Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.654 del 15/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 61/2017 proposto da:

A.J., elettivamente domiciliato in Roma Via Simone De Saint Bon, n. 89 presso lo studio dell’avvocato Terra Massimo che lo rappresenta e difende, giusta procura giusta procura rilasciata con separato atto allegato al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, Prefettura Ufficio Territoriale del Governo di Roma;

– intimato –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di ROMA, depositata il 11/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2019 dal cons. Dott. VALITUTTI ANTONIO.

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso in opposizione depositato il 22 luglio 2016, A.J. impugnava il decreto di espulsione in data 29 maggio 2013, emesso dal Prefetto di Roma, con pedissequa intimazione del Questore di Roma a lasciare il territorio nazionale, deducendo che tali provvedimenti non erano stati tradotti in lingua bengalese, l’unica conosciuta dallo straniero, bensì in lingua inglese.

2. Il giudice adito rigettava l’opposizione, rilevando che il provvedimento di espulsione era stato impugnato ben oltre i termini di legge, ossia tre anni dopo la notifica, senza che ricorresse alcun giustificato motivo per la chiesta rimessione in termini.

3. Per la cassazione di tale ordinanza ha, quindi, proposto ricorso A.J. nei confronti del Ministero dell’interno, affidato ad un solo motivo. L’intimato non ha svolto attività difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso, A.J. denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. L’istante si duole del fatto che il Giudice di pace, in sede di opposizione avverso il decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Roma, abbia ritenuto tardivamente proposta l’impugnazione, senza operare la chiesta rimessione in termini, sebbene il provvedimento fosse stato tradotto in lingua inglese, e non in bengalese, unica lingua conosciuta dal ricorrente. Quest’ultimo non sarebbe stato, di conseguenza, reso edotto della possibilità di impugnare il decreto espulsivo e dei relativi termini.

1.2. Il motivo è inammissibile.

1.2.1. Va rilevato che l’ordinanza impugnata si fonda essenzialmente sulla considerazione che il provvedimento di espulsione è stato notificato all’istante in data 29 maggio 2013, laddove l’impugnazione avverso detto provvedimento è stata proposta solo con ricorso depositato il 22 luglio 2016, ossia dopo oltre tre anni dalla notifica dell’atto. Il decorso di un termine notevolmente superiore a quello previsto dalla legge (trenta giorni dalla notifica del decreto di espulsione, ai sensi del combinato disposto del D.Lgs. 25 luglio 1986, n. 286, art. 13, comma 8 e del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 8) ha reso, pertanto, ad avviso del Giudice di pace, impossibile la chiesta rimessione in termini del richiedente, essendo, evidentemente, da ascrivere all’incuria della stessa parte ricorrente la scadenza del termine legale, con conseguente, definitiva, preclusione dell’impugnazione.

1.2.2. Orbene, il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si richiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass., 25/02/2004, n. 3741; Cass., 23/03/2005, n. 6219; Cass., 17/07/2007, n. 15952; Cass., 19/08/2009, n. 18421). In particolare è necessario che venga contestata specificamente la “ratio decidendi” posta a fondamento della pronuncia oggetto di impugnazione (Cass., 10/08/2017, n. 19989).

Per contro, nel caso di specie, la suesposta ratio decidendi dell’ordinanza impugnata – concernente il ritardo eccessivo nella proposizione dell’impugnativa, che precludeva all’istante anche la possibilità di una rimessione in termini – non è stata, in alcun modo, contestata dal ricorrente, che si è limitato a considerazioni – supportate da astratte allegazioni di principio – circa la necessità che il provvedimento espulsivo fosse tradotto in lingua bengalese, non essendo il medesimo a conoscenza della lingua italiana e di quella inglese, senza allegare alcuna ragione giustificativa – in ipotesi addotta nel giudizio di merito – del fatto che il medesimo abbia lasciato passare un termine lunghissimo prima di risolversi a proporre l’impugnazione del provvedimento di espulsione.

1.3. Per tali ragioni, pertanto, il mezzo, in quanto inammissibile, non può trovare accoglimento.

2. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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