Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.655 del 15/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso 12035/2018 proposto da:

O.F., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Dei Consoli n. 62 presso lo studio dell’avvocato Inghilleri Enrica che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Valeri Daniele, giusta procura rilasciata con separato atto allegato al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 14/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2019 dal cons. Dott. VALITUTTI ANTONIO.

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso al Tribunale di Ancona, O.F., cittadina della Nigeria, chiedeva il riconoscimento della protezione internazionale, denegata alla medesima dalla competente Commissione territoriale. Con decreto n. 3271/2018, depositato il 15 marzo 2018, l’adito Tribunale rigettava il ricorso.

2. Il giudice di merito escludeva la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento alla ricorrente dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, reputando, ai fini della concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) non attendibili le dichiarazioni della medesima circa le ragioni che l’avevano indotta ad abbandonare il suo Paese, e non sussistente, ai fini della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), una situazione di violenza generalizzata nel Paese d’origine, nonchè rilevando che non erano state allegate dalla istante specifiche ragioni di vulnerabilità, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

3. Per la cassazione di tale provvedimento ha, quindi, proposto ricorso O.F. nei confronti del Ministero dell’interno, affidato a sei motivi, illustrati con memoria. Il resistente ha replicato con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente propone, sotto diversi profili, la questione di costituzionalità del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, convertito nella L. n. 46 del 2017, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione degli artt. 3,24,111, e 77 Cost.

1.2. Le denunce di incostituzionalità sono manifestamente infondate.

1.2.1. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, è da reputarsi, invero, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, convertito con modifiche in L. n. 46 del 2017, per il preteso difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza ex art. 77 Cost., poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime.

1.2.2. E’ manifestamente infondata, altresì, la questione di legittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, sia in quanto il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status”, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte.

1.2.3. E’, del pari, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, relativa all’eccessiva limitatezza del termine di trenta giorni prescritto per proporre ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale, poichè la previsione di tale termine è espressione della discrezionalità del legislatore e trova fondamento nelle esigenze di speditezza del procedimento.

1.2.4. E’, inoltre, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena di inammissibilità, in data successiva alla comunicazione del decreto da parte della cancelleria, poichè tale previsione non determina una disparità di trattamento tra la parte privata ed il Ministero dell’interno, che non deve rilasciare procura, armonizzandosi con il disposto dell’art. 83 c.p.c., quanto alla specialità della procura, senza escludere l’applicabilità dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3 (cfr., su tutti i profili suindicati, Cass., 05/07/2018, n. 17717; Cass., 05/11/2018, n. 28119).

1.2.5. Neppure coglie nel segno, infine, il rilievo secondo cui la soppressione dell’appello comporterebbe la violazione del principio del doppio grado del giudizio di merito, atteso che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile, è finalizzato a soddisfare esigenze di celerità, e non essendo tale principio garantito a livello costituzionale, come più volte affermato dalla Consulta (cfr, tra le tante, Corte Cost., 25/09/2007, n. 351; Corte Cost., 21/02/2007, n. 107; Corte Cost., 12/02/2003, n. 84). Al riguardo va, peraltro, tenuto conto anche del fatto che il procedimento giurisdizionale è comunque preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (Cass., 30/10/2018, n. 27700; Cass., 05/11/2018, n. 28119).

2. Con il secondo motivo di ricorso, O.F. denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.1. L’istante lamenta che il Tribunale abbia “omesso l’esame del motivo di ricorso di primo grado enumerato come n. 5, di cui a pag. 15 del ricorso stesso, rubricato “Illegittimità della decisione della Commissione territoriale per omessa traduzione della motivazione: omessa motivazione””. In ordine a tale censura il Tribunale avrebbe omesso qualsiasi pronuncia, sebbene la questione relativa all’omessa traduzione degli atti del procedimento amministrativo in una lingua conosciuta dalla straniera, fosse stata posta all’attenzione dell’organo giudicante con il motivo di impugnazione succitato.

