LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16798/2018 proposto da:
K.A.D., elettivamente domiciliato in Roma al Largo Somalia n. 53, presso lo studio dell’avvocato Pinto Guglielmo che lo rappresenta e difende, unitamente all’avvocato Tarchini Maria Cristina, giusta procura rilasciata con separato atto allegato al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro-tempore;
– intimato –
avverso la sentenza del TRIBUNALE di BRESCIA, depositata il 08/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2019 dal cons. Dott. VALITUTTI ANTONIO.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso al Tribunale di Brescia, K.A.D., cittadina della *****, chiedeva il riconoscimento della protezione internazionale, denegata alla medesima dalla competente Commissione territoriale. Con decreto n. 1588/2018, depositato l’8 maggio 2018, l’adito Tribunale rigettava il ricorso.
2. Il giudice di merito escludeva la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento alla straniera dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, reputando, ai fini della concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) non attendibili le dichiarazioni della richiedente circa le ragioni che l’avevano indotta ad abbandonare il suo Paese, e non sussistente, ai fini della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), una situazione di violenza generalizzata nel Paese d’origine, nonchè rilevando che non erano state allegate specifiche ragioni di vulnerabilità, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.
3. Per la cassazione di tale provvedimento ha, quindi, proposto ricorso K.A.D. nei confronti del Ministero dell’interno, affidato a tre motivi. L’intimato non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, la ricorrente propone, sotto diversi profili, la questione di costituzionalità del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, convertito nella L. n. 46 del 2017, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione degli artt. 3,24,111, e 77 Cost.
1.2. Le denunce di incostituzionalità sono manifestamente infondate.
1.2.1. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, è da reputarsi, invero, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, convertito con modifiche in L. n. 46 del 2017, per il preteso difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza ex art. 77 Cost., poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime.
1.2.2. E’ manifestamente infondata, altresì, la questione di legittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, sia in quanto il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status”, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte.
1.2.3. E’, del pari, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, relativa all’eccessiva limitatezza del termine di trenta giorni prescritto per proporre ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale, poichè la previsione di tale termine è espressione della discrezionalità del legislatore e trova fondamento nelle esigenze di speditezza del procedimento (cfr., su tutti i profili suindicati, Cass., 05/07/2018, n. 17717; Cass., 05/11/2018, n. 28119).
1.2.4. Neppure coglie nel segno, infine, il rilievo secondo cui la soppressione dell’appello comporterebbe la violazione del principio del doppio grado del giudizio di merito, atteso che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile, è finalizzato a soddisfare esigenze di celerità, e non essendo tale principio garantito a livello costituzionale, come più volte affermato dalla Consulta (cfr, tra le tante, Corte Cost., 25/09/2007, n. 351; Corte Cost., 21/02/2007, n. 107; Corte Cost., 12/02/2003, n. 84). Al riguardo va, peraltro, tenuto conto anche del fatto che il procedimento giurisdizionale è comunque preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (Cass., 30/10/2018, n. 27700; Cass., 05/11/2018, n. 28119).
2. Con il secondo motivo di ricorso, K.A.D. denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
2.1. L’istante lamenta che il Tribunale abbia ritenuto non attendibile senza, peraltro, svolgere alcun accertamento istruttorio ufficioso – la narrazione dei fatti che la avrebbe determinata a lasciare il Paese di origine, consistiti nel timore di essere perseguitata ed uccisa da uno zio materno, che la avrebbe voluta sottoporre ad un rito magico per farla impazzire, per la sua ferma volontà di cercare il proprio padre naturale, inviso alla famiglia della madre.
2.2. Il motivo è inammissibile.
2.2.1. Va osservato che, ai fini della concessione dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) è invero indispensabile, anche ai fini dei necessari approfondimenti istruttori, la credibilità e l’attendibilità della narrazione dei fatti effettuata dal richiedente. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce, peraltro, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito e censurabile solo nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5 – il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c) costituente un parametro di attendibilità della narrazione (Cass. 05/02/2019, n. 3340).
In mancanza di credibilità dell’istante deve, di conseguenza, escludersi la necessità e la possibilità stessa per il giudice di merito – laddove non vengano dedotti fatti attendibili e concreti, idonei a consentire un approfondimento ufficioso – di operare ulteriori accertamenti.
2.2.2. Nel caso di specie, il giudice adito ha ampiamente ed adeguatamente motivato circa le ragioni per le quali ha ritenuto non attendibili, e comunque non idonee a fondare la domanda di protezione internazionale, le dichiarazioni della richiedente, non essendo credibile che – sebbene la madre avesse avuto altri quattro figli illegittimi – lo zio avrebbe dovuto concentrare le sue ire solo sulla istante, unica in famiglia a temere il congiunto, soltanto per il suo desiderio di incontrare il proprio padre naturale. Del pari inverosimile, a giudizio del Tribunale, si palesa la circostanza che la ricorrente, quantunque a conoscenza del fatto che i riti magici non sono legali nel suo Paese, non abbia denunciato all’autorità la minaccia dello zio di sottoporla a detti riti, “per non crearmi ulteriori problemi”. La narrazione resa dall’esponente si è rivelata, infine, incoerente e contraddittoria perfino su un dato essenziale, costituito dalla data di nascita e dall’età dei figli, il primo dei quali sarebbe stato addirittura concepito – ulteriore incongruenza evidenziata dal Tribunale quando la richiedente aveva solo undici anni. A fronte di tali motivate argomentazioni, le censure in esame si traducono, in concreto, in una sostanziale richiesta – peraltro del tutto generica – di rivisitazione del merito della vicenda, improponibile in questa sede (Cass., 04/04/2017, n. 8758).
E neppure risulta che l’istante abbia allegato e dimostrato, nel giudizio di merito, di essersi rivolta alle autorità di polizia (circostanza che ha, anzi, escluso, sia pure sulla base di una motivazione del tutto inconsistente) e di non avere ricevuto protezione, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 1, lett. c).
2.3. Per tali ragioni il mezzo, in quanto inammissibile, non può trovare accoglimento.
3. Con il terzo motivo di ricorso, K.A.D. denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
3.1. La ricorrente si duole del fatto che il Tribunale non abbia inteso concedere alla medesima neppure la protezione umanitaria, sebbene sussistessero, nella specie, evidenti ragioni di vulnerabilità della richiedente.
3.2. Il mezzo è inammissibile.
3.2.1. Il giudice territoriale ha, invero, motivato il diniego di tale forma di protezione in considerazione del fatto che la narrazione delle vicende che avrebbero determinato l’abbandono del Paese di origine da parte della richiedente non evidenziano situazione alcuna di vulnerabilità personale. D’altro canto, l’accertata non attendibilità della narrazione dei fatti operata dalla medesima ed il mancato riscontro – sulla base di dati attinti a fonti internazionali citate nel provvedimento – di una generale situazione sociopolitica negativa, nella zona di provenienza, correttamente hanno indotto il Tribunale a denegare la misura in esame (cfr. Cass., 23/02/2018, n. 4455), operando una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva della richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. Sez. U., 13/11/2019, nn. 29459, 29460, 29461). Nè la ricorrente – al di là della mera allegazione di un lavoro non stabile, alla deduzione, del tutto generica, di un suo inserimento in Italia, ed alla riproposizione di temi di indagine già sottoposti al giudice a quo – ha dedotto di avere allegato, nel giudizio di merito, ulteriori, specifiche, situazioni di vulnerabilità.
3.2.2. La censura deve essere, di conseguenza, dichiarata inammissibile.
4. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione dell’intimato.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto che non sussistono – allo stato – i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020