accreditate, potesse esporlo ad una compromissione dei diritti fondamentali, ed ha ritenuto non significativo il contrapposto percorso di integrazione positivamente avviato in Italia.

14. Il motivo si sostanzia dunque in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito ed in tal senso risulta inammissibile, considerato che il vizio di motivazione rappresentato dal travisamento di fatti decisivi non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

15. Segue coerente il rigetto del ricorso.

16. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo svolto il Ministero attività difensiva.

17. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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