Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.641 del 15/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 33896-2018 r.g. proposto da:

E.C.E., (cod. fisc. *****), solo dichiaratamente rappresentato dall’Avv. Marco Esposito.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore il Ministro.

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Milano, depositato in data 13.6.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 3/12/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

RILEVATO

che:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Milano – decidendo sulla domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da E.C.E., cittadino nigeriano, dopo il diniego di tutela da parte della commissione territoriale – ha rigettato la domanda così presentata, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del ricorrente, secondo quanto riferito da quest’ultimo: egli ha, infatti, narrato di provenire dalla Nigeria (Edo State) e di essere perseguitato da una setta che lo voleva affiliare, ragione quest’ultima per cui aveva deciso di espatriare.

Il tribunale ha, dunque, ritenuto non fondata la domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato perchè non ricorrevano i presupposti applicativi della relativa disciplina e perchè non era credibile la vicenda della sua affiliazione alla setta (in quanto le fonti di conoscenza consultate evidenziavano che l’affiliazione avveniva sempre su base volontaria). Il tribunale ha, inoltre, evidenziato che la vicenda narrata non era neanche sussumibile nel paradigma applicativo della tutela protettiva prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b e che l’Edo State non poteva considerarsi un paese percorso da violenze generalizzate, così escludendo anche la residua forma di tutela di cui all’art. 14, lett. c, del D.Lgs., da ultimo ricordato. I giudici del merito hanno, inoltre, escluso il riconoscimento della richiesta protezione umanitaria, in assenza della dimostrazione di un serio radicamento del richiedente nella realtà sociale italiana.

2. Il decreto, pubblicato il 13.6.2018, è stato impugnato da E.C.E. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la parte ricorrente – lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 11 – si duole della mancata fissazione dell’udienza e dell’omesso ordine di comparizione personale in udienza del ricorrente, come invece richiesto espressamente dalla difesa di quest’ultimo e come imposto dalla norma da ultimo citata, nei casi di mancanza della videoregistrazione del colloquio dinanzi alla commissione territoriale.

2. Con il secondo mezzo si articola vizio di violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione alla richiesta di protezione internazionale sussidiaria e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 ed D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione alla protezione umanitaria, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di motivazione ed omesso esame di un fatto decisivo sempre in relazione alla domanda di protezione umanitaria.

3. Deve essere dichiarata la improcedibilità del ricorso per cassazione.

3.1 Dallo scrutinio del fascicolo processuale – cui anche questa Corte è abilitata, trattandosi del riscontro di un vizio processuale – è emersa la mancanza della procura alle liti, solo richiamata nel ricorso introduttivo. Nessuna statuizione è dovuta per le spese del presente giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

P.Q.M.

dichiara improcedibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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