Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.642 del 15/01/2020

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 35339/2018 r.g. proposto da:

U.F., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Alessandro Praticò, presso cui è elettivamente domiciliato in Torino, Via Groscavallo n. 3.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore il Ministro.

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Milano, depositato in data 15.10.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 3/12/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

RILEVATO

che:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Milano – decidendo sulla domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da U.F., cittadino nigeriano, dopo il diniego di tutela da parte della commissione territoriale – ha rigettato la domanda così presentata, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il tribunale ha ricordato in primo luogo la vicenda personale del ricorrente, secondo quanto riferito da quest’ultimo: il ricorrente ha infatti narrato di essere nato a *****, ma di essere cresciuto a *****; di aver saputo, dopo la morte del padre, che quest’ultimo apparteneva alla setta degli ***** e di essere pertanto considerato dagli appartenenti alla setta il successore naturale del padre defunto, nel ruolo di componente della congregazione; di aver subito, pertanto, minacce da parte della setta e di essere stato costretto a fuggire dal paese di origine per sottrarsi a questo pericolo.

Il tribunale, pur evidenziando che il ricorrente aveva insistito per il riconoscimento della sola protezione sussidiaria ed umanitaria, ha comunque esaminato la fondatezza anche dell’originaria domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato, escludendola nel caso di specie per la mancata ricorrenza dei presupposti applicativi dell’invocata tutela e perchè il racconto del richiedente non era credibile per lo meno in relazione alle riferite minacce provenienti dagli *****, setta che – secondo le fonti di conoscenza consultate dal tribunale – non aveva la consuetudine di reclutare forzatamente i suoi adepti. Il tribunale ha, dunque, ritenuto non fondata anche la domanda di protezione sussidiaria avanzata, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, proprio in ragione del giudizio di complessiva non credibilità del richiedente. I giudice del merito hanno poi escluso la fondatezza della domanda volta al riconoscimento della protezione sussidiaria, in relazione al pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, perchè la regione di provenienza del richiedente non è attraversata da violenze diffuse e generalizzate, secondo le fonti di conoscenza consultate. Infondata – ha ulteriormente decretato il tribunale anche l’ulteriore domanda di protezione umanitaria, in ragione sempre del giudizio di non credibilità del richiedente e comunque in relazione alla mancata dimostrazione di un serio radicamento del richiedente in Italia.

2. Il decreto, pubblicato il 15.10.2018, è stato impugnato da U.F. con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, artt. 2 e 3 CEDU, in relazione alla mancata corretta applicazione delle norme sull’onere della prova e alla mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi e comunque vizio di motivazione sul medesimo punto.

2. Con il secondo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, artt. 2 e 10 Cost., dell’art. 8 Cedu, per aver il tribunale motivato in modo generico e senza sufficiente istruttoria.

Il ricorrente sviluppa altresì altri quattro sottomotivi:

a) erronea formazione del convincimento esclusivamente sulla base della valutazione di attendibilità intrinseca del richiedente;

b) formazione del convincimento sulla credibilità della narrazione del ricorrente su parametri diversi da quelli normativamente previsti, venendo meno all’obbligo di cooperazione istruttoria;

c) violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione al diniego della protezione sussidiaria riferita alla condizione interna del paese di provenienza, valutazione quest’ultima maturata sulla base di informazioni parziali;

d) erronea valutazione della fondatezza della domanda di protezione umanitaria in relazione alla quale il tribunale spiegava una motivazione meramente apparente.

4. Il ricorso è inammissibile.

4.1 Sotto un primo preliminare profilo di valutazione delle doglianze proposte, occorre evidenziare come la parte ricorrente proponga due primi motivi, diversamente articolati, nel cui contenuto le doglianze vengono solo enunciate in relazione ai parametri normativi violati e in ordine alle criticità argomentative avanzate. Ne consegue che le censure così proposte non superano il vaglio di ammissibilità, essendo state proposte in modo generico e senza alcun preciso riferimento al contenuto della motivazione di cui si censura l’illegittimità.

4.2 Venendo ora ad esaminare il primo “sottomotivo” sopra ricordato, il giudizio sullo stesso non può che essere, del pari, conformato ad una valutazione di inammissibilità delle relative censure. Sul punto, è necessario ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). Più precisamente, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre, Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). Orbene, osserva la Corte come, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, la parte ricorrente pretenda, ora, un’inammissibile rivalutazione del contenuto delle dichiarazioni rilasciate dal ricorrente e del giudizio di complessiva attendibilità di quest’ultimo, profilo che è irricevibile in questo giudizio di legittimità perchè non dedotto nel senso sopra chiarito e perchè comunque rivolto ad uno scrutinio di merito delle dichiarazioni che invece è inibito al giudice di legittimità.

4.3 Ad analoga collusione deve pervenirsi anche in relazione al secondo “sottomotivo”: anche qui la parte ricorrente pretende di sollecitare la corte di legittimità ad una rivalutazione di merito in ordine al giudizio di credibilità del racconto del richiedente, profilo quest’ultimo riservato alle valutazioni dei giudici della precedente fase di giudizio e per il quale quest’ultimo hanno espresso una motivazione coerente e scevra da criticità argomentative. Sul punto, i giudici del merito hanno evidenziato – con valutazione in fatto, neanche censurata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – che il racconto in ordine alle ragioni della fuga dal paese di origine non era credibile, perchè – secondo le fonti di conoscenza consultate – gli ***** non hanno la consuetudine di reclutare forzatamente i loro adepti. A fronte di questa coerente argomentazione, la parte ricorrente contrappone solo valutazioni versate in fatto e volte a ribaltare il giudizio di merito correttamente articolato dal tribunale ambrosiano.

4.4 Il terzo motivo di censura – declinato in riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c – è anch’esso formulato in modo inammissibile perchè teso, ancora una volta, a richiedere a questa corte una rivalutazione delle fonti informative per accreditare un giudizio diverso sulle condizioni interne della Nigeria, profilo quest’ultimo sul quale il tribunale ha correttamente argomentato con motivazione che non è stata neanche censurata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4.5 Il quarto motivo – declinato in riferimento al diniego della reclamata protezione umanitaria – è anch’esso inammissibile in ragione della sua evidente genericità, oltre che versato in fatto. Anche qui la motivazione ha evidenziato il mancato radicamento del richiedente nel contesto sociale italiano e la parte ricorrente intenderebbe ora ribaltare tale valutazione attraverso un diverso scrutinio delle fonti di prova esaminate.

Ne discende la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del presente giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 3 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472