LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14276/2018 proposto da:
O.B., elettivamente domiciliata in Roma Largo Somalia 53, presso lo studio dell’avvocato Pinto Guglielmo che la rappresenta e difende, unitamente all’avvocato Tarchini Maria Cristina, giusta procura rilasciata con separato atto allegato al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro-tempore;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositata il 07/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2019 dal cons. Dott. VALITUTTI ANTONIO.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso al Tribunale di Brescia, O.B., cittadina della Nigeria, chiedeva il riconoscimento della protezione internazionale, denegata alla medesima dalla competente Commissione territoriale. Con decreto n. 1221/2018, depositato il 7 aprile 2018, l’adito Tribunale rigettava il ricorso.
2. Il giudice di merito escludeva la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento alla straniera dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, reputando, ai fini della concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) non attendibili le dichiarazioni della richiedente circa le ragioni che l’avevano indotta ad abbandonare il suo Paese, e non sussistente, ai fini della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), una situazione di violenza generalizzata nel Paese d’origine, nonchè rilevando che non erano state allegate specifiche ragioni di vulnerabilità, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.
3. Per la cassazione di tale provvedimento ha, quindi, proposto ricorso O.B. nei confronti del Ministero dell’interno, affidato a tre motivi. l’intimato non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, la ricorrente propone, sotto diversi profili, la questione di costituzionalità del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, convertito nella L. n. 46 del 2017, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione degli artt. 3,24,111, e 77 Cost.
1.2. Le denunce di incostituzionalità sono manifestamente infondate.
1.2.1. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, è da reputarsi, invero, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, convertito con modifiche in L. n. 46 del 2017, per il preteso difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza ex art. 77 Cost., poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime.
1.2.2. E’ manifestamente infondata, altresì, la questione di legittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, sia in quanto il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status”, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte.
1.2.3. E’, del pari, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, relativa all’eccessiva limitatezza del termine di trenta giorni prescritto per proporre ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale, poichè la previsione di tale termine è espressione della discrezionalità del legislatore e trova fondamento nelle esigenze di speditezza del procedimento (cfr., su tutti i profili suindicati, Cass., 05/07/2018, n. 17717; Cass., 05/11/2018, n. 28119).
1.2.4. Neppure coglie nel segno, infine, il rilievo secondo cui la soppressione dell’appello comporterebbe la violazione del principio del doppio grado del giudizio di merito, atteso che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile, è finalizzato a soddisfare esigenze di celerità, e non essendo tale principio garantito a livello costituzionale, come più volte affermato dalla Consulta (cfr, tra le tante, Corte Cost., 25/09/2007, n. 351; Corte Cost., 21/02/2007, n. 107; Corte Cost., 12/02/2003, n. 84). Al riguardo va, peraltro, tenuto conto anche del fatto che il procedimento giurisdizionale è comunque preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (Cass., 30/10/2018, n. 27700; Cass., 05/11/2018, n. 28119).
2. Con il secondo motivo di ricorso, O.B. denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
2.1. L’istante lamenta che il Tribunale abbia ritenuto non attendibile la narrazione dei fatti che la avrebbe determinata a lasciare il Paese di origine, consistiti nel timore di essere uccisa dal padre, per avere sposato un uomo di religione *****, senza, peraltro, effettuare alcun accertamento istruttorio ufficioso al riguardo.
2.2. Il motivo è inammissibile.
2.2.1. Va osservato che, ai fini della concessione dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) è invero indispensabile, anche ai fini dei necessari approfondimenti istruttori, la credibilità e l’attendibilità della narrazione dei fatti effettuata dal richiedente. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce, peraltro, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito e censurabile solo nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5 – il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c) costituente un parametro di attendibilità della narrazione (Cass. 05/02/2019, n. 3340).
In mancanza di credibilità dell’istante deve, di conseguenza, escludersi la necessità e la possibilità stessa per il giudice di merito – laddove non vengano dedotti fatti attendibili e concreti, idonei a consentire un approfondimento ufficioso – di operare ulteriori accertamenti.
2.2.2. Nel caso di specie, il giudice adito ha ampiamente ed adeguatamente motivato circa le ragioni per le quali ha ritenuto non attendibili, e comunque non idonee a fondare la domanda di protezione internazionale, le dichiarazioni della richiedente, non essendo credibile che la medesima si fosse trasferita con il marito – prima di lasciare il proprio Paese – nella città di Abuja, molto vicina al luogo nel quale abitava il padre che la avrebbe perseguitata per avere sposato un *****. Senza dire che il matrimonio era stato celebrato diversi anni prima (2013), e che la stessa aveva ammesso di non sentire il padre ormai da anni, ossia da quando ha lasciato la Nigeria. Ulteriori incongruenze sono emerse poi – a giudizio del Tribunale – in ordine alle circostanze concernenti la morte del figlio, al quale la esponente ha perfino attribuito sessi diversi, nelle due versioni dei fatti rese in sede amministrativa e giurisdizionale. Del tutto destituiti di fondamento si sono rivelati, infine, ad avviso del giudice di merito, i timori della donna di dovere sottoporre le sue figlie alla pratica della infibulazione, sia perchè la medesima non ha figlie e neppure è in stato interessante, sia perchè tale pratica è facoltativa, e può essere esclusa con l’accordo – nella specie sussistente – di entrambi i genitori.
A fronte di tali motivate argomentazioni, le censure in esame si traducono, in concreto, in una sostanziale richiesta – peraltro del tutto generica – di rivisitazione del merito della vicenda, improponibile in questa sede (Cass., 04/04/2017, n. 8758). E neppure risulta che l’istante abbia allegato e dimostrato, nel giudizio di merito, di essersi rivolta alle autorità di polizia e di non avere ricevuto protezione, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 1, lett. c).
2.3. Per tali ragioni il mezzo, in quanto inammissibile, non può trovare accoglimento.
3. Con il terzo motivo di ricorso, O.B. denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
3.1. La ricorrente si duole del fatto che il Tribunale non abbia inteso concedere alla medesima la protezione umanitaria, sebbene sussistessero, nella specie, evidenti ragioni di vulnerabilità della richiedente.
3.2. Il mezzo è inammissibile.
3.2.1. Il giudice territoriale ha, invero, motivato il diniego di tale forma di protezione in considerazione del fatto che la narrazione delle vicende che avrebbero determinato l’abbandono del Paese di origine da parte della richiedente non evidenziano situazione alcuna di vulnerabilità personale. Del resto l’accertata non attendibilità della narrazione dei fatti operata dalla medesima ed il mancato riscontro – sulla base di dati attinti a fonti internazionali citate nel provvedimento – di una generale situazione sociopolitica negativa, nella zona di provenienza, correttamente hanno indotto il Tribunale a denegare la misura in esame (cfr. Cass., 23/02/2018, n. 4455), operando una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva della richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. Sez. U., 13/11/2019, nn. 29459, 29460, 29461). Nè la ricorrente – al di là di un riferimento del tutto generico, in quanto in alcun modo circostanziato, alle proprie condizioni di salute ed alla riproposizione di temi di indagine già sottoposti al giudice a quo – ha dedotto di avere allegato, nel giudizio di merito, ulteriori, specifiche, situazioni di vulnerabilità.
3.2.2. La censura deve essere, di conseguenza, dichiarata inammissibile.
4. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione dell’intimato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto che non sussistono – allo stato – i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020