LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 33879/2018 r.g. proposto da:
L.M.M., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avvocati Roberto Dalla Bona, Alessandra Migliore e Rossella De Angelis, elettivamente domiciliato in Roma, Via Ippolito Nievo n. 61, presso lo studio dell’Avvocato De Angelis.
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore il Ministro.
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Milano, depositato in data 2.10.2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 3/12/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
RILEVATO
che:
1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Milano – decidendo sulla domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da L.M.M., cittadino del Senegal, dopo il diniego di tutela da parte della commissione territoriale – ha rigettato la domanda così presentata, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.
Il tribunale ha ricordato che il ricorrente aveva narrato di: I) essere nato a ***** e di appartenere al gruppo etnico “*****” e di professare la religione musulmana; II) essere stato portato da bambino in una “madrasa” e di essere stato sfruttato dall’insegnate per lavori domestici e di essere stato oggetto di violenze e vessazioni anche dal padre.
Il tribunale ha ritenuto non necessaria l’audizione del richiedente, valutando complessivamente non credibile il racconto di quest’ultimo. Il tribunale ha, inoltre, evidenziato come non fosse fondata la domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato e quella di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, perchè il racconto non era credibile e comunque il pericolo di essere di nuovo sottoposto a violenze o vessazioni nella madrasa non era attuale, avendo il ricorrente 27 anni di età. Il giudici del merito hanno, poi, ritenuto infondata anche la residua ipotesi di protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, non essendo il Senegal attualmente attraversato da fenomeni di violenza diffusa e generalizzata. Neanche la domanda di protezione umanitaria – ha decretato il tribunale poteva essere accolta, in mancanza della dimostrazione di un serio radicamento del richiedente in Italia e per l’assenza di un rischio-paese.
2. Il decreto, pubblicato il 2.10.2018, è stato impugnato da L.M.M. con ricorso per cassazione, affidato a sette motivi.
L’amministrazione intimata non ha svolto difese.
La parte ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 35 e 35 bis, nonchè dell’art. 32, medesimo decreto, ed error in procedendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
2. Con il secondo mezzo si denuncia violazione dell’art. 111 Cost., nonchè violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 35 e 35 bis e degli artt. 103 e 104 c.p.c., ed error in procedendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
3. Con il terzo mezzo si articola vizio di error in procedendo e violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, della direttiva 2004/83/CE e violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.
4. Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c e della direttiva 2004/83/CE.
5. Con il quinto motivo si deduce vizio di violazione dell’art. 5, comma 6, TUI, della direttiva 2004/83/CE, dell’art. 2 Cost., e dell’art. 8 Cedu.
6. Con il sesto mezzo si denuncia violazione dell’art. 111 Cost., art. 6 Cedu, art. 101 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 8 e 9.
7. Si solleva inoltre questione di legittimità costituzionale delle seguenti norme: D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3, lett. a, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 8 e 9.
8. Il ricorso è infondato.
8.1 Il primo motivo è inammissibile in quanto lo stesso si compone di una lunga elencazione di fonti normative regolanti la materia in esame, senza confrontarsi con la ratio decidendi principale posta a sostegno del diniego delle richieste di protezione internazionale ed umanitaria, e cioè la valutazione di non credibilità del racconto.
8.2 Il secondo motivo è, in parte, infondato e, in altra parte, inammissibile.
8.2.1 E’ inammissibile nella parte in cui si compone di una elencazione di fonti normative regolanti la materia in esame, senza confrontarsi, anche in tal caso con la ratio decidendi sopra ricordata.
8.2.2 Sostiene, inoltre, la parte ricorrente che il giudice dell’opposizione D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, non è competente a decidere sulla protezione umanitaria, dato che la domanda relativa a detta protezione è soggetta al giudizio di cognizione ordinario e, dunque, anche ad eventuale appello e che il Tribunale avrebbe dovuto decidere per l’inammissibilità di detta domanda o separarla.
Sulla questione fatta valere, questa Corte si è di recente pronunciata con l’ordinanza 9658/2019, evidenziando quanto segue. “E’… carente di interesse il ricorso per cassazione ogni qual volta il ricorrente denunci la mancata adozione del rito ordinario o sommario di cognizione con riferimento alla domanda di protezione umanitaria dopo avere egli stesso instaurato il giudizio di merito mediante la proposizione di un ricorso unico e unitario ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, avente ad oggetto la richiesta di ogni forma di protezione, come è avvenuto nella presente controversia, per giunta senza eccepire in alcun modo nel giudizio camerale la mancata adozione – peraltro da lui stesso provocata- del rito ordinario per la domanda di protezione umanitaria, previa richiesta di separazione dei giudizi da lui congiuntamente instaurati. E’ poi del tutto paradossale che il ricorrente lamenti, nel ventaglio alternativo delle decisioni corrette che ipotizza, la mancata dichiarazione di inammissibilità della domanda da lui formulata, ovvero la mancata adozione di un provvedimento, ovviamente meramente ordinatorio, di separazione delle domande che egli stesso ha proposto cumulativamente, chiedendo il simultaneus processus. E’ infine il caso di notare incidentalmente che il dovere di cooperazione officiosa che grava sul giudice del procedimento volto al riconoscimento della protezione internazionale riguarda il profilo istruttorio e l’assunzione di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine del richiedente e non certo le forme e le modalità di introduzione della domanda giudiziale, laddove il richiedente fruisce, eventualmente anche attraverso il patrocinio a spese dello Stato, di congrua assistenza tecnica.” (cfr. anche Cass., ord. 26552/2019).
Va, poi, aggiunto che la censura sarebbe comunque infondata, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 3, atteso che la pretesa nullità sarebbe qui opposta dalla parte che vi ha dato causa.
8.3 Il terzo e quarto motivo sono inammissibili perchè richiedono, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, una rivalutazione del profilo della credibilità del richiedente e dei presupposti applicativi delle domande indirizzate ad ottenere lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria, profili quest’ultimi che sono stati correttamente valutati dal tribunale con motivazione adeguata e scevra da criticità argomentative. Ed invero, il tribunale ha evidenziato la non credibilità del racconto, sottolineando, peraltro, la non attualità del pericolo allegato dal ricorrente, non potendo quest’ultimo essere inserito di nuovo in una “masadra” all’età di 27 anni, rendendo, dunque, sul punto qui in discussione, una motivazione ben articolata e, peraltro, neanche censurata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
8.4 Il quinto motivo – che si incentra sul diniego della richiesta protezione umanitaria – è anch’esso inammissibile perchè versato in fatto e rivolto ad una rivalutazione dei presupposti applicativi dell’istituto invocato.
Ebbene, i giudici del merito hanno correttamente argomentato il diniego, evidenziando la mancata dimostrazione da parte del richiedente di un serio radicamento nel contesto sociale italiano e l’assenza di un rischio collegato al rimpatrio in Senegal, così adeguandosi anche ai principi fissati nella subiecta materia dalla giurisprudenza espressa da questa Corte di legittimità (Cass. n. 4455/2018).
A fronte di questa corretta motivazione la parte ricorrente contrappone solo doglianze svolte in fatto e rivolte ad una rivalutazione del merito della decisione, rendendo così le relative censure irricevibili.
8.5 Il sesto motivo non supera la soglia di ammissibilità perchè la censura si compone di una elencazione degli istituti regolanti la materia, senza alcun confronto con la motivazione impugnata.
8.6 La questione di legittimità costituzionale, peraltro genericamente agitata dal ricorrente, non è rilevante in relazione alle norme di cui si invoca l’applicazione.
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del presente giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.
Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020