LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 35343-2018 r.g. proposto da:
I.U., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Alessandro Praticò, presso cui è elettivamente domiciliato in Torino, Via Groscavallo n. 3.
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore il Ministro.
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Milano, depositato in data 15.19.2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/12/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
RILEVATO
che:
1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Milano – decidendo sulla domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da I.U., cittadino nigeriano, dopo il diniego di tutela da parte della commissione territoriale – ha rigettato la domanda così presentata, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.
Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del ricorrente, secondo quanto riferito da quest’ultimo: il ricorrente ha infatti narrato di essere nato a ***** e di avere moglie e due figli; di essere stato costretto a lasciare il suo paese di origine, temendo le violenze di alcuni sicari ingaggiati dalla matrigna, che era interessata ad impossessarsi dei beni ereditati dal padre; di non essersi potuto rivolgere alla polizia per ottenere protezione, in ragione della necessità di scappare repentinamente per salvarsi la vita.
Il tribunale ha, dunque, ricordato di aver fissato udienza di comparizione delle parti, ritenendo, tuttavia, non necessaria la nuova audizione del richiedente.
Il tribunale ha, poi, ritenuto che non potesse accogliersi la domanda volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato in quanto non ne ricorrevano i presupposti applicativi, e che era altresì infondata la domanda volta ad ottenere la richiesta protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b, anche in ragione del giudizio di complessiva inattendibilità del racconto del richiedente. Non poteva essere accolta – ha, infine, evidenziato il tribunale – la domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, non potendosi ritenere l’Edo State regione interessata da conflitti armati interni con violenza diffusa e generalizzata. I giudici del merito hanno, inoltre, ritenuto infondata anche la richiesta di riconoscimento della protezione umanitaria, in assenza della prova di un solido radicamento nel contesto sociale italiano.
2. Il decreto, pubblicato il 15.19.2018, è stato impugnato da I.U. con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
L’amministrazione intimata non ha svolto difese.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, artt. 2 e 3 CEDU, in relazione alla mancata corretta applicazione delle norme sull’onere della prova e la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi e comunque vizio di motivazione sul medesimo punto.
2. Con il secondo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, artt. 2 e 10 Cost., dell’art. 8 Cedu, per aver il tribunale motivato in modo generico e senza sufficiente istruttoria.
Il ricorrente sviluppa altresì altri tre sottomotivi:
a) violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, per la mancata audizione del ricorrente;
b) erronea formazione del convincimento esclusivamente sulla base della valutazione di attendibilità intrinseca del richiedente;
c) formazione del convincimento sulla credibilità della narrazione del ricorrente su parametri diversi da quelli normativamente previsti, venendo meno all’obbligo di cooperazione istruttoria;
3. Il ricorso è infondato.
3.1 Sotto un primo, preliminare profilo di valutazione delle doglianze proposte, occorre evidenziare come la parte ricorrente proponga due iniziali motivi, diversamente articolati, nel cui contenuto le relative censure vengono solo enunciate in relazione ai parametri normativi violati e in ordine alle criticità argomentative avanzate. Ne consegue che le censure così avanzate non superano il vaglio di ammissibilità, essendo state proposte in modo generico e senza alcun preciso riferimento al contenuto della motivazione di cui si censura l’illegittimità.
3.2 In relazione alla doglianza di carattere processuale sopra ricordata, va ricordato che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, nel giudizio di impugnazione della decisione della Commissione territoriale innanzi all’autorità giudiziaria, in caso di indisponibilità della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza per la comparizione delle parti configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, salvo che il richiedente non abbia dichiarato di non volersi avvalere del supporto contenente la registrazione del colloquio (Sez. 6, Ordinanza n. 14148 del 23/05/2019). Ne consegue che la mancanza di videoregistrazione determina l’obbligo della fissazione della udienza di comparazione delle parti e non già quello dell’audizione del richiedente. Ciò posto, risulta circostanza non controversa (e di cui si dà atto, peraltro, nello stesso provvedimento impugnato) quella secondo cui il tribunale aveva comunque fissato l’udienza di comparizione delle parti, omettendo, tuttavia, l’audizione del ricorrente, ritenendola non indispensabile ai fini della decisione.
La censura è dunque infondata.
3.3 Venendo ora ad esaminare il secondo “sottomotivo” sopra ricordato, il giudizio sullo stesso non può che essere conformato ad una valutazione di inammissibilità delle relative censure. Sul punto, è necessario ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). Più precisamente, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre, Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). Orbene, osserva la Corte come, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, la parte ricorrente pretenda, ora, una inammissibile rivalutazione del contenuto delle dichiarazioni rilasciate dal ricorrente e del giudizio di complessiva attendibilità di quest’ultimo, profilo che è irricevibile in questo giudizio di legittimità perchè non dedotto nel senso sopra chiarito e perchè comunque rivolto ad uno scrutinio di merito delle dichiarazioni che invece è inibito al giudice di legittimità.
3.4 Ad analoga collusione deve pervenirsi anche in relazione al terzo “sottomotivo”: anche qui la parte ricorrente pretende di sollecitare la corte di legittimità ad una rivalutazione di merito in ordine al giudizio di credibilità del racconto del richiedente, profilo quest’ultimo riservato alle valutazioni dei giudici della precedente fase di giudizio e per il quale quest’ultimo hanno espresso una motivazione coerente e scevra da criticità argomentative.
Ne discende il complessivo rigetto del ricorso.
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del presente giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.
Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020