LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRO Massimo – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 32907/2018 proposto da:
Y.E., rappresentato e difeso dall’avv. Lorenzo Trucco del foro di Torino, elettivamente domiciliato presso il suo studio, in Torino, via Guicciardini n. 3);
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno;
– intimato –
avverso la sentenza n. 542/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 26/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/10/2019 da Dott. FEDERICO GUIDO.
RITENUTO IN FATTO
Y.E., cittadino originario del Ghana, propone ricorso per cassazione, con un motivo, avverso la sentenza della Corte di appello di Torino, pubblicata il 26.3.2018, che ha escluso il riconoscimento di ogni forma di protezione.
La Corte, in particolare, confermando la valutazione del tribunale, ha rilevato la mancanza di credibilità e la contraddittorietà del racconto del richiedente, il quale ha dichiarato di aver lasciato il paese a seguito della morte del padre per avvelenamento e delle successive rivendicazioni del Re in ordine al terreno da lui coltivato a cacao, cui aveva fatto seguito una sparatoria in cui era rimasto coinvolto il fratello; rappresentava inoltre di aver subito gravi minacce.
La Corte ha altresì escluso che nell’area geografica di provenienza sia ravvisabile una situazione di violenza generalizzata o di conflitto interno o internazionale ed ha respinto la richiesta di protezione umanitaria, rilevando la mancanza di specifici elementi tali da evidenziare una situazione di particolare vulnerabilità del richiedente. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unico motivo di ricorso denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19 anche in relazione all’art. 10 Cost., comma 3 per la mancata concessione della protezione umanitaria.
Il motivo è inammissibile.
La Corte territoriale, con apprezzamento adeguato e conforme ai parametri valutativi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c) ha ritenuto non credibili le dichiarazioni del ricorrente, rilevando che il racconto appariva del tutto inverosimile, sia avuto riguardo al distacco temporale tra la morte del padre per avvelenamento e le rivendicazioni del Re, sia allo strapotere ed all’intervento diretto del Re, con gravi minacce, nei suoi confronti; inverosimile risulta anche l’utilizzo in via strumentale della polizia, nonostante l’acquisito possesso dei terreni. Conviene premettere che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero sotto il profilo della mancanza assoluta della motivazione, della motivazione apparente, o perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 3340/2019).
Ciò posto, è evidente che l’attendibilità della narrazione svolge un ruolo rilevante anche sotto il profilo della protezione umanitaria, atteso che, ai fini di valutare se il richiedente abbia subito un’effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili questa dev’essere necessariamente correlata alla condizione del richiedente medesimo, posto che solo la sua attendibilità consente di attivare poteri officiosi (Cass. 4455/2018).
Il mezzo è peraltro del tutto generico e non contiene una allegazione della specifica situazione di fragilità del richiedente.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile e considerato che il Ministero non ha svolto difese non deve provvedersi sulle spese del giudizio.
Alla declaratoria consegue l’attestazione circa l’obbligo di versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater;
il collegio intende dare continuità al principio reso da Cass. n. 9660-19 e molte altre successive conformi (tra le quali indicativamente Cass. n. 25864-19, Cass. n. 25863-19, Cass. n. 25115-19, Cass. n. 24601-19, Cass. n. 24060-19, Cass. n. 23729-19, Cass. n. 23727-19, Cass. n. 23724-19, Cass. n. 23460-19), stando al quale, per i fini dell’adozione del provvedimento di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater da parte della Corte di cassazione, rileva il solo elemento oggettivo costituito dal tenore della pronuncia che ne determina il presupposto, senza alcuna rilevanza delle condizioni soggettive della parte;
tali condizioni sono invece da verificare, nella loro specifica esistenza e permanenza, da parte dell’amministrazione al momento della eventuale successiva attività di recupero del contributo medesimo;
codesta soluzione risulta adesso implicitamente condivisa dalle Sezioni unite della Corte (v. Cass. Sez. U n. 23535-19), mediante l’evidenziazione della formula “ove dovuto” nel provvedimento che giustappunto attesta l’esistenza del ripetuto unico presupposto oggettivo della pronuncia;
non può seguirsi la tesi sostenuta in alcune dissonanti decisioni di questa stessa Corte, e in particolare non può seguirsi l’assunto dell’unico precedente argomentato sul punto, della sezione tributaria (Cass. n. 22646-19);
ben vero la motivazione di tale precedente non è idonea a scalfire la constatazione per cui, nel secondo periodo del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater è al giudice richiesto di dare atto (molto semplicemente) “della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente”; e tali sono quelli oggettivamente correlati al fatto che “l’impugnazione, anche incidentale,” sia stata “respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile”;
così congegnata, la norma chiarisce la volontà di escludere ogni automatismo da tale punto di vista e di affidare al giudice la potestà di stabilire, con apprezzamento da svolgere in base all’esito complessivo dell’impugnazione, se all’astrattezza della formula decisionale – di “inammissibilità, improcedibilità o rigetto” – abbia a corrispondere poi, in effetti, la conseguenza del raddoppio; conseguenza invero non necessariamente connaturata alla formula astratta, come ben si trae dal fatto – per esempio – che non dà luogo al raddoppio l’inammissibilità sopravvenuta (ex aliis Cass. n. 3542-17), nè la pronuncia (per certi versi simile negli effetti) di estinzione per rinuncia (Cass. n. 23175-15, Cass. n. 19071-18), nè ancora la declaratoria di sopravvenuta inefficacia dell’impugnazione incidentale tardiva (Cass. n. 18348-17, Cass. n. 1343-19);
non può condividersi – ed è comunque ben poco influente – la serie di argomenti spesa (dalla sezione tributaria) ad asserita confutazione di quanto ulteriormente sostenuto a fondamento della mentovata tesi;
che la revoca dell’ammissione anticipata e provvisoria al patrocinio a spese dello Stato implichi un provvedimento del giudice del merito è assolutamente ovvio; tuttavia niente esclude che il giudice del merito possa provvedere anche con provvedimento distinto da quello che definisce il giudizio; e tanto può rendere incerta in cassazione la circostanza se l’ammissione sia stata o meno medio tempore revocata;
deve contraddirsi l’affermazione, che ancora caratterizza la tesi della sezione tributaria, per cui la revoca non potrebbe operare retroattivamente in danno del beneficiario, a termini del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 visto che in base all’ultimo comma della citata previsione la revoca è normalmente retroattiva, salvo che sia motivata dalla riscontrata esistenza di “modificazioni reddituali”; e anche in tal caso, la revoca comunque prenderebbe effetto “dal momento dell’acquisizione delle modificazioni”, momento che ben può essere anteriore alla decisione del ricorso per cassazione; donde insistere su tale punto non è proficuo, in sè (poichè l’aspetto essenziale attiene all’ambito dell’attestazione come discendente dalla norma) e in ogni caso per il fatto che la revoca ben può basarsi sulla riscontrata insussistenza dei presupposti originari di ammissione, ovvero e anche sulla più meditata rilevazione del fatto di avere l’interessato agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave; casi – tutti – che, se riscontrati dal giudice del merito con provvedimento separato, ignoto alla Corte, palesano in modo evidente la retroattività dell’effetto a un momento antecedente a quello nel quale la Corte medesima è chiamata a decidere;
non si comprende infine la pertinenza dell’ulteriore sottolineatura della sezione tributaria per cui la possibilità di sollevare in sede di recupero coattivo la questione della insussistenza dei presupposti soggettivi sarebbe preclusa dalla “definitività della statuizione del giudice che attesti i requisiti del raddoppio”; l’effetto preclusivo in vero non sussiste affatto, dal momento che il giudicato afferente copre solo la res in iudicium decisa, chiaramente (ed esplicitamente) limitata nella prospettiva appena detta – al riscontro (unico) del presupposto oggettivo;
nè sembra ipotizzabile un contrasto tra la norma di legge come sopra specificamente interpretata e l’art. 6 della CEDU, con riguardo ai tempi ragionevoli del processo e al principio dell’esame equo della controversia, e con l’art. 47 della Carta Fondamentale dell’Unione Europea; tale argomento – ripreso da taluni anteriori arresti della sezione lavoro di questa Corte – non appare minimamente spendibile, dal momento che quello che la legge richiede, dopo l’attestazione di esistenza del presupposto oggettivo del raddoppio, è un’ elementare (e doverosa) azione di verifica da parte della cancelleria prima di determinarsi alla riscossione; azione doverosa ed elementare in quanto correlata all’anteriore mera annotazione dell’importo nel foglio notizie e nel registro, e dunque infine incentrata sulla semplicissima e conseguente possibilità di chiudere il foglio, ove perdurino le condizioni che hanno dato origine all’ammissione (anticipata e provvisoria) al patrocinio a spese dello Stato, con la dicitura che non vi è titolo per il recupero; per effetto della declaratoria di inammissibilità, deve quindi darsi atto dell’esistenza del presupposto per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dal ricorrente dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 9 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020