2.2. Il mezzo è inammissibile.

2.2.1. Va rilevato, invero, che – a prescindere dall’improprio riferimento al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, contenuto nella rubrica del motivo in esame – la censura denuncia, in realtà, un’omissione di pronuncia in ordine ad uno dei motivi del ricorso in primo grado. Ed effettivamente, dall’esame del decreto impugnato, non è dato desumere alcuna pronuncia in ordine alla questione oggetto della presente doglianza. E tuttavia, tale positivo riscontro della sussistenza di un error in procedendo del giudice di merito non può dare luogo a cassazione della pronuncia dal medesimo emessa.

2.2.2. Deve, invero, rilevarsi che alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti inammissibile o infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (cfr., Cass., 01/02/2010, n. 2313; Cass., 28/06/2017, n. 16171; Cass., 19/04/2018, n. 9693).

2.2.3. Nel caso di specie, la questione oggetto del motivo di ricorso sul quale il Tribunale non si è pronunciato è palesemente inammissibile, di talchè non sussisteva l’obbligo per il giudice di merito di pronunciarsi al riguardo.

Ed invero, in tema di protezione internazionale, l’obbligo di tradurre gli atti del procedimento davanti alla commissione territoriale, nonchè quelli relativi alle fasi impugnatorie davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, è previsto dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 10, commi 4 e 5, al fine di assicurare al richiedente la massima informazione e la più penetrante possibilità di allegazione. Ne consegue che la parte, ove censuri la decisione per l’omessa traduzione, non può genericamente lamentare la violazione del relativo obbligo, ma deve necessariamente indicare in modo specifico quale atto non tradotto abbia determinato un “vulnus” all’esercizio del diritto di difesa ed in particolare, qualora deduca la mancata comprensione delle allegazioni rese in interrogatorio, deve precisare quale reale versione sarebbe stata offerta e quale rilievo avrebbe avuto (Cass., 26/04/2019, n. 11295; Cass., 11/07/2019, n. 18723).

Nel caso concreto, peraltro, tale onere di allegazione non è stato affatto adempiuto dalla ricorrente, che si è limitata ad addurre “una potenziale compromissione del diritto di difesa”, e non un effettivo e concreto vulnus a tale esercizio, in ipotesi allegato nel giudizio di merito.

2.3. Per tali ragioni, il mezzo – poichè inammissibile – non può trovare accoglimento.

3. Con il terzo motivo di ricorso, O.F. denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 4, e 5 e art. 11 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

3.1. Lamenta la istante che il Tribunale, “senza scendere nel merito della storia personale del ricorrente, addossa alla richiedente asilo (unicamente) la omessa presentazione di documenti e la mancanza di elementi probatori a sostegno di una necessità improvvisa di allontanarsi dal suo Paese”.

3.2. Il motivo è inammissibile.

3.2.1. Il ricorso per cassazione deve contenere, invero, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si richiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass., 25/02/2004, n. 3741; Cass., 23/03/2005, n. 6219; Cass., 17/07/2007, n. 15952; Cass., 19/08/2009, n. 18421). In particolare è necessario che venga contestata specificamente la “ratio decidendi” posta a fondamento della pronuncia oggetto di impugnazione (Cass., 10/08/2017, n. 19989).

3.2.2. Nel caso concreto, la censura non coglie affatto la ratio decidendi dell’impugnato decreto, laddove il giudicante non si è affatto limitato a porre a carico della richiedente la mancanza di documenti di sorta, ma ne ha esclusivamente desunto ulteriori elementi di valutazione in ordine alla scarsa attendibilità della istante, considerato che la sua fuga dal Paese d’origine non era stata “improvvisa nè dovuta ad eventi imprevedibili, ma frutto di una sua scelta e, dunque, pianificata”. La decisione si fonda, piuttosto, sull’inidoneità della narrazione dei fatti, operati dalla richiedente, aventi ad oggetto esclusivamente una vicenda privata (le presunte persecuzioni da parte di una zia), che avrebbe potuto, al più, integrare reati comuni, per i quali la medesima ben avrebbe potuto ottenere protezione dalle autorità del suo Stato. E tale ratio decidendi del provvedimento impugnato non è stata censurata dalla ricorrente.

