Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.652 del 15/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 33524/2018 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliato in Roma, Viale dell’Università 11 presso lo studio dell’avvocato Paolo Migliaccio e rappresentato e difeso dall’avvocato Alessandra Ballerini per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro in carica, domiciliato ex lege in Roma Via dei Portoghesi, 12 presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

Nonchè:

PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI GENOVA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 600/2018 della Corte di appello di Genova pubblicata il 09/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/10/2019 dal Cons. Laura Scalia.

FATTI DI CAUSA

1. S.S. ricorre in cassazione con unico articolato motivo avverso la sentenza in epigrafe indicata con la quale la Corte di appello di Genova rigettava l’impugnazione dal primo proposta avverso l’ordinanza del locale Tribunale che, adito ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19 aveva disatteso le domande di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria nella ritenuta insussistenza dei presupposti di legge.

2. Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con unico articolato motivo il ricorrente, costretto a fuggire dal proprio paese, il Mali, ancora minorenne, secondo il racconto reso dinanzi alla competente commissione territoriale, per il timore di subire persecuzioni dagli zii paterni che si erano resi responsabili della morte del padre per contrasti ereditari e raggiunta l’Italia dopo un terribile periodo trascorso in Libia, deduce con unico articolato motivo la violazione dell’art. 2 Cost., dell’art. 11 del Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966, ratificato in Italia con L. n. 881 del 1977, dell’art. 5, comma 6, T.U. Immigrazione, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e dell’art. 19 T.U. Immigrazione nonchè omesso esame della domanda di protezione umanitaria.

La motivazione impugnata sarebbe stata solo apparente non rispettosa del principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità per il quale la reiezione della domanda di protezione umanitaria non può essere il frutto di mero automatismo conseguente al rigetto delle altre richieste di protezione, dovendo, piuttosto, essa conseguire all’esperimento di una autonoma e doverosa attività istruttoria.

La Corte di merito avrebbe, infatti, solo genericamente motivato non apprezzando, segnatamente, le situazioni oggettive relative al Paese di provenienza del richiedente, il Mali – la grave instabilità politica, episodi di violenza, l’insufficiente rispetto dei diritti umani, i disastri naturali e la sistematica violazione dei diritti umani – e, ancora, quanto alla Libia, Paese di transito e soggiorno.

I giudici di appello non avrebbero altresì apprezzato la incolmabile sproporzione esistente tra le condizioni di vita godute dall’istante in Italia e in Mali.

Il ricorrente deduce ancora l’applicabilità al caso in esame della previgente formulazione dell’art. 5, comma 6, T.U. Imm., oggetto di riforma con il D.L. n. 113 del 2018.

2. Il motivo, per la pluralità degli indicati profili, è infondato per le ragioni di seguito indicate.

2.1. La sentenza impugnata ha qualificato come inattendibile il racconto del richiedente protezione internazionale segnalando il mancato adempimento del primo all’onere probatorio di fornire ogni elemento utile ad accertare i fatti integrativi dei presupposti della protezione umanitaria.

In materia di protezione internazionale il positivo superamento del vaglio di credibilità soggettiva del richiedente protezione condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è preliminare all’esercizio da parte del giudice del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che il richiedente non è in grado di provare, in deroga al principio dispositivo (vd.: Cass. 12/06/2019 n. 15794; Cass. 24/04/2019 n. 11267; Cass. 27/06/2018 n. 16925).

La credibilità del racconto, esclusa, vale altresì a negare la configurabilità di forme di protezione sussidiaria ed umanitaria venendo a mancare ai fini della sussumibilità delle fattispecie l’indicato dato, all’indicato fine imprescindibile (Cass. 12/06/2019 n. 15794, tra le altre, supra citate).

Il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, che è misura atipica e residuale, deve essere frutto di valutazione autonoma caso per caso, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario considerare la specificità della condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente, da valutarsi anche in relazione alla sua situazione psico-fisica attuale ed al contesto culturale e sociale di riferimento (ex multis: Cass. n. 13088 del 15/05/2019).

Ma, ciò posto, è vero pure che l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona, assumendo al riguardo rilievo, in assenza di prove del racconto dell’interessato ed in difetto di sollecitazioni ad acquisizioni documentali, quantomeno la credibilità soggettiva del medesimo (Cass. n. 11267 del 24/04/2019; sulla prima parte: Cass. n. 16925 del 27/06/2018).

La motivazione in siffatto essenziale snodo non resta attinta da critica che risulta, come tale, generica.

2.2. In ordine poi all’accezione oggettiva della condizione di vulnerabilità del richiedente protezione umanitaria, il ricorso non si confronta con la sentenza impugnata nella parte in cui i giudici di appello escludono per la zona di provenienza del richiedente, il Sud del Mali, la sussistenza di una situazione di violenza diffusa invece registrata, invece, per le fonti scrutinate, nel Nord del Paese.

Il percorso di integrazione lavorativa cennato in ricorso che il ricorrente avrebbe intrapreso in Italia resta affidato a generiche affermazioni che non riescono ad invalidare il provvedimento impugnato per la dedotta violazione di legge.

La Corte di merito ha articolato una motivazione sul punto, che di quel percorso nega rilievo ai fini della protezione richiesta, e la critica, generica e non autosufficiente, nella non contrastata affermazione sulla condizione oggettiva del Paese di provenienza, si risolve, anche, in una inammissibile censura di valutazioni di merito.

2.3. L’inammissibilità descritta sottrae ogni rilievo, assorbendola, alla questione, pure introdotta in ricorso, sul regime intertemporale del D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. 10 dicembre 2018, n. 132.

2.4. Il ricorso va, in via conclusiva, rigettato.

Nulla sulle spese non avendo l’Amministrazione intimata articolato difese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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