LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 34083/2018 proposto da:
F.N., rappresentato e difeso dall’avv. Gianluca Vitale (Pec:
gianlucavitale-pec.ordineavvocatitorino.it), elettivamente domiciliato in Roma, Via Torino 7, presso lo studio dell’avv. Laura Barberio;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, domiciliato ex lege presso l’avvocatura dello stato, in Roma, via dei Portoghesi 12;
– intimato –
avverso la sentenza n. 605/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 3/4/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/11/2019 dal cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.
RILEVATO
che:
F.N., pakistano, ricorre per cassazione, con tre motivi, contro la sentenza della corte d’appello di Torino in data 3-4-2018, che ne ha respinto il gravame in tema di protezione internazionale;
il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.
CONSIDERATO
che:
col primo motivo il ricorrente denunzia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, del D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6 e art. 16 della direttiva 2013-32/UIE, quanto ai criteri legali per la valutazione della credibilità personale del richiedente la protezione internazionale;
col secondo motivo denunzia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32, artt. 5 e 19 del t.u. imm., quanto ai criteri legali per la concessione del permesso per motivi umanitari;
infine col terzo motivo si duole della violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 in relazione alla disposta revoca dell’ammissione del patrocinio a spese dello Stato;
il primo motivo è inammissibile;
la corte d’appello di Torino, dopo aver dato conto della vicenda individuale narrata dal ricorrente, ha confermato la valutazione di non credibilità già fatta dal tribunale, sulla scorta di due considerazioni: per l’avvenuta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. d), avendo il richiedente mancato di proporre la domanda di protezione nonostante la presenza in Italia da quattro anni dopo un transito dalla Grecia, a sua volta paese dell’Unione Europea; per la presenza di lacune del racconto, oltre che di contraddizioni e incongruenze in ordine ai fatti esposti;
nel ricorso si obietta, riguardo al primo profilo, che la Grecia è stata condannata dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo per il trattamento inumano o degradante riservato ai richiedenti asilo, il che sarebbe stato ignorato dalla corte d’appello; si aggiunge inoltre, quanto al secondo profilo, che la valutazione di implausibilità del racconto sarebbe stata fatta in modo ipotetico e speculativo;
ora questa Corte ha già affermato che, in materia di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto a un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche a una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda; e tale verifica è in sè sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass. n. 21142-19);
nella specie la corte territoriale ha giustappunto ritenuto inverosimili le circostanze essenziali del narrato, e la valutazione non è stata censurata sul versante della motivazione, mediante la specificazione di fatti storici decisivi dalla corte medesima omessi (v. Cass. Sez. U n. 8053-14);
ne consegue che, essendo quello sulla credibilità soggettiva un tipico giudizio di fatto, il primo mezzo, per quanto formulato in iure, integra da tal punto di vista un tentativo di revisione di quel giudizio, viceversa insindacabile in cassazione;
il secondo motivo è inammissibile per derivazione dal primo: una volta stabilita la non credibilità del racconto posto a base della decisione di espatrio, nessun peso può essere attribuito al livello di integrazione del richiedente in Italia, poichè l’altro termine della comparazione rappresentato dalla situazione personale vissuta nel paese di origine è giustappunto da ritenere (definitivamente) non affidabile;
il terzo mezzo è inammissibile in quanto tale;
la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con la sentenza che definisce il giudizio di appello, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 non comporta mutamenti nel regime impugnatorio che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 stesso D.P.R., dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanta adottata con sentenza, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione (v. Cass. n. 3028-18, Cass. n. 32028-18).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 13 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020