LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 33393/2018 r.g. proposto da:
O.N., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Daniela Vigliotti, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Gallarate (VA), Via G.B. Trombini n. 3.
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore il Ministro.
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Milano, depositato in data 20.9.2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 3/12/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
RILEVATO
che:
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano – decidendo sull’appello proposto da O.N., cittadino *****, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano (con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente) – ha confermato la decisione impugnata, rigettando, pertanto, l’appello.
La corte di appello ha, in primo luogo, ricordato la vicenda umana del ricorrente, secondo il racconto svolto da quest’ultimo: il ricorrente ha dichiarato di essere originario di ***** e di essere stato costretto a fuggire dal proprio paese, a causa di una contesa terriera con la locale comunità, in seguito alla quale il padre era morto per avvelenamento in circostanze non chiare ed egli stesso aveva subito l’aggressione da parte di un gruppo di uomini armati.
La corte di appello ha, dunque, ritenuto non fondata la domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato, in quanto non ricorrevano i presupposti normativi per tale riconoscimento, in ragione della natura personale e familiare dei motivi raccontati dallo stesso richiedente come ragioni fondanti la necessità di lasciare il paese di origine; ha, inoltre, ritenuto infondata, per le medesime ragioni sopra ricordate, anche la domanda di protezione sussidiaria, declinata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b; ha negato fondatezza anche all’ulteriore domanda di protezione sussidiaria, articolata ai sensi della lett. c del sopra ricordato art. 14, posto che la regione di provenienza del cittadino nigeriano non è interessata da fenomeni di violenza interna diffusa e generalizzata, essendo solo gli Stati del nord-est della Nigeria coinvolti in fenomeni di terrorismo a causa delle azioni del noto gruppo di *****; ha ritenuto, infine, non accoglibile la domanda di protezione umanitaria, in ragione della valutazione di non credibilità della richiedente e in assenza della dimostrazione da parte del ricorrente stesso di una condizione di soggettiva vulnerabilità, rilevante a tal fine.
2. La sentenza, pubblicata il 20 settembre 2018, è stata impugnata da O.N. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, in relazione al diniego della richiesta protezione sussidiaria collegata alla situazione di pericolosità interna del paese di provenienza.
2. Con il secondo mezzo, si denuncia vizio di violazione falsa e applicazione dell’art. 5, comma 3 e art. 19, comma 1, T.U. imm., in riferimento al diniego della protezione umanitaria, sempre collegata alla situazione sociopolitica del paese di provenienza.
3. Il ricorso è inammissibile.
3. Già il primo motivo non supera il vaglio di ammissibilità, giacchè la parte ricorrente tenta, in realtà, di sollecitare la corte ad una rivalutazione di merito dei presupposti fattuali sottesi all’istituto della protezione sussidiaria, proponendo censure versate in fatto e volte a rivalutare le fonti di conoscenza, già correttamente scrutinate dai giudici del merito. Ed invero, il tribunale ha reso, sul punto qui da ultimo in discussione, una motivazione correttamente argomentata e scevra da criticità argomentative, contro cui la parte ricorrente ha contrapposto solo vizi di violazione di legge diretti a rivalutare gli elementi di prova.
Ebbene, la corte del merito ha evidenziato che il paese di provenienza non è interessato da fenomeni di violenza diffusa e generalizzata, essendo tali fenomeni concentrati solo nei paesi del nord della Nigeria, esprimendo, dunque, i giudici del gravame una valutazione in fatto (peraltro suffragata dalla consultazione di fonti di conoscenza di matrice internazionale), incensurabile nei termini proposti dal ricorrente.
4. Il secondo motivo, articolato in riferimento al diniego della richiesta protezione umanitaria, è inammissibile per le medesime ragioni già sopra ricordate, perchè volto a richiedere alla corte di legittimità una inammissibile rivalutazione del merito della decisione, tramite lo scrutinio diretto degli elementi di prova già correttamente valutati nella fase di merito attraverso una motivazione coerente ad adeguata che ha evidenziato che la complessiva valutazione di non credibilità rendeva non accoglibile anche la domanda di protezione umanitaria così avanzata, protezione di cui, comunque, non ricorrevano i presupposti, in assenza della dimostrazione da parte del ricorrente di una seria condizione di vulnerabilità.
Ne discende la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del presente giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.
Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020