3.3. La censura, poichè inammissibile, non può, pertanto, essere accolta.

4. Con il quarto motivo di ricorso, O.F. denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

4.1. Si duole la istante del fatto che il Tribunale non abbia concesso alla medesima la protezione sussidiaria, sebbene sussistessero, nella specie, tutti i presupposti per il riconoscimento della misura di protezione in questione.

4.2. Il motivo è inammissibile.

4.2.1. Esclusa, per effetto dell’inattendibilità ed inidoneità delle dichiarazioni della ricorrente, la concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) va osservato, quanto alla protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), che la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio di allegazione dei fatti posti a sostegno della domanda, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass., 28/09/2015, n. 19197). Pertanto, soltanto quando il cittadino straniero che richieda il riconoscimento della protezione internazionale, abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c) (Cass., 28/06/2018, n. 17069; Cass., 31/01/2019, n. 3016).

4.2.2. Nel caso concreto, il Tribunale ha accertato che i fatti allegati nel giudizio di merito non attengono a situazioni di violenze indiscriminate, derivanti da un conflitto armato interno o internazionale, trattandosi di circostanze relative ad una vicenda privata della richiedente. Ad ogni buon conto, il Tribunale ha altresì accertato – mediante il ricorso a fonti internazionali, citate nel provvedimento – che la regione di provenienza della ricorrente è immune da una situazione di violenza, derivante da un conflitto armato interno o internazionale. Ed il motivo di ricorso si risolve in una generica esposizione dei principi giuridici in materia e nella riproposizione di temi già sottoposti al giudice di merito.

4.3. La doglianza va, pertanto, disattesa.

5. Con il quinto motivo di ricorso, O.F. denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

5.1. La ricorrente si duole del fatto che il Tribunale abbia omesso l’esame del motivo di ricorso concernente il mancato riconoscimento, da parte della Commissione territoriale, della protezione umanitaria, sebbene sussistessero, nella specie, evidenti ragioni di vulnerabilità della richiedente.

5.2. Il mezzo è inammissibile.

5.2.1. Il giudice territoriale non ha, invero, omesso l’esame di tale motivo di ricorso, avendo motivato – sia pure concisamente – il diniego di tale forma di protezione in considerazione del fatto che la narrazione delle vicende (di natura privata) che avrebbero determinato l’abbandono del Paese di origine da parte della richiedente non evidenzia situazione alcuna di vulnerabilità personale. Del resto l’accertata natura privata di tali fatti, risolvibili mediante il ricorso alle autorità locali, la mancata allegazione ed il mancato riscontro effettivo di una generale situazione socio-politica negativa, nella zona di provenienza dell’istante, correttamente hanno indotto il Tribunale a denegare la misura in esame (cfr. Cass., 23/02/2018, n. 4455), operando una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. Sez. U., 13/11/2019, nn. 29459, 29460, 29461). Nè la ricorrente – al di là di un riferimento del tutto generico, in quanto in alcun modo circostanziato, alle proprie condizioni di salute ed alla riproposizione di temi di indagine già sottoposti al giudice a quo – ha dedotto di avere allegato, nel giudizio di merito, ulteriori, specifiche, situazioni di vulnerabilità.

5.2.2. La censura deve essere, di conseguenza, dichiarata inammissibile.

6. Con il sesto motivo di ricorso, O.F. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

6.1. La ricorrente censura l’impugnato decreto nella parte in cui ha – a suo dire erroneamente – escluso l’applicabilità alla istante del diritto di asilo, ai sensi dell’art. 10 Cost., comma 3.

6.2. Il motivo è infondato.

6.2.1. Questa Corte ha, per vero, più volte affermato che il diritto in questione è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste in relazione alle diverse forme di protezione internazionale, disciplinate dalla normativa in vigore, sicchè non v’è più margine alcuno di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, (Cass. 16362/2016; Cass. 11110/2019);

6.2. La censura deve essere, di conseguenza, disattesa.

7. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, con condanna della ricorrente alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente, in favore del controricorrente, alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.100,00, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto che non sussistono – allo stato – i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, sempre che l’ammissione della ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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