LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 17048-2018 r.g. proposto da:
A.M., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Daniela Vigliotti, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, Via Carlo Poma n. 4;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore il Ministro;
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Milano, depositato in data 17.5.2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/12/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
RILEVATO
CHE:
1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Milano – decidendo sulla domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da A.M., *****, dopo il diniego della commissione territoriale – ha respinto la domanda, confermando, pertanto, la decisione della commissione.
Il tribunale ha, in primo luogo, ritenuto non necessario procedere alla nuova audizione del richiedente. Il tribunale ha, poi, ricordato che il ricorrente aveva narrato di: 1) essere nato e cresciuto ad ***** e di appartenere al gruppo etnico *****; 2) essere di religione musulmano sciita, pur essendo stato in precedenza un sunnita; 3) essere sposato e padre di tre figli; 4) aver gestito in passato un negozio di abbigliamento di cui era titolare dal 1990; 5) essere stato costretto a fuggire dal suo paese di origine in seguito ad un contrasto con la comunità religiosa sunnita locale, per la decisione di quest’ultima di destinare suo figlio alla guerra santa.
Il tribunale ha ritenuto che: a) non fosse necessaria la fissazione di una nuova udienza, benchè non era stata eseguita la video registrazione del colloquio del richiedente innanzi alla commissione territoriale; b) non era credibile neanche in parte il racconto del ricorrente in ordine alle ragioni che lo avevano indotto a fuggire dal paese di origine, posto che la narrazione della vicenda relativa al figlio da avviare alle pratiche terroristiche risultava essere contraddittoria e non trovava, peraltro, riscontro nelle informazioni estraibili dalle fonti internazionali di conoscenza consultate; c) non era, dunque, fondata la domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato, e ciò in ragione proprio del giudizio di non credibilità ascrivibile al racconto del richiedente, d) non poteva essere riconosciuta neanche la reclamata protezione sussidiaria, in relazione alle forme di tutela di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b), sempre in ragione della preventiva valutazione di non credibilità del richiedente stesso; e) infondata doveva ritenersi, altresì, la domanda di protezione sussidiaria di cui all’ipotesi disciplinata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, posto che, secondo le informazioni aggiornate, la regione di provenienza del richiedente dal ***** non doveva ritenersi interessata da situazioni di violenza indiscriminata; f) non poteva essere accolta, infine, la domanda volta al riconoscimento della protezione umanitaria, in assenza di una dimostrata situazione di vulnerabilità soggettiva del richiedente che, nel caso di specie, non poteva essere ricondotta nè al rischio paese nè alla integrazione nel paese di accoglienza e che, comunque, la valutazione di non credibilità del ricorrente escludeva in radice la possibilità del riconoscimento anche di quest’ultima forma di tutela giuridica.
2. Il decreto, pubblicato il 17.5.2018, è stato impugnato da A.M. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
L’amministrazione intimata non ha svolto difese.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis in relazione alla mancata fissazione da parte del giudice del merito dell’udienza di comparizione personale delle parti in mancanza della videoregistrazione.
2. Con il secondo mezzo si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, per non avere il tribunale riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del richiedente, in ragione della generale situazione geopolitica del paese di provenienza.
3. Con il terzo motivo si articola vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, per non avere il giudice del merito assolto all’onere di cooperazione istruttoria, sempre in relazione all’accertamento della situazione interna del Pakistan. 4. Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6 e art. 19 t.u. imm. in relazione al mancato riconoscimento della richiesta protezione umanitaria, in ragione del livello di integrazione e di radicamento nel paese di accoglienza.
5. Il ricorso è fondato.
5.1 E’ fondato già il primo motivo di censura, il cui accoglimento assorbe l’esame anche delle ulteriori doglianze prospettate dal ricorrente.
5.1.1 Sul punto giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, nel giudizio di impugnazione della decisione della Commissione territoriale innanzi all’autorità giudiziaria, in caso di indisponibilità della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza per la comparizione delle parti configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, salvo che il richiedente non abbia dichiarato di non volersi avvalere del supporto contenente la registrazione del colloquio (Sez. 6, Ordinanza n. 14148 del 23/05/2019).
Orbene, risulta circostanza non controversa e riportata nello stesso decreto impugnato che il tribunale, nonostante l’assenza della videoregistrazione del colloquio con il richiedente e nonostante l’esplicita richiesta di quest’ultimo, non ha proceduto alla fissazione della udienza di comparizione delle parti.
Si impone pertanto la cassazione del provvedimento impugnato, con rinvio al Tribunale di Milano che deciderà